Il sorgo, il mais, il grano, il miglio perlato sono cereali che
rimandano spesso a scenari di agricoltura di sussistenza in Africa e altri
continenti ancora in lotta per sfamare la loro popolazione. Non è così scontato
quindi trovarsi di fronte a un drappello di genetisti, agronomi e biologi
molecolari impegnati a studiare questi cereali con le tecniche più moderne
della genomica, delle scienze dei materiali oltre a studi di scenario insieme
ai loro colleghi africani.
E’ successo a Milano il 29 ottobre, a due giorni della chiusura
di Expo 2015, dove davanti a una platea di ricercatori, associazioni
ambientaliste e rappresentanti di organizzazioni non governative si è fatto il
punto su quattro progetti sostenuti dalle Fondazioni Agropolis e Cariplo,
giunti a circa metà del loro cammino.
Come ha sottolineato Claudia Sorlini, presidente del Comitato Scientifico
per Expo 2015, nel suo intervento, “questi progetti rispondono pienamente ai
nuovi Obiettivi del Millennio elaborati dalle Nazioni Unite (o Obiettivi di Sviluppo), mettendo la scienza al servizio
dei bisogni più basilari dell’umanità e sostenendo la collaborazione con le
comunità scientifiche locali”.
In un pianeta dove 800 milioni di persone non
hanno accesso al cibo e circa 2 miliardi soffrono di malnutrizione. Identificare
varietà più produttive e resilienti rispetto a condizioni ambientali
sfavorevoli e più in generale alle conseguenze del cambiamento climatico, oltre
che migliori sul piano nutrizionale, costituisce quindi una vera emergenza.
I miglioramenti si possono ottenere lungo tutta la filiera, a
partire dalla produzione, fino alla trasformazione e poi preparazione dei cibi, ma la ricerca può offrire un importante contributo nel suggerire
soluzioni a questa sfida.
Un cereale per dare energia al Pianeta
Il sorgo, per esempio, è alla base della dieta di oltre
100 milioni di persone, specialmente in Africa. Con il progetto Biosorg,
ricercatori della Fondazione Parco Tecnologico Padano, del Centre de Coopération Internationale en Recherche
Agronomique pour le Développement (CIRAD) e dell’Institut d'Economie Rurale (IER)
del Mali si sono cimentati prima di tutto nell’analisi della variabilità genetica
delle piante di sorgo, in modo da individuare, tramite tecniche di associazione
genica ad ampio spettro (genome wide association), le varietà che
combinino diverse caratteristiche con un’elevata produttività. I ricercatori si
sono concentrati sull’identificazione di varietà più nutrienti e
contemporaneamente resistenti alla siccità, una condizione che caratterizza gli
ecosistemi in cui il sorgo è coltivato nelle zone semi-aride dell’Africa
occidentale. Un ulteriore obiettivo del progetto è quello di identificare
varietà che combinino diverse destinazioni d’uso, oltre a quello alimentare, dalla
produzione di mangimistica e biocarburante fino all’ingegnerizzazione di biomateriali
per l’impiego nell’industria edilizia.
A tal fine è stata indagata la
composizione e la resa in termini di biomassa in un’ampia collezione di varietà
di sorgo e il relativo contenuto in zuccheri.
E’ noto che più alto è il contenuto di zucchero, meno resistenti
al calore sono le fibre ricavate dalle piante e minore la relativa elasticità
(quindi meno adatte queste fibre saranno per un impiego nello sviluppo di bio-materiali
da costruzione). Viceversa, lo zucchero è importante per estrarre dalle piante
il bioetanolo per scopi energetici. I ricercatori propongono quindi un approccio
di bioraffineria, che contempli l’estrazione dello zucchero per la produzione
di biogas e l’impiego delle fibre rimanenti per la produzione di biomateriali.
