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La risposta italiana contro l'epidemia

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Come per la crisi climatica, anche la riposta a un'epidemia lunga e difficile da estirpare come Covid-19 deve basarsi sui principi dell'adattamento. Negli ultimi anni la nostra sanità pubblica è stata irresponsabilmente indebolita e impoverita, e per il momento sta reggendo come può all'impatto dell'emergenza grazie alla generosità del personale sanitario e ai tanti gesti di solidarietà e mobilitazione collettiva. Ma a lungo andare bisognerà rimettere al centro energiche politiche di prevenzione. In zona Cesarini si può vincere una partita, non il campionato. Nell'immagine, "Il ritorno di Don Camillo," 1953.

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Come spiega Ilaria Capua, il virus della peste bovina, divenuto poi morbillo, si è spostato a piedi in un mondo non ancora globalizzato. «Covid-19 è figlio del traffico aereo ma non solo: le megalopoli che invadono territori e devastano ecosistemi creando situazioni di grande disequilibrio nel rapporto uomo-animale. La differenza con i virus del passato, conosciuti o sconosciuti (quelli che circolavano nell’era pre-microbiologica) è la velocità della diffusione e del contagio». Le parole della virologa, direttrice del One Health Center of Excellence dell’Università della Florida, ci ricordano che crisi ambientale e climatica ed emergenza epidemica hanno a ben vedere la stessa radice: l'insosteniblità dell'attuale modello di sviluppo.

Nella partita per arrestare Covid-19 siamo in zona Cesarini, e la risposta a cui assistiamo in queste problematiche settimane è quella tipica delle emergenze. Alla luce degli scenari più recenti della durata di questa epidemia, e della progressiva estensione delle misure di contenimento e isolamento, la risposta all’emergenza avrà dunque da tramutarsi in qualcosa di nuovo. Per contenere i danni e trovare una via di uscita, la strategia da mettere in campo sarà la stessa con cui affronteremo efficacemente a crisi climatica, e sarà fatta di prevenzione e di adattamento. Siamo pronti a questa sfida?  

Una sanità pubblica sempre meno universale

Una componente fondamentale della capacità di risposta a un’epidemia, o a una pandemia, è l’efficienza del sistema sanitario. Fin dalla sua istituzione nel 1978, i pilastri su cui il sistema sanitario italiano (SSN) si fonda sono l’universalità, l’uguaglianza e l’equità, e cioè l’estensione delle prestazioni sanitarie a tutta la popolazione, senza nessuna distinzione di condizioni individuali, sociali ed economiche, e la parità di accesso rispetto a uguali bisogni di salute. Si tratta di princìpi invidiati da molti Paesi nel mondo, e che rappresentano elementi preziosi per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite e della copertura sanitaria universale.

Secondo l’analisi del gruppo Global Burden of Disease (GBD) sul periodo 1990-2016 pubblicata su The Lancet, il SSN italiano si colloca al nono posto su 195 Paesi del mondo per qualità e accesso ai servizi sanitari, dopo Islanda, Norvegia, Olanda, Lussemburgo, Australia, Finlandia, Svizzera e Svezia. L’indice utilizzato dal GBD si chiama Healthcare Access and Quality, e tiene conto di fattori quali la mortalità, il rischio di malattie e la spesa sanitaria. Come affermano gli esperti italiani del GBD nel dicembre 2019 su The Lancet Public Health, l’Italia fornisce un buon esempio dei risultati che si possono ottenere da un mix di stili di vita relativamente sani e un sistema sanitario universale.

Sulla base dei dati di GBD, OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) e Osservatorio Europeo delle Politiche e dei Sistemi Sanitari, risulta essere uno dei migliori Paesi per la riduzione della mortalità per la maggior parte delle malattie e per la bassissima mortalità infantile a livello europeo e globale. Per quanto riguarda il tasso di ricoveri ospedalieri per malattie croniche, tra i più bassi in Europa, un importante ruolo è attribuito all’efficacia delle cure primarie erogate dai medici di famiglia. Infine, a conferma dell’efficacia e della tempestività delle cure, i tassi di sopravvivenza alle malattie oncologiche risultano (leggermente) sopra la media rispetto agli altri paesi dell’UE.

Qui però terminano le buone notizie e iniziano i punti deboli.

