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La ricerca non è un limone. Smettetela di spremerla

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Il Consiglio Europeo dello scorso 18 dicembre ha chiesto l’istituzione di un Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) nell’ambito del Gruppo BEI (Banca europea per gli investimenti) con l’obiettivo di mobilitare 315 miliardi di euro di nuovi investimenti “per la crescita” nel triennio compreso tra il 2015 e il 2017.
Il Consiglio ha accettato il piano del presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, che ha almeno due punti deboli.

Primo: il Fondo dispone al momento di soli 21 miliardi di euro, 5 messi a disposizione dalla BEI e 16 ricavati dal budget della Commissione. In pratica il Fondo reale dispone, almeno per ora, solo del 6,7% rispetto a quanto annunciato. Troppo poco. Sia perché non è chiaro come saranno recuperati gli altri 294 miliardi promessi. Sia perché 21 miliardi (ma c’è chi dice anche 315 miliardi) sono una goccia che difficilmente riuscirà a creare onde significative nel mare stagnante di un’economia da 12.000 miliardi di euro, qual è quella dei 28 paesi dell’Unione.
Il secondo punto debole riguarda il pozzo dove saranno recuperati 2,7 dei 16 miliardi di euro da ricavare dal budget dell’Unione. Il piano Juncker prevede che quei 2,7 miliardi siano sottratti a Horizon2020, il programma di investimenti in ricerca e sviluppo che l’Unione si è data per il periodo 2014-2020.
Il taglio, annunciato da alcuni mesi, ha suscitato le proteste di importanti istituzioni scientifiche europee.
Già il 4 dicembre scorso Sierd Cloetingh, presidente dell’Academia Europaea, in una lettera appello alle autorità comunitarie aveva espresso le sue vive preoccupazioni per la piccola ma dolorosa sforbiciata. E in precedenza, lo scorso 26 novembre, la League of European Research Universities (LERU) era stata ancora più dura, rilasciando un comunicato stampa dal titolo decisamente perentorio: «Horizon2020 is not a lemon! Stop squeezing it!», Horizon2020 non è un limone! Smettetela di spremerlo.

Si dirà: queste reazioni sono un po’ sopra le righe. Frutto di un’isteria corporativa. In fondo il prelievo è poca cosa. Rappresenta lo 0,02% del Pil (Prodotto Interno Lordo) dell'Unione Europea; lo 0,9% del previsto Fondo europeo per gli investimenti strategici e anche rispetto al budget complessivo di Horizon2020 non va oltre il 3,8%.
Eppure queste proteste appaiono giustificate. Non solo e non tanto per la quantità dei fondi sottratti alla ricerca europea. Ma anche e soprattutto per il messaggio intrinseco che il prelievo lancia. Se la presidenza della Commissione Europea e il Consiglio Europeo per allestire un fondo di investimenti per la crescita tagliano il budget per la ricerca e lo sviluppo evidentemente ritengono che quella per la scienza e lo sviluppo tecnologico sia una spesa e non un investimento.

Un messaggio che non è solo sbagliato. Ma è del tutto fuorviante: tale da rischiare di far deragliare l’incerto treno europeo. Che il messaggio sia sbagliato è la storia economica recente e non solo recente del mondo intero e della stessa Europa a dimostrarlo. Non c’è nessun investimento più produttivo nel lungo, medio e persino breve termine di quello in ricerca scientifica e sviluppo tecnologico. Tagliare quei 2,7 miliardi dal budget di Horizon2020 significa dunque distogliere soldi da una paniere sicuro e metterli in un paniere incerto. Un errore, appunto.
Ma l’errore è tanto più grave perché riguarda la politica strategica e, dunque, il futuro stesso dell’Europa. Viviamo nell’era della conoscenza. Il mondo va sempre più verso un’economia fondata sull’innovazione tecnologica figlia della ricerca scientifica. Sono anni che l’Europa dice di esserne consapevole, fin dal libro bianco di Jacques Delors trasformato in strategia politica – la “strategia di Lisbona” – proprio da un Consiglio Europeo tenuto nell’anno 2000 nella capitale portoghese. Ma in tutto questo tempo l’Europa invece di seguire le indicazioni che lei stessa si è data – diventare leader planetario dell’economia della conoscenza – ha perso terreno rispetto ad altre aree del mondo (il Nord America, l’Asia orientale).

E ora che si trova nel pieno di una crisi senza precedenti rinnega anche sul piano teorico l’antica strategia, l’unica che può portarla fuori dal guado. Per quanto piccolo, quel taglio a Horizon 2020 dimostra che l’Europa sta affrontando la crisi con scarsa lucidità e un’inconcludente frenesia. Non è quanto sarebbe lecito aspettarsi da un continente che per almeno tre secoli ha fondato sulla scienza e sulla capacità di innovazione la sua leadership culturale e ed economica.

 


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