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Quali sono gli investimenti R&D migliori per riuscire a rispettare l’accordo di Parigi?

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Un recente studio indaga gli scenari per orientare al meglio la scelta degli investimenti R&D su tecnologie a basse emissioni (e a indicare con quali tempistiche andranno messi in atto) per aumentare la probabilità di rispettare l'accordo di Parigi.

Crediti immagine: Tyler Casey/Unsplash

Nei prossimi anni i governi di tutto il mondo saranno chiamati a prendere decisioni importanti sugli investimenti in Ricerca e Sviluppo (Research and Development o R&D) da applicare per ridurre le emissioni di gas serra e limitare il riscaldamento globale. Per rispettare l’accordo di Parigi, infatti, sarà necessario mantenere la temperatura media al di sotto dei 2°C in più rispetto ai livelli pre-industriali e, anzi, sforzarsi di limitarla a 1,5°C in più. In quest’ottica gli investimenti pubblici sono fondamentali per promuovere il progresso tecnologico in tutti i settori, incluso quello energetico. Ma in quali tecnologie è bene concentrare gli investimenti pubblici nell’ottica del rispetto di tali accordi?

In un articolo uscito lo scorso giugno su Nature Communications, Lara Aleluia Reis, Zoi Vrontisi, Elena Verdolini, Kostas Fragkiadakis e Massimo Tavoni provano a rispondere a questa domanda. Nello studio forniscono degli approfondimenti che mirano a orientare la scelta degli investimenti pubblici in tecnologie a basse emissioni e a indicare con quali tempistiche andranno messi in atto per aumentare la probabilità di limitare il riscaldamento globale nei prossimi decenni.

La ricerca analizza due scenari: a seconda che si miri a rimanere entro 2°C di aumento o entro 1,5°C è necessaria un’implementazione di investimenti che va dal 19% al 64%. Queste possibilità vengono messe a confronto con uno scenario di riferimento (REF) che considera la situazione nella quale non vi sia una variazione di investimento nelle tecnologie a basso impatto. Nei i loro studi, ricercatrici e ricercatori hanno utilizzato un modello matematico (WITCH) per identificare gli investimenti in R&D in cinque tecnologie chiave per la decarbonizzazione: energia solare, energia eolica, biocarburanti, efficientamento energetico e batterie per veicoli elettrici. In più, sono state considerate le strategie di recupero e stoccaggio del carbonio che potrebbero essere messe a punto rapidamente ma allo stesso tempo potrebbero avere costi di manutenzione elevati a lungo termine.

Il modello si fonda su due assunti: il primo è che un maggior investimento in R&D consente di ottenere un risultato ottimale anche dal punto di vista economico rispetto a uno scenario a investimento invariato. Questo non significa che sia impossibile ottenere gli obiettivi anche senza, ma che probabilmente non conviene. Il secondo è che il costo di queste tecnologie diminuisca nel tempo grazie all’aumento dei fondi forniti: in altre parole maggiori sono gli investimenti, maggiore sarà lo sviluppo della tecnologia e quindi maggiore sarà la sua diffusione e il suo utilizzo e questo ne farà diminuire il costo (secondo il principio learning by doing). In effetti questo è quello che si è verificato per l’energia solare ed eolica e con le batterie per veicoli elettrici. Alcune tecnologie non vengono prese in considerazione perché ancora troppo poco applicate e quindi impossibili da inserire all’interno di un modello che si basa su dati pregressi (è il caso, per esempio, dell’idrogeno), oppure perché i costi di mantenimento aumentano nel tempo, invece di diminuire (come nel caso del nucleare).

Dallo studio emerge che investimenti ottimali dovrebbero finanziare una gamma diversificata di tecnologie, anche se le batterie per veicoli elettrici e l’efficientamento energetico dovrebbero essere i maggiori beneficiari dei fondi. Per le tecnologie più mature, come solare ed eolico, la condizione ottimale non coincide con un maggiore finanziamento cumulativo, ma piuttosto con finanziamenti anticipati. Secondo le autrici Lara Aleluia Reis ed Elena Verdolini, «È necessario fare tutto ciò che è in nostro potere: investire repentinamente nelle tecnologie che abbiamo e allo stesso tempo investire in nuove tecnologie ancora da sviluppare. Per raggiungere l’obiettivo di stare al di sotto dei 2°C vanno modulati questi due canali».

Figura 1. a) mostra gli investimenti globali cumulativi in R&D entro il 2050; b) mostra gli investimenti globali per tecnologia dal 2020 al 2050; c) mostra gli investimenti in R&D a basso impatto di carbonio nelle varie regioni a seconda dello scenario di aumento della temperatura. Crediti immagine: Nature Communications. Licenza: CC BY 4.0

I grafici mettono a confronto gli investimenti necessari a seconda degli scenari di aumento di 3,5°C (REF), 2°C e 1,5°C. La figura c mostra in particolare quanto dovrebbero aumentare gli investimenti a seconda dei paesi; più il paese risulta scuro sulla mappa, maggiori dovrebbero essere le somme destinate a R&D. I paesi più industrializzati (in Europa e America) sono quelli per i quali il modello prevede i maggiori investimenti. Questo sia perché in questi paesi le opzioni più economiche sono già state messe in atto o si stanno attuando, sia perché nei paesi in via di sviluppo la richiesta di energia è minore.

L’articolo discute anche l’eventuale finanziamento in R&D di tecnologie a basso impatto attraverso le entrate derivanti da una tassazione del carbonio (Carbon Tax). Autori e autrici suggeriscono che questo approccio potrebbe essere efficace per attuare il principio "chi inquina paga", consentendo anche alle regioni più povere di garantire una transazione dai settori inquinanti a quelli delle tecnologie pulite.

Un altro aspetto importante che emerge dallo studio riguarda gli effetti sul PIL delle principali economie mondiali. Gli investimenti in ricerca e sviluppo portano a un guadagno del PIL nel 2030 e nel 2050 che si fa più pronunciato nello scenario più rigoroso di +1,5°C.

Infine, attuando un piano di investimenti mirato e tempestivo, crescono i livelli di occupazione poiché, nel complesso c’è un aumento delle attività economiche. Le strategie ottimali di investimento nelle tecnologie a basso impatto, quindi, non solo aumentano la fattibilità degli obiettivi climatici, ma risultano avere anche un effetto positivo sul PIL e sull’occupazione globale.

È importante specificare che i modelli non tengono in considerazione i tassi di interesse dei finanziamenti, che, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, sono altissimi. Si assume che tutti i paesi siano sullo stesso piano e che un’eventuale carbon tax sia uguale per tutti. Gli scenari quindi si attuano, per così dire, in un mondo ideale, che si discosta dalla realtà dei fatti. Perché, allora, perdere tempo a effettuare le analisi in un mondo perfetto, che non esiste? Per rispondere con le parole di Elena Verdolini, «Questi scenari aiutano a tracciare una via. Sappiamo che l’obiettivo è spostarsi da una situazione A di elevate emissioni di carbonio, a una situazione B in cui queste vengono abbattute. Questi studi aiutano a tracciare la strada per raggiungere questo obiettivo».

 


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