La risoluzione 7-00203 presentata da Rossano Sasso e recentemente approvata promuove linee guida che escludano la presunta “ideologia gender” dall'educazione sessuale nelle scuole. Un approccio che ha suscitato proteste da parte di associazioni e opposizioni, che temono una limitazione nell'accesso a un'educazione sessuale inclusiva – e che i giovani restino privi di una formazione dal ruolo non indifferente per il loro benessere sessuale e affettivo.
Nell'immagine di copertina: il sit in di Arcigay e Tocca a noi a Genova. Crediti immagine di copertina: Arcigay/Tocca a noi
«E se qualcuno pensa di sostituirsi alle famiglie, magari con sedicenti esperti provenienti da associazioni Lgbtqia+, nell'educazione di bambini di 6 anni, troverà sempre nella Lega un muro insuperabile», ha affermato qualche giorno fa su Repubblica il sottosegretario all’Istruzione Rossano Sasso, commentando la recente approvazione della risoluzione 7-00203, Adozione di linee guida volte a favorire il rispetto delle differenze nel sistema scolastico.
Se le implicazioni della risoluzione non sono di per loro molto chiare, queste parole rendono intuibile dove si vuole andare a parare. E spiegano le proteste sia da parte dell’opposizione, sia di diverse associazioni che hanno partecipato in numerose piazze italiane al sit in Scuola libera tutt3 di Tocca a noi e Arcigay per manifestare la loro contrarietà.
Un’ideologia inesistente, un rischio di implicazioni concrete
E dire che è solo di qualche mese fa il documento pubblicato dal Gruppo di lavoro per la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Gruppo CRC) ispirato alle linee guida International technical guidance on sexuality education del 2018, volute dall’UNESCO. Vere linee guida internazionali che ribadiscono l’approccio adottato ormai da decine di Paesi nel mondo: la cosiddetta educazione sessuale comprensiva, cioè un modo di affrontare i temi della sessualità senza limitarsi a un insegnamento nozionistico della fisiologia dei rapporti sessuali e delle precauzioni per prevenire gravidanze indesiderate e malattie a trasmissione sessuale. Non basta educare a una sessualità consapevole, ribadisce il documento, bisogna educare anche all’affettività, integrando aspetti cognitivi, fisici, emotivi e sociali, per fornire a bambini, bambine e adolescenti non solo conoscenze, ma anche strumenti che consentano loro di aver cura della propria salute fisica e psicologica e del proprio benessere, sviluppando relazioni sociali e sessuali rispettose dei diritti di ogni persona coinvolta.
Il documento, presentato e discusso durante un convegno organizzato dal gruppo CRC, contiene anche la raccomandazione ai decisori politici di introdurre (finalmente!) l’educazione sessuale e affettiva comprensiva nelle scuole di ogni ordine e grado con programmi strutturali, omogenei sul territorio nazionale e il coinvolgimento di personale qualificato.
In teoria un punto di vista condiviso anche dalla risoluzione 7-00203, almeno nelle prime righe, salvo poi deragliare apertamente, quando introduce il richiamo all’ideologia gender: «Promuovere un adeguato confronto con tutti i soggetti interessati sulle tematiche dell'educazione affettiva e sessuale anche al fine di adottare linee guida valevoli per tutto il sistema nazionale d'istruzione che ribadiscano la necessità che lo spazio scolastico sia caratterizzato da un'adeguata neutralità, in qualsiasi forma di insegnamento scolastico e quindi assicurino che tutte le attività proposte nelle scuole del Paese rispondano a criteri di rispetto e di libertà che favoriscano la costruzione di un sapere critico per gli studenti escludendo che l'insegnamento scolastico venga utilizzato per propagandare tra i giovani, in modo unilaterale e acritico, modelli comportamentali ispirati alla cosiddetta “ideologia gender”».
Ed eccolo di nuovo lo spauracchio della cosiddetta “ideologia gender”, presente tanto nelle premesse («Le istituzioni scolastiche a volte vengono utilizzate come palco privilegiato per propagandare qualsiasi ideologia comprese quelle che attengono all'ideologia gender», per concludere con le parole del Papa, che dell’ideologia gender parla come di un «pericolo» e di una «brutta ideologia del nostro tempo») quanto nelle conclusioni della risoluzione. Ma per quanto ci si affanni a richiamarla e a ripeterla, l’“ideologia gender” è priva tanto di una base scientifica quanto, perfino, di una definizione universalmente accettata. Semmai, a essere riconosciuto e accettato dal punto di vista biomedico è che sesso, genere e orientamento sessuale concorrono tutti a formare l’identità sessuale di una persona e che questi elementi non sono per forza allineati ma possono invece disgiungersi in vari modi, come abbiamo raccontato qui.
