Gli Elementi di Euclide sono uno dei grandi classici della cultura umana. E anche uno dei più attuali, tant’è che continua a essere il testo base non solo per chi si occupa di geometria, ma anche per chi si occupa, più in generale, di scienza. Davvero difficile sopravvalutarne l’importanza. Anche se spesso, l’importanza degli Elementi è stata ed è sottovalutata. Persino da qualche matematico.
Una nuova edizione critica
Il primo libro del capolavoro di Euclide è stato ritradotto dal greco e pubblicato nelle scorse settimane da Carocci (pagine 170, euro 18,00) con il titolo: Euclide: il I libro degli Elementi. Gli autori sono Lucio Russo, fisico, matematico ed esperto di storia della scienza ellenistica; Giuseppina Pirro, insegnante di latino e greco; Emanuela Salsiccia, insegnante di matematica e fisica. Queste ultime insegnano entrambe presso il liceo “Tasso” di Roma. E il libro è il frutto di un progetto che ha coinvolto in maniera attiva gli studenti