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Quanto ne sanno gli italiani di cure palliative?

È sempre più diffusa, nell'opinione pubblica, la consapevolezza sul significato di cure palliative e sugli obiettivi di intervento. Tuttavia, evidenzia un'indagine commissionata a Ipsos dall'associazione Vidas, serve aumentare ulteriormente il livello di conoscenza nella popolazione così come nel personale medico. 

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Quando il quadro clinico di Pelé, la leggenda brasiliana del calcio, ha iniziato a peggiorare in maniera irreversibile, anche sui motori di ricerca si è assistito a un crescente interesse verso l’argomento “cure palliative”: a favorire la curiosità dei media internazionali ha contribuito il misterioso dettaglio della notizia lanciata a inizio dicembre 2022 da un quotidiano di San Paolo, secondo cui l’ex calciatore sarebbe stato posto a cure palliative in quanto non rispondente più alla chemioterapia, velina immediatamente smentita dai figli. Non è chiarissimo sapere come Edson Arantes do Nascimento, a tutti noto come Pelé, abbia vissuto i suoi ultimi giorni ed è sacrosanto rispettare il riserbo che la famiglia ha desirato mantenere: sappiamo che il campione si è spento il 29 dicembre del 2022 nell’ospedale Albert Einstein di San Paolo e che la vicenda personale di un personaggio globale ha contribuito, propriamente e impropriamente, ad accendere i riflettori sul tema dell’opportunità di accedere alle cure palliative di fronte a una malattia inguaribile.

Anche in Italia?

Le campagne di informazione sul diritto alle cure palliative

Una delle missioni evidenziate nella Legge 38 del 2010, che inquadra e introduce in Italia per la prima volta le garanzie di accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, è informare i cittadini di questo diritto. Ma: «In assenza di campagne istituzionali, come previsto nell’articolo 4 della Legge, a informare i cittadini contribuisce soprattutto l’opera degli enti del terzo settore», ha dichiarato Tania Piccione, della Federazione italiana cure palliative, in occasione della presentazione all’Università degli Studi di Milano degli esiti di uno studio volto a fotografare il grado di conoscenza e di esperienza delle cure palliative in un campione rappresentativo di popolazione, di medici del territorio e ospedalieri, pediatri.

Un sondaggio sul territorio nazionale

Quanto ne sanno gli italiani di cure palliative? L’associazione Vidas, in collaborazione con la Federazione cure palliative e grazie al contributo della Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti, ha commissionato a Ipsos un’indagine secondo cui negli ultimi dieci anni nell’opinione pubblica è aumentata sensibilmente la consapevolezza verso il significato di cure palliative e sugli obiettivi di intervento. Meno chiara è la conoscenza che il servizio rientri nei Lea e, soprattutto, che le cure palliative siano un diritto del malato disponibile su tutto il territorio nazionale.

Il campione intervistato ha portato alcune evidenze da cui ripartire per riflettere. Nell’opinione pubblica è emerso che:

  • la quota di chi non ha mai sentito parlare di cure palliative è praticamente nulla
  • il domicilio è il setting desiderato come luogo primario di cura da oltre la metà degli intervistati, mentre l’ospedale è preferito da una persona su 10; è aumentata la consapevolezza sugli hospice e sono indicati come luogo preferito per la cura da 1 intervistato su 5 (prevalentemente nelle Regioni in cui sono presenti più strutture di questo tipo)
  • la presenza di oppiacei nel piano di cure palliative è accolto senza particolari resistenze dal 91% degli intervistati
  • il medico di base e lo specialista restano la fonte principale per informarsi

Anche il sondaggio tra i clinici ha posto rilevanti evidenze:

  • circa il 15-20% dei medici non sa che le cure palliative sono un diritto garantito dalla legge, percentuale che sale a quasi il 30% tra i pediatri
  • tra i clinici vi è la diffusa percezione che la popolazione sia poco informata sulle cure palliative, opinione poi parzialmente contraddetta dall’esperienza nel momento in cui si è di fronte a una famiglia cui si presenta o propone questa forma di cura
  • la maggior parte dei medici tende a proporre le cure palliative quando i trattamenti non incidono più sul decorso della malattia e solo marginalmente con maggiore tempestività insieme ad altri trattamenti

Quello che non sappiamo:

