La prima pulsar venne scoperta nel 1967 da Jocelyn Bell a Cambridge nel corso della sua ricerca di dottorato. Lo studio era volto a raccogliere informazioni radio sui quasar (nuclei di galassie attive), ma la scoperta di un impulso estremamente regolare proveniente dalla costellazione della Vulpecula mise in agitazione sia lei che Antony Hewish, il supervisore del suo dottorato. Scherzosamente battezzato LGM (Little green men - Piccoli omini verdi), quel segnale così regolare - un impulso ogni 1,33373 secondi - si rivelò una scoperta astronomica epocale, tanto che nel 1974 fruttò a Hewish il Premio Nobel. Qualche anno più tardi il nostro Franco Pacini, scomparso un anno fa proprio di questi giorni, inquadrò alla perfezione il fenomeno fisico all'origine di quel ticchettio cosmico. Una pulsar è una stella superdensa - una massa un po' più grande di quella del Sole impacchettata in un oggetto di una ventina di chilometri di diametro - avvolta da un intenso campo magnetico i cui poli emettono fasci di intensa radiazione. Dato che la stella è una autentica trottola e gira all'impazzata intorno al proprio asse, può capitare che queste emissioni investano periodicamente la Terra e vengano rilevate con il caratteristico segnale “pulsante” delle pulsar. Veri e propri fari cosmici, insomma.
Di pulsar ce n'è per tutti i gusti: accanto a quelle più tranquille e regolari ci sono quelle con impulsi talmente ravvicinati (pochi millesimi di secondo) da lasciare a bocca aperta. Qualcuna emette la sua radiazione lungo tutto lo spettro elettromagnetico, dalle onde radio alla radiazione X, e da tempo si conoscono anche pulsar che, per così dire, “si accendono e si spengono”. Proprio a quest'ultima categoria appartiene la pulsar PSR B0943+10 i cui impulsi, ogni qualche ora, cambiano di forma e intensità per poi ritornare, qualche ora più tardi, alle condizioni iniziali. Il bello è che questo imprevedibile cambiamento avviene in circa un secondo. Dato che PSR B0943+10 è anche una debole sorgente di radiazione X, il team di ricerca di Wim Hermsen (SRON) aveva deciso di andare a fondo di questa emissione e sorvegliare la pulsar sia nel dominio radio che in quello X. Per ottenere il massimo, Hermsen ha ottenuto di poter impiegare XMM Newton (il telescopio spaziale europeo per la radiazione X), le 30 antenne paraboliche da 45 metri del GMRT (Giant Metrewave Radio Telescope - il potente sistema radio realizzato dalle parti di Pune, in India) e anche il radiotelescopio olandese LOFAR (Low Frequency Array), fresco fresco di inaugurazione.
Con loro grande sorpresa, i ricercatori hanno scoperto uno legame davvero molto stretto tra gli impulsi X e quelli radio: quando la sorgente era al suo massimo per gli impulsi radio, quelli X erano ai livelli minimi e viceversa. L'analisi delle accurate osservazioni di XMM Newton, inoltre, ha messo in luce che durante la fase di massima intensità X la sorgente mostra la caratteristica pulsazione. Un comportamento assolutamente inaspettato, non contemplato da nessuno dei modelli attualmente in voga che provano a spiegare la complicata fisica delle pulsar. Secondo tali modelli, infatti, l'emissione X sarebbe una diretta conseguenza di quella radio, mentre l'analisi dei dati raccolti dal team di Hermsen sembrerebbe proprio indicare l'esatto contrario. Un bel nodo da sciogliere, dunque. L'unico dato certo, come i ricercatori sottolineano nello studio pubblicato su Science, è che il fenomeno fisico in atto debba essere tremendamente rapido e coinvolga l'intera magnetosfera. Ogni poche ore, insomma, scatta qualcosa che, in un istante, sconquassa la pulsar camaleonte rivoltandola come un calzino.
Per approfondimenti:
University of Vermont
ESA