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Quale futuro per i giovani ricercatori?

Una giovane ricercatrice al microscopio

Pubblichiamo la lettera aperta indirizzata alla ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, firmata da assegnisti di ricerca e dottorandi, riguardo alla transizione dagli Assegni di Ricerca (AdR) ai Contratti di Ricerca (CDR), introdotti dalla legge n.79 del 29/06/22. Si può aderire all'appello aggiungendo la propria firma.

Tempo di lettura: 6 mins

Questa lettera aperta indirizzata alla Ministra dell’Università e della Ricerca, Onorevole Anna Maria Bernini, esprime la forte preoccupazione dei firmatari, composti da assegnisti di ricerca e dottorandi, riguardo alla transizione dagli Assegni di Ricerca (AdR) ai Contratti di Ricerca (CDR), introdotti dalla legge n.79 del 29/06/22. Sebbene i CDR offrano maggiori tutele contrattuali, il loro costo elevato e la rigidità normativa che li caratterizza stanno determinando, nei fatti, una drastica riduzione delle opportunità lavorative per i giovani ricercatori, aggravando il problema del precariato accademico e favorendo la fuga dei talenti all’estero.
Tra le criticità rilevate per i CDR, si evidenzia la loro difficile adattabilità a molti dei finanziamenti pubblici e privati erogati oggi in Italia, a causa dell’elevato costo, ma soprattutto il rischio che i neo-dottorati possano avere un limitato accesso ai CDR, venendo così esclusi dal proseguire nella carriera accademica. Questo metterebbe a rischio un’intera generazione di ricercatori e la continuità della ricerca. 
Viene inoltre ribadita la scarsità di investimenti strutturali nella ricerca italiana, il blocco del turnover accademico e l’assenza di una prospettiva politica che delinei un percorso continuativo e strutturato per i giovani ricercatori, prospettiva che non potrà essere garantita dai CDR. 
I firmatari richiedono un confronto con il Ministero per definire soluzioni fattive e sostenibili a tutela della continuità e della qualità della ricerca pubblica in Italia.
 

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Lettera aperta. Quale futuro per i giovani ricercatori?