  • le figure sociali e volontarie facenti parte delle equipe multidisciplinari nelle cure palliative sono spesso meno riconosciute e valorizzate a fronte di un metodo che nella sua mission esige l’accompagnamento spirituale e sociale del malato e della sua rete di relazioni più strette
  • permane la credenza che le cure palliative siano legate al fine vita e questa disinformazione produce l’effetto negativo di introdurre tardivamente queste terapie mentre, nella realtà, possono essere attivate in qualsiasi momento nel corso della malattia e possono essere associate a qualsiasi tipo di trattamento
  • esiste una quota, seppur molto risicata, di chi associa le palliative alla medicina alternativa o naturale oppure di chi identifica le cure palliative con l'eutanasia

Cure palliative: azioni per conoscenza e applicazione più capillari

Per quanto, dunque, vi sia una conoscenza sempre più diffusa, dettata anche dall’esperienza diretta o vicina di una fetta sempre più ampia di popolazione, l’indagine evidenzia la necessità di aumentare ulteriormente il livello di consapevolezza nella popolazione così come nel personale medico. Quali sfide cogliere come comunità scientifica e mondo dell’informazione? Una premessa la pone Giada Lonati, medico Vidas: «Sappiamo che il domani che ci aspetta è fatto di cronicità e si rende necessaria una pianificazione condivisa delle cure: la conoscenza permetterebbe anche di stemperare la dicotomia tra curante e curato e portare benefici».

A incalzare anche Gino Gobber, presidente della Società scientifica di cure palliative che precisa: «La normativa in Italia è coerente e completa. Sappiamo che quello che serve è un’applicazione che impedisca situazioni frammentate e a macchie di leopardo perché le situazioni di eccellenza ci sono, quindi l’obiettivo è raggiungibile».

Comprendere il dolore

Nel 2021 è stata istituita la prima cattedra universitaria in Cure palliative, il cui scopo è anche contribuire alla diffusione delle conoscenze su queste metodologie nell’ambito delle scienze mediche. «La rete sul territorio prevede molti servizi che hanno bisogno di medici dedicati», spiega Augusto Caraceni, direttore della Scuola di specializzazione in medicina e cure palliative all’Università statale di Milano. «Questi servizi hanno bisogno di avere medici di medicina generale e specialisti formati a integrare le cure palliative nelle loro cure: se nell’ambito oncologico abbiamo modelli sul contributo delle cure palliative durante le terapie per il controllo del dolore, anche in cardiologia, pneumologia o neurologia per esempio, è importante il ruolo della formazione medica specifica. Con la formazione del medico palliativista assistiamo a una rivoluzione copernicana: l’università si pone come autore e promotore di un cambiamento culturale il cui obiettivo è la soggettività del paziente e in cui è capovolto il paradigma della morte come sconfitta della medicina».

Cicely Saunders e San Martino

Ha un nome e cognome la persona che “inventò” le cure palliative, Cicely Saunders. Negli anni della fine della Seconda guerra mondiale era impegnata come infermiera volontaria nell'assistenza post-operatoria dei pazienti con malattie terminali, ma il suo titolo di studio non le sarebbe stato sufficiente per organizzare l’intuizione che quell’esperienza e altre precedenti tra i pazienti inguaribili le stavano suggerendo: curare il controllo del dolore fisico senza perdere di vista il bisogno psicologico e spirituale che si affacciano emblematici nell’affrontare le fasi ultime della malattia in un ambiente dedicato. Così si laureò in Medicina nel 1957 e potè aprire il primo Hospice della storia, il St Chirstopher’s Hospice a Londra nel 1967. Dai suoi pazienti e dai loro cari trasse la verità che ancora oggi guida chi ha responsabilità in cure palliative con i pazienti di tutto il mondo, trasmettere ai malati e alle famiglie che è possibile comprendere come si sentono offrendo a ciascuno una cura e attenzione personalizzate.

Quella forma di protezione e assistenza a chi vive nella profonda sofferenza ricorda il gesto del giovane soldato Martino, santo della chiesa cattolica che col suo spontaneo gesto di strappare con la spada il suo mantello per proteggere dal freddo un mendicante ha fatto sì che la ricorrenza di ricordare l’11 novembre San Martino sia anche data della Giornata nazionale per sensibilizzare sulle cure palliative.

 

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