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Rafforzare l'alleanza per diffondere le vaccinazioni

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Rappresentano l’intervento medico a basso costo che più di tutti ha cambiato la vita dell’uomo sul pianeta, permettendo di sconfiggere malattie come vaiolo, poliomielite e difterite, e di porre fine alle disastrose epidemie che comportavano. Ma una delle più grandi frustrazioni di chi si occupa di Vaccinologia è che queste armi, così efficaci, non vengano utilizzate per chi ne ha più bisogno. Così ogni anno nel mondo, e in particolare nei Paesi in via di sviluppo, muoiono oltre 2 milioni e mezzo di bambini per malattie prevenibili con vaccini di cui già disponiamo: come la polmonite, causa di circa 800mila decessi, e le infezioni intestinali da Rotavirus che provocano circa 600mila morti.

Condividere i vaccini a livello globale, facendo diminuire l’intervallo di tempo - attualmente 15-20 anni - che intercorre fra lo sviluppo di un nuovo vaccino e il suo trasferimento nei Paesi poveri, dove il bisogno è massimo, è una sfida che, da dieci anni, vede in prima linea GAVI (Global Alliance for Vaccines and Immunization) (Clemens, Kaufmann and Mantovani al Nature Immunology 2010). Una partnership mondiale tra istituzioni pubbliche e privati che opera con l’obiettivo di diffondere vaccini salvavita nei Paesi poveri e sviluppare programmi di sostegno ai diversi sistemi sanitari, finalizzati alla delivery dei vaccini: ne fanno parte governi donatori tra cui l’Italia, paesi poveri, Organizzazione Mondiale della Sanità, UNICEF, Banca Mondiale, produttori di vaccini degli Stati industrializzati e in via di sviluppo, istituzioni tecniche e di ricerca, ONG e Fondazione Bill & Melinda Gates, personalità autorevoli che si sono distinte per la loro attività filantropica.

Negli ultimi due anni, però, la crisi finanziaria ha negativamente influito sui progetti in via di sviluppo, comportando un inevitabile ridimensionamento degli obiettivi da raggiungere. Fondamentale dunque la conferenza di replenishment tenutasi di recente a Londra per sollecitare i Paesi donatori a rimpinguare i fondi. Per una volta possiamo dire, con un pizzico di orgoglio, che, nonostante le difficoltà, il nostro Paese continua a fare la propria parte sul piano propositivo e finanziario: ad esempio l’Italia nei prossimi 4 anni mette infatti a disposizione dell’Alliance 500 milioni di euro, costituendo uno dei principali donatori.

Una “chiamata alle armi” per sviluppare e diffondere nuovi vaccini nella prossima decade arriva anche da The Lancet (Lancet online giugno 2011), che pubblica una serie di articoli di un gruppo di ricercatori: con le giuste risorse, si legge, potrebbero essere sviluppati (o quasi) 20 vaccini nei prossimi 10 anni.

Questa serie di articoli (fra cui Rappuoli, Black e Lambert, Lancet on line Giugno 2011), oltre a ricordarci come i vaccini abbiano cambiato la vita dell’uomo sul pianeta - un esempio fra tutti: oggi nemmeno ci ricordiamo più cosa sia il vaiolo, che nel 1967 è stato stimato essere di 2,7 milioni di morti all’anno, riassumono le sfide che abbiamo davanti. Malaria e HIV, per cui per la prima volta intravediamo una speranza per un vaccino efficace. Ma anche tubercolosi, meningite e diarrea, veri e propri flagelli ancora oggi.

Fondamentale investire in ricerca, perché i vaccini, si legge ancora su Lancet, “creano ricchezza”. Perché il peso della malattia, specie nei Paesi poveri, si traduce nella distruzione della vita sociale ed economica dei villaggi, ed in spese sanitarie sproporzionate rispetto alle risorse limitate di questi Stati.

Basti pensare, ad esempio, alla meningite: un problema che assume dimensioni devastanti in particolare nella parte sub-sahariana dell’Africa chiamata “Fascia della meningite” (meningitis belt), che comprende vari Stati nelle aree della savana dal Mali all’Etiopia, dove le epidemie sono ricorrenti e lasciano una disastrosa scia di disabilità - la meningite è la prima causa di sordità, ad esempio. Vaccini e ricerca scientifica possono cambiare la situazione, trasformando la meningite in un killer non più imbattibile. Ora infatti si affrontano le epidemie con vaccini polisaccaridici che non danno memoria: un tampone che non risolve il problema. Ma è ora disponibile un vaccino coniugato che da memoria e avremmo la possibilità di eradicare la menengite dalla meningitis belt. Era nei programmi di GAVI, che ci auguriamo possa ora implementato.

Ancora, pensiamo al virus dell’HPV: la recente introduzione nella pratica clinica del vaccino costituisce un grande passo avanti per la salute delle donne. Questo virus infatti causa ogni anno circa 250mila morti e circa 400mila nuovi casi di cancro alla cervice dell’utero, il secondo tipo di tumore femminile più diffuso dopo quello della mammella. Il Papilloma Virus è un flagello soprattutto per i Paesi poveri come America Latina e Africa, nella cui parte sub-sahariana il cancro della cervice uterina è la prima causa di anni di vita persi per le donne giovani. E’ meno devastante, invece, per i Paesi ricchi, dove però colpisce prevalentemente le fasce meno abbienti che ricorrono meno agli strumenti di diagnosi precoce come il Pap-test. Indispensabile, quindi, promuovere il vaccino a chi ne ha più bisogno (e valutare la convenienza e sostenibilità economica in queste fasce della popolazione) e condividere il vaccino anti-HPV a livello globale.

Fondamentale il replenishment di GAVI, per indirizzare strategicamente gli investimenti e mettere a punto un piano di diffusione dei vaccini là dove le necessità sono più stringenti. Un motivo di speranza, per la prossima decade, per i bambini più poveri del mondo.


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