D’altronde, anche gli studi su altre specie più o meno vicine alla nostra stanno mostrando quanto possa essere complessa, dal punto vista biologico (e non solo culturale) l’appartenenza sessuale. In tutto questo, come avevamo scritto qualche mese fa, c’è ben poco di ideologico – e dunque, a rigor di logica, trattare questi concetti non è certo contro «l’adeguata neutralità» citata dalla risoluzione leghista, anzi, sarebbe proprio la base per la «costruzione di un sapere critico» e la «crescita libera e consapevole degli adolescenti».
Insomma, per quanto non siano chiare le possibili implicazioni pratiche della risoluzione, che non contiene indicazioni esplicite su quella che dovrebbe essere l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole, l’impressione è che si affermi di voler promuovere un confronto tra tutti i soggetti interessati purché i gruppi Lgbtqia+ rimangano esclusi.
Eppure proprio questi gruppi potrebbero avere un ruolo importante nell’educazione in ambito scolastico contro i pregiudizi e la discriminazione, i cui impatti negativi sulla salute e sul benessere sono ampiamente documentati nella letteratura scientifica. E se è certo che la scuola non debba essere il «palco» di nessuno, è anche innegabile che sia un luogo fondamentale per l’educazione, compresa quella sessuale e affettiva. È di fine agosto il rapporto dell’Ufficio regionale per l’Europa dell’OMS dedicato alla salute sessuale tra gli adolescenti, quinto volume frutto di un vasto studio che ha coinvolto oltre 240.000 ragazzi e ragazze tra il 2014 e il 2022. Tra i risultati principali che ne emergono vi è il declino nell’uso dei preservativi, passato dal 70% al 61% tra i ragazzi e dal 63% al 57% tra le ragazze; inoltre, il 30% circa dei ragazzi e delle ragazze ha riportato di non aver usato né il preservativo né la pillola contraccettiva nell’ultimo rapporto sessuale.
«I risultati del rapporto sono sconfortanti, ma non sorprendenti. Un’educazione sessuale completa e adeguata all’età rimane trascurata in molti paesi e, dove è disponibile, è sempre più sotto attacco negli ultimi anni con la falsa premessa che incoraggi il comportamento sessuale. La verità è che fornire ai giovani le giuste conoscenze al momento giusto porta a risultati di salute ottimali legati a comportamenti e scelte responsabili», ha commentato Hans Henri P. Kluge, direttore Regionale per l’Europa dell’OMS.
Per un’educazione sessuale e affettiva a scuola
Che mettere le persone giovani in condizione di agire una sessualità consapevole e gioiosa sia argomento scivoloso lo testimoniano gli sforzi fatti ormai dal lontano 1994, quando alla Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo del Cairo, 179 Stati membri delle Nazioni Unite hanno convenuto sulla necessità di istituire nelle scuole programmi di educazione sessuale precoci e adeguati all’età, che potessero far decollare la consapevolezza e accompagnare lo sviluppo autonomo di un processo di scelta su se, quando e come aderire alla pratica sessuale. Con alterni risultati, come abbiamo visto.
L’Italia è proprio tra i paesi che trascurano le indicazioni delle Nazioni Unite. L’educazione sessuale e affettiva non è obbligatoria e sono le singole scuole a organizzarsi in autonomia per portare avanti corsi e momenti di approfondimento. A dispetto della legge n.107 del 2015, quella della cosiddetta “buona scuola” (e l’ultima in ordine di tempo) che prevedeva l’inserimento dell’educazione alla sessualità nella programmazione didattica, a tutt’oggi appena un terzo degli istituti, per lo più scuole secondarie, ha attivato iniziative, con una distribuzione eterogenea e limitata soprattutto alle Regioni settentrionali e spesso in collaborazione con associazioni o enti esterni. Ed è proprio contro il potenziale coinvolgimento di quelli che sono stati definiti “sedicenti esperti” delle associazioni Lgbtqia+ che si armano gli estensori della risoluzione 7-00203, che peraltro non trovano altrettanto discutibile che nelle scuole a parlare di educazione sessuale entrino gruppi contrari ai metodi contraccettivi (ed è utile ricordare che per le giovanissime italiane sotto i 15 anni che rimangono incinte, l’esito della gravidanza indesiderata è l’aborto nel 94% dei casi). Che dire poi, del festival Giovani Adulti conclusosi la scorsa settimana e rivolto alle scuole, che ha visto riunite figure quali Don Ambrogio Mazzai, prete seguitissimo su TikTok, le cui idee in tema di omosessualità non potrebbero essere più chiare?
L’OMS descrive la salute sessuale non come la mera assenza di una patologia ma: «Uno stato di benessere fisico, emotivo, mentale e sociale in relazione alla sessualità», privo di coercizione, discriminazione e violenza. Questi sono quindi gli aspetti che un programma educativo completo dovrebbe considerare; e pur non contenendo divieti espliciti, purtroppo l’enfasi sulla lotta contro una presunta “ideologia gender” della risoluzione di Sasso non sembra tanto promuovere il sapere critico, quanto minare ulteriormente la disponibilità di un’educazione sessuale e affettiva nel percorso scolastico.