Infine, una parte del progetto Biosorg riguarda la modellizzazione
di scenari possibili in diversi contesti e lo studio delle implicazioni
socio-economiche dell’introduzione di varietà di sorgo che combinino finalità energetici
con la produzione di mangimi (caso di studio nel sud della Francia dove
attualemente si concentra la produzione di sorgo nel paese) o che combinino
finalità alimentari con la produzione di mangimistica (caso di studio in Mali). (video di presentazione del progetto)
Sostenibilità e accesso al cibo a tutti
Il mais è una delle colture di interesse agronomico più
diffuse al mondo, soprattutto per scopi alimentari, inclusa la produzione di
mangimistica per il comparto zootecnico. Il mais che conosciamo oggi è molto
diverso dal capostipite addomesticato dai primi agricoltori in Messico circa settemila
fa (il teosinte). Cruciale nel processo di domesticazione è il momento della
fioritura e lo sforzo nei secoli si è concentrato proprio nel selezionare
attraverso continui incroci varietà adattate a fiorire (e quindi produrre semi)
a latitudini diverse da quelle tropicali del Messico meridionale.
Il progetto Florimaize ha proprio lo scopo di conoscere meglio le
basi genetiche della variabilità nel periodo di fioritura del mais attraverso
lo studio di un gene particolare, che è coinvolto nell’induzione della
fioritura, ma svolge al contempo anche un ruolo nella regolazione dello
sviluppo della pianta e alcune indicazioni sperimentali indicano anche nella
resistenza alla siccità: il florigene (ZCN8).
Analisi di espressione genica hanno dimostrato che questo gene è molto sensibile alle condizioni ambientali:
l’aumentare della temperatura comporta una accumulo della proteina prodotta a
partire dal gene e verosimilmente questo induce una fioritura precoce, un
effetto analogo è osservato in condizioni di siccità. Ecco quindi che per
realizzare il sogno di ottenere la “pianta perfetta”, in grado di adattarsi al
cambiamento climatico in corso, è necessario capire meglio gli intricati
meccanismi e network molecolari in cui questo gene è coinvolto.
L’équipe di
Lucio Conti, dell’Università di Milano, insieme a ricercatori dell’Institut
National de la Recherete Agronomique (INRA) francese ha così allestito uno
studio di “reverse engineering” che consiste nel valutare sperimentalmente il
ruolo del gene nell’adattamento delle piante di mais e quindi associare le differenze
fenotipiche osservate nelle diverse piante analizzate (in termini di tempo di
fioritura, architettura della pianta…) con differenze a livello del genoma.
I
ricercatori hanno a disposizione un’ampia collezione di piante che vengono
coltivate in grandi serre dall’ambiente controllato.
In una seconda fase i
ricercatori si sposteranno in campo, grazie alla collaborazione con i
ricercatori del Kenya Agricultural Research Institute (KARI), in Kenya, dove le
analisi saranno svolte impiegando varietà adattate alle latitudini locali. Le
analisi condotte fino ad ora mostrano che l’espressione del gene è regolata in
relazione allo sviluppo della pianta (più la pianta è vecchia maggiore è l’accumulo
del gene), mentre la correlazione tra accumulo del prodotto del gene e induzione
della fioritura richiede ulteriori approfondimenti, segno forse che la
relazione fra genetica e comportamenti è più complessa di quanto si potesse
immaginare all’inizio e che analisi del network molecolare in cui il gene
agisce saranno indispensabili per una miglore comprensione dell’adattamento. (video di presentazione del progetto)
Microbi e piante, un matrimonio ben combinato
Anche il grano, cereale ben noto alle nostre latitudini,
risente fortemente dei cambiamenti climatici in corso.
Il progetto Mic Ceres si
è concentrato su un aspetto ancora poco studiato: le radici, che in realtà
svolgono una funzione essenziale per mantenere la pianta in salute e resistente
agli stress fisici e biologici che ne compromettono la crescita e le rese
produttive. Le radici, infatti, vivono in un terreno tutt’altro che asettico: i
microrganismi presenti nella rizosfera (la porzione di terreno in diretto
contatto con le radici della pianta) costituiscono infatti un microbiota che
interferisce positivamente o negativamente con lo sviluppo della pianta. La
ricerca condotta da Marcella Bracale dell’Università dell’Insubria e da Lionel
Moulin dell’Institut de Recherche pour le Développement (IRD), si prefigge di
individuare in questo microbiota la combinazione di batteri e funghi simbionti
con le radici della pianta di grano e in grado di proteggere la pianta stessa da
stress di natura biotica o abiotica (protettori biologici) e favorirne la
crescita (fertilizzanti biologici).