Onorevole Ministra Bernini,

Siamo tra i circa 16 mila assegnisti di ricerca [1] che compongono il personale non strutturato delle Università e degli Enti di Ricerca italiani e Le scriviamo questa lettera sapendo di essere solo una piccola parte dei giovani ricercatori italiani sinceramente preoccupati non solo per il proprio futuro lavorativo, ma anche per quello di tutta la ricerca pubblica nel nostro Paese.
La recente introduzione dei contratti di ricerca (CDR), che di fatto hanno portato alla cessazione degli assegni di ricerca (AdR), è stata da più parti auspicata, in quanto permette di estendere alcune tutele in parte già garantite dagli AdR. Tuttavia, appaiono pensati soprattutto per ricercatori che (anche grazie agli AdR) hanno già potuto costruirsi un curriculum scientifico competitivo, e per questo, se mantenuti come unico strumento contrattuale possibile per il post-dottorato, rischiano di tagliare fuori i più giovani.
Infatti, se da un lato il costo relativamente alto dei CDR per Università ed Enti di Ricerca ne ridurrà il numero nei prossimi anni rispetto ai vecchi AdR, dall’altro renderà pressoché impossibile l’avanzamento di carriera per i neo-dottorati, i quali si troveranno costretti a competere per lo stesso contratto con ricercatori di post dottorato aventi anni di esperienza alle spalle, curricula più strutturati e un numero maggiore di pubblicazioni. Ciò porterà probabilmente alla perdita di altre migliaia di giovani ricercatori altamente qualificati, con un impatto negativo sul futuro della ricerca nel nostro Paese. Molti di loro si troveranno costretti ad abbandonare la carriera accademica per cercare opportunità più remunerative o, in alternativa, a rivolgersi a enti di ricerca esteri, aggravando ulteriormente il già consolidato problema della “fuga di cervelli” [2]. Questo scenario si tradurrebbe in una stagnazione della ricerca, un impoverimento della competitività delle istituzioni e un’ulteriore riduzione della capacità del sistema della ricerca pubblica italiana di attrarre e trattenere menti brillanti. Inoltre, in un‘ottica più ampia, significherebbe aver investito tempo e denaro nella formazione di un giovane ricercatore, senza che questo possa, successivamente, restituire all’intera comunità scientifica la sua esperienza, vanificando di fatto l’investimento effettuato.
L'abolizione dell'AdR a favore dei CDR ha generato, inoltre, una situazione di emergenza che ha spinto gli atenei ad adottare soluzioni improvvisate con ancora minori garanzie per i ricercatori. Tra queste, l’estensione del limite di età delle “borse per giovani promettenti” [3], una tipologia di reclutamento esistente ma poco usata nelle università. Se da un lato tale soluzione ha soddisfatto l'impellente necessità dei giovani ricercatori di portare a termine le proprie ricerche, assicurando loro il riconoscimento del loro nome nelle relative pubblicazioni, dall’altro non offre alcuna tutela (malattia, maternità, contributi pensionistici), diversamente dai precedenti AdR.
Purtroppo, l’esclusione di tanti giovani talenti dal mondo della ricerca non è un rischio remoto da evitare ma un processo già in atto, che sta compromettendo in maniera significativa la qualità, la continuità e l'impatto della nostra ricerca attuale e futura. Colleghi che, fino a poco tempo fa, contribuivano attivamente al progresso scientifico – sia direttamente, mediante la pratica sperimentale, sia indirettamente, attraverso la formazione di giovani talenti e le attività di terza missione – si ritrovano ora disoccupati, senza una affiliazione, scoraggiati dalla mancanza di una visione futura, e costretti a rivolgersi a realtà estere o a impieghi alternativi che non consentono loro di mettere a frutto l’enorme esperienza e gli investimenti accumulati nel corso degli anni. Inoltre, la mancanza di garanzie su quali forme contrattuali potranno essere bandite nell’immediato futuro compromette la possibilità di usufruire dei finanziamenti ottenuti tramite bandi competitivi. Tutto questo accade a pochi mesi dalla scadenza dei nostri contratti, e si ripercuote in maniera estremamente negativa sulla nostra attività di ricerca, che al contempo è resa sempre più complessa dal continuo taglio di finanziamenti.
Riteniamo che tale sistema stia depauperando risorse umane fondamentali, con conseguenze ben più gravi della semplice perdita di posti di lavoro. Sarebbe quindi auspicabile superare l'unico strumento contrattuale attualmente presente (il CDR), che appare insufficiente a soddisfare l'esigenza di disporre di profili adeguati al reclutamento dei giovani ricercatori.
L’introduzione delle borse di assistenza alla ricerca Junior e Senior (Art. 22-ter) prevista dal DdL 1240 attualmente in discussione in Commissione 7a al Senato rappresenta sicuramente una strategia volta a tamponare i vuoti che si sono creati a causa dell’abolizione dell’AdR in favore del CdR. 
Ci preme però sottolineare come, sebbene rivolte a una platea più ristretta, tali borse richiamino in molti aspetti i vecchi AdR e, con essi, i loro problemi intrinseci, tra cui la creazione di posizioni precarie che difficilmente verranno assorbite dal sistema negli anni a seguire (cfr. il riferimento alla “non continuatività” dei 3 anni di durata massima previsti, come anche nel caso del “contratto post-doc” di cui allo stesso DdL). Strumenti caratterizzati da una flessibilità che li rende adattabili alle esigenze del settore non possono comunque prescindere da adeguate tutele giuslavoristiche, a meno di non voler continuare a incrementare il fenomeno dilagante della precarietà.
Considerando i punti sopra elencati, desidereremmo conoscere la Sua visione – nonché quella del Ministero da Lei diretto – sul futuro dei giovani ricercatori del nostro Paese, cuore pulsante della ricerca e fonte di eccellenze riconosciute a livello internazionale.
Quale futuro si vuole costruire per i tanti giovani che non possono accedere ai CDR? Può una sola tipologia di contratto essere sufficiente per risolvere il problema del precariato? Quali soluzioni immaginare per chi come noi è ancora in una fase di crescita professionale e sta costruendosi un curriculum competitivo per accedere ai CDR e (successivamente) alle posizioni di Ricercatore Tenure-Track (RTT)?
Come si prevede di garantire il reinserimento di tali figure all’interno del sistema universitario, senza snaturare i principi fondamentali che hanno portato alla creazione dei CDR? Quali effetti, in merito al problema del precariato, si immagina possano derivare dall’introduzione di nuovi contratti? Infine, in che modo l’introduzione delle nuove figure professionali può facilitare la transizione dei nuovi ricercatori nel mondo accademico, se non si incrementano significativamente le risorse previste per le assunzioni in ruolo?
Siamo fortemente convinti che investire nella ricerca significa investire nel progresso e nella crescita del nostro Paese: ogni scoperta apre la strada a nuove possibilità per l'intera società.
La comunità scientifica italiana è pronta a collaborare per costruire un futuro in cui la ricerca sia un motore di sviluppo per il Paese. Confidiamo nel Suo impegno per affrontare queste sfide e valorizzare il talento e l’impegno di noi ricercatori, e ci rendiamo disponibili per ogni ulteriore approfondimento.

Referenze:

[1]: USTAT, Personale Universitario (link)
[2]: CNEL, Rapporto Giovani all’estero (link)
[3]: UniMi, Regolamento sull'istituzione di borse di studio (link)

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