fbpx La razza bianca? Cinque domande e una mozione | Scienza in Rete

La razza bianca? Cinque domande e una mozione

Ku Klux Klan mascotte. Cerimonia di iniziazione ad Atlanta, Georgia, 24 luglio 1948. Credit: Image Editor / Flickr. Licenza: CC BY-SA 2.0.

Tempo di lettura: 4 mins

In questi giorni si è tornato a parlare di diversità umana dopo che un esponente politico lombardo ha invocato un argine a difesa della “razza bianca”, la quale (lui dice) sarebbe messa a repentaglio dagli attuali flussi migratori massicci e senza controllo. Lascio ad altri e più competenti il compito di chiarire gli aspetti demografici e sociali del problema, provando a concentrarmi su quelli più squisitamente antropologici.

Prima domanda: esistono le razze umane?

Se rispondiamo facendo riferimento alle nostre conoscenze biologiche, la risposta è semplice: no! La grande parte dei genetisti e antropologi è d’accordo sul fatto che non possiamo descrivere la diversità genetica utilizzando delle categorie nette, omogenee e che si escludono a vicenda come le razze. I dati genetici vecchi e nuovi, e anche quelli nuovissimi, sono molto chiari al riguardo: le differenze tra un europeo e un africano o un asiatico sono di poco superiori a quelle tra due europei, due africani o due asiatici. Questo accade perché gran parte della diversità umana è già rappresentata all’interno delle popolazioni, e non se ne trova molta di più cercando nei principali gruppi continentali, i quali costituiscono, di fatto, altrettanti gruppi razziali: bianchi neri e gialli. E le cose non “migliorano” affatto se proviamo con una qualsiasi delle innumerevoli tassonomie razziali proposte nel corso del tempo, peraltro in evidente conflitto tra di loro.

Seconda domanda: ma se siamo così simili, perché sembriamo così diversi, tanto da farci pensare che le razze esistano realmente?

Appunto, sembriamo. Dobbiamo essere capaci di distinguere la percezione della diversità dalle sue effettive basi biologiche e genetiche. Gli studi sugli effetti della selezione naturale sulla variabilità genetica della nostra specie ci hanno mostrato che quei tratti fisici che sono alla base della percezione in termini razziali della diversità, il colore della pelle in primis, sono il risultato di adattamenti all’ambiente a livello di un numero molto limitato di specifici geni. Le differenze tra le popolazioni umane per questi stessi geni non hanno, invece, nessuna relazione con le capacità cognitive, comportamenti sociali o qualità morali.

Terza domanda: ma gli Italiani allora non sono una razza?

Ovviamente, no, visto quanto abbiamo appena detto. Ma il nostro caso è particolarmente interessante. Al netto degli effetti delle migrazioni recenti, vinciamo tra tutti i paesi europei per il trofeo della maggiore diversità non solo per la linguistica ma anche per la genetica. E le razze, vale la pena ricordarlo, presuppongono che gli individui che vi appartengono siamo molto simili tra loro. D’altra parte non c’è da stupirsi: abbiamo una storia ricchissima di contatti, migrazioni, invasioni e scambi che, grazie alla forma allungata latitudinalmente del nostro paese, hanno coinvolto genti dell’Europa centrale, orientale e occidentale e anche dell’Africa settentrionale. Insomma, siamo un ponte proteso tra due continenti, il quale ha sempre attratto e incluso popolazioni anche molto diverse tra loro. Provate a cercare informazioni sulle minoranze linguistiche italiane e ve ne convincerete.

Quarta domanda: allora perché il termine è presente nella costituzione italiana, come ha fatto notare (per giustificarsi) lo stesso esponente politico di cui sopra?

La costituzione è il frutto di un lavoro condotto nella seconda metà degli anni quaranta, in cui le conoscenze sulla diversità umana erano ancora ai loro albori. Inoltre, si usciva da un periodo storico in cui questa parola aveva avuto un ruolo centrale nei genocidi che tutti conosciamo; i Padri costituenti pensavano che la maniera più efficace (per quei tempi) di riportare l’accento sul valore dell’eguaglianza passasse attraverso la sua utilizzazione.

Quinta (e ultima) domanda: bisognerebbe allora riconsiderare la presenza della parola razza nella Costituzione?

Proprio cosi’, se si vuole creare un ‘effettiva corrispondenza tra l’enunciazione formale e il principio che la ispira utilizzando termini che siano in grado di descrivere in maniera scientificamente corretta la diversità umana e privi di possibili significati discriminatori: per molti di coloro che credono nelle razze queste si distinguono in “inferiori” o “superiori”, e di più non direi. Solo facendo questo passo si può rispondere a chi obietta: “perché mi contestate se uso la parola razza quando questa è presente nella Costituzione?”. Ma, dall’altra parte, a coloro che sono contrari al cambiamento, anche per rispettabilissimi motivi storici, va detto che la costituzione non è la Bibbia o il Corano, un testo sacro e inviolabile, ma qualcosa che vive dentro e per la società e tiene conto dei suoi cambiamenti, compresi quelli prodotti dalle conoscenze scientifiche e dai fenomeni demografici. Non rinchiudiamola in una torre d’avorio. Noi antropologi di formazione biologica siamo talmente convinti di tutto questo da aver firmato tutti assieme questa mozione. Mentre scrivo il dibattito con gli Antropologi culturali è aperto e speriamo che a questa iniziativa ne possano seguire molto presto altre in cui si possa affrontare il problema della diversità umana nella sua reale dimensione, quella unitaria: non perdeteci di vista.

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Diagnosi di HIV in crescita dopo il COVID: i numeri del 2023

Dopo la pandemia di Covid-19, per la prima volta da quasi dieci anni, sono aumentate in Italia le infezioni da HIV, molte delle quali diagnosticate in fase già avanzata (AIDS), soprattutto tra le persone eterosessuali. Sono alcuni dai dati che emergono dal report del Centro Operativo AIDS (COA) dell’Istituto Superiore di Sanità e che, in occasione della Giornata mondiale contro l'AIDS che si celebra il 1 dicembre, riportiamo in questo articolo.

Le diagnosi di infezione da HIV continuano ad aumentare, invertendo la decrescita che, prima della pandemia di Covid-19, durava da quasi dieci anni. Secondo i dati pubblicati dal Centro Operativo AIDS (COA) dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 2023 sono stati registrati 2.349 nuovi casi, che arrivano a circa 2.500 tenendo conto delle segnalazioni ancora da registrare.