Dopo uno screening iniziale di questi microrganismi, i
ricercatori stanno sperimentando in alcune
piante l’inoculazione di diverse combinazioni dei microrganismi risultati benefici
e ne stanno anche studindo il percorso lungo la pianta stessa, grazie alla
marcatura di questi microrganismi con proteine colorate che consentono di
seguirne il tragitto entro i tessuti della radice e della pianta. Studi in
campo condotti in Africa, grazie alla collaborazione con i ricercatori degli
Istituti LCM-UCAD in Senegal e IRAD in Cameroon, consentiranno poi di valutare la
crescita delle varietà trattate in questo modo. (video di presentazione del progetto)
Miglio perlato: qualità e miglior resa grazie alla ricerca
Il miglio perlato è uno dei cereali strategici per la
sicurezza alimentare in paesi aridi o semiaridi (Africa subsahariana e India).
Come fa osservare la ricercatrice Francesca Sparvoli, dell’Istituto di Biologia
e Biotecnologia Agraria del CNR, si tratta di un cereale ben adattato a
crescere su terreni poveri e aridi. Si stima che circa 90 milioni di persone
che che vivono nell’Africa tropicale e in India dipendano da questa coltura,
che assume quindi un’importanza oltre che alimentare anche sul piano socio-economico.
Nonostante queste premesse, si tratta di “cereale orfano”, in particolare poche
sono le ricerche volte al miglioramento della relativa coltivazione, così come
gli interessi dell’industria e delle politiche alimentari. Eppure il
cambiamento climatico in atto con le relative conseguenze, rende questa coltura
una risorsa importante.
Va anche sottolineato che accanto all’adattabilità
che caratterizza il miglio perlato, si riscontra uno scarso valore nutrizionale
rispetto ad altri cereali.
Per questo il progetto New Pearl, condotto insieme
ai colleghi francesi dell’Institut de Recherche pour le Développement (IRD) ha scelto di concentrarsi su questa coltura con
l’oibiettivo per cercare di rendere questa pianta coltivata su un territorio di
oltre 15 milioni di ettari, più ricca sul piano nutrizionale e ancora più
resistente agli stress ambientali.
Anche in questo caso il progetto è partito dallo studio dell’estrema
variabilità fenotipica e genetica del miglio, da cui poter selezionare varietà
migliori. A questo fine sono stati analizzati in particolare due caratteri
della pianta: da un lato l’architettura delle radici, dall’altro la
composizione dei semi. Nel primo caso si è analizzata l’anatomia radicale, le interazione
con il microbiota della rizosfera, ma anche l’organizzazione cellulare e la
capacità delle radici di cedere carbonio al terreno.
Nei semi si è studiato il
contenuto in micronutrienti come il ferro e lo zinco, nonché altre componenti
anti-nutrizionali come l’acido fitico e alcuni flavoni, che servono alla pianta
per la crescita e per la difesa dai patogeni, ma che nell’uomo possono
provocare malattie quali il gozzo. “Nel
perseguire l’obiettivo nutrizionale, è quindi importante selezionare quelle
varietà in cui l’equilibrio tra le molecole di importanza nutrizionale e quelle
bioattive utili per la pianta sia a vantaggio delle prime”, spiega Francesca Sparvoli. “Non si tratta
dunque di cancellare i secondi a vantaggio degli elementi nutritivi, ma di
raggiungere un giusto equilibrio che salvaguardi la pianta e le caratteristiche
nutrizionali”. Anche in questo caso l’interesse dei ricercatori è volto alla
comprensione delle basi genetiche dell’accumulo di queste sostanze, al fine di
identificare le varietà migliori sul piano nutrizionale e con un’architettura
radicale che favorisca la crescita della pianta in terreni particolarmente
aridi e poveri.
Anche il progetto New Pearl prevede, accanto al lavoro in
laboratorio e in serra, prove in campi sperimentali in Senegal grazie alla
collaborazione con i ricercatori dell’ICRISAT Sahelian Center in Niger e dell’ISRA-LAPSE di Dakar e Thiès in Senegal, soprattutto per studiare la tolleranza delle
diverse varietà allo stress idrico. (video di presentazione del progetto)