Come evidenzia il Global Burden of Disease, le principali sfide per il sistema sanitario italiano derivano dall’invecchiamento della popolazione e dalla diminuzione del finanziamento della sanità pubblica. L’Italia si aggiudica il secondo posto in Europa dopo la Spagna per l’aspettativa di vita (83,1 anni contro 80,9 della media europea – dati Eurostat 2017). Va ricordato che questa buona notizia è, al contempo, sintomo di una popolazione particolarmente sensibile e bisognosa di cure e assistenza sanitaria. Dal punto vista economico, le politiche di definanziamento e tagli hanno portato alla sottrazione nel decennio 2010-2019 di circa 37 miliardi di euro alla sanità pubblica italiana, mentre l’impresa privata acquista progressivamente terreno.

Quello a cui si assiste è il rischio di indebolimento dell’avanguardia di universalità ed eguaglianza della sanità, un taglio dei posti letto da 3,9 a 3,2 ogni 1.000 abitanti nel 2007-2017 (contro una media europea passata da 5,7 a 5 – dati Eurostat), la progressiva riduzione del personale infermieristico (5,8 infermieri per 1.000 abitanti contro 8,5 della media europea – dati Eurostat 2017) e medico (di cui la metà over 55), sia dei medici negli ospedali pubblici che dei medici di famiglia, e una minor disponibilità di risorse per l’acquisto di strumenti, presidi e attrezzature.

Sulla capacità tecnica di far fronte a un evento epidemico, negli anni 2018 e 2019 Nuclear Threat Initiative (NTI), Center for Health Security della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health ed Economist Intelligence Unit (EIU) hanno raccolto dati sui sistemi sanitari di tutto il mondo per sviluppare, da un panel di esperti, un indice denominato Global Health Security (GHS). Secondo il GHS Index, l’Italia si trova al trentunesimo posto su un totale di 195 nazioni. Fatta eccezione per la capacità di precoce individuazione e segnalazione del rischio epidemico, il GHS considera l’Italia solo mediamente preparata ad affrontare problemi di sicurezza sanitaria come le epidemie. Si parla di lacune nella prevenzione e nella risposta alla diffusione di patogeni, nell’efficacia verso i pazienti sommata alla protezione degli operatori sanitari, negli investimenti e nell’aderenza alle norme internazionali, e di vulnerabilità alle minacce biologiche. In generale, per il GHS, nessun Paese al mondo risulta oggi adeguatamente preparato ad affrontare problemi di sicurezza sanitaria.

La sanità italiana alle prese con l’epidemia

Come si traduce la situazione del SSN di fronte a un’emergenza è ciò che si apprende in questi giorni dai notiziari e dai puntuali aggiornamenti della Protezione Civile per Covid-19: una grande dedizione e qualità del lavoro svolto dagli operatori sanitari, con inevitabili criticità derivanti dall’operare con risorse limitate e da una confusa governance a livello nazionale. Per quanto riguarda i posti letto, al 17 marzo 2020 sono 2.060 i ricoverati in terapia intensiva.

Secondo le previsioni dell’Università di Bergamo e dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, pubblicate il 13 marzo su The Lancet, il picco delle infezioni potrebbe richiedere fino a 4.000 posti letto di terapia intensiva verso la metà di aprile. Se le stime si avverassero, a fronte di una disponibilità totale di 5.200 posti (pubblici e privati), questi numeri rappresenterebbero un problema. Secondo le recenti stime raccolte da Agi presso le Regioni, i posti letto in terapia intensiva dovrebbero arrivare a 6.100 entro fine marzo.

Per quanto riguarda il personale e gli strumenti, è del 3 marzo il comunicato del Coordinamento degli OPI (Ordini Professioni Infermieristiche) della Lombardia, i quali denunciano importanti difficoltà operative per la carenza di infermieri e per l’esiguità dei dispositivi di protezione individuale. All’appello degli OPI si sono recentemente unite le voci dei segretari regionali di Lombardia e Piemonte del sindacato Nursing Up. Quanto dichiarato lo scorso 13 marzo dal Presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici (FNOMCeO) Filippo Anelli, «La situazione in Lombardia è drammatica, i medici sono ancora messi nelle condizioni di lavorare con protezioni insufficienti, secondo le notizie che ci arrivano dagli Ordini. Ordini per lo più vuoti, costretti a chiudere perché anche gli impiegati, dopo i medici, sono ammalati o in quarantena per contatti con casi acclarati».

«Mancano i dispositivi individuali di sicurezza, maschere FFP3 e FFP2, visiere, guanti, sovracamici monouso. E cominciano a scarseggiare anche i tamponi. Nella nostra sede a Roma le bandiere sono a mezz’asta, il portale FNOMCeO è listato a lutto, e così rimarranno sino alla fine dell’emergenza, in memoria di Roberto Stella e degli altri medici caduti sul campo» ha concluso Anelli.

Stando ai dati dell’Istituto Superiore di Sanità, al 17 marzo sono oltre 2.600 gli operatori sanitari, tra medici, infermieri, assistenti e tecnici, risultati positivi a SARS-CoV-2, pari ad almeno il 9% del totale dei casi positivi finora registrati. È da ricordare che questo dato costituisce un triplice rischio, che riguarda la salute degli operatori, la progressiva riduzione del personale sanitario disponibile a causa dell’obbligo di quarantena, e l’accresciuto rischio di diffusione delle infezioni nosocomiali, causate dal contatto con operatori positivi al virus.

Intanto, cresce la corsa all’approvvigionamento di personale, presidi, ventilatori polmonari e di immobili per il rafforzamento delle strutture ospedaliere.

La risposta italiana alle emergenze

Per uscire da un’emergenza servono unione, collaborazione e condivisione. Vale per i politici e per gli esperti, per le nazioni, per le regioni, per le città e per i cittadini del mondo. Vale per lo spirito di squadra necessario ad affrontare con successo un’emergenza, e per la necessità impellente di condividere scoperte, tecnologie, risorse e buone pratiche. Lo scorso 11 marzo il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha affermato: «L’Italia sta attraversando una condizione difficile e la sua esperienza di contrasto alla diffusione del coronavirus sarà probabilmente utile per tutti i Paesi dell’Unione Europea. Si attende quindi, a buon diritto, quanto meno nel comune interesse, iniziative di solidarietà e non mosse che possono ostacolarne l’azione». Come ha dichiarato Ilaria Capua il 16 marzo, «Cara mamma Europa, le mamme sanno che quando le cose si fanno di corsa si sbaglia qualcosa. Ora però, ti prego, sbrigati, armonizza i protocolli. Abbiamo bisogno di direttive. Comunitarie».

Benché gli studi dicano che non sia il miglior Paese al mondo per la risposta a una pandemia, l’Italia resta per tutti un importante esempio per l’impegno, lo spirito di collaborazione e il rispetto della salute dei più deboli. Si è tanto parlato dei ragazzi in giro a fare aperitivi, di supermercati affollati e di treni gremìti per le fughe dal nord Italia. Che si parli dell’efficace stop alla mobilità. Che si parli degli epidemiologi, biologi, matematici, fisici e informatici d’Italia che da giorni uniscono le loro forze per affinare e verificare incessantemente le previsioni dei contagi e dei posti letto. Degli ingegneri che accorrono agli appelli degli ospedali stampando in 3D le valvole esaurite dei respiratori. Degli esperti che spiegano ai cittadini i dati dell’epidemia in corso. Degli insegnanti e dei divulgatori che organizzano lezioni e corsi online per i ragazzi a casa da scuola. Dei volontari che recuperano la spesa alle persone in difficoltà e che rispondono ai numeri di emergenza per fornire assistenza. E dei musicisti, che si affacciano alle finestre e commuovono il mondo con le loro note. E che sempre si parli degli operatori sanitari impegnati con tutte le loro forze ad affrontare l’emergenza del coronavirus fuori e dentro gli ospedali. L’adattamento degli italiani contro l’epidemia ci lascia un’importante lezione per il futuro. Una buona ricetta per la risposta alle emergenze, che si tratti di epidemia o di crisi climatica, è fatta di prevenzione e di solidarietà. 

Non è la prima volta che il fiume invade le nostre case. Un giorno però le acque si ritireranno, ed il sole ritornerà a splendere. Allora, ci ricorderemo della fratellanza che ci ha unito in queste ore terribili, e con la tenacia che Dio ci ha dato ricominceremo a lottare, perché il sole sia più splendente, perché i fiori siano più belli, e perché la miseria sparisca dalle nostre città e dai nostri villaggi. Dimenticheremo le discordie, e quando avremo voglia di morte cercheremo di sorridere, così tutto sarà più facile, e il nostro paese diventerà un piccolo paradiso in Terra.

(Il ritorno di Don Camillo, 1953)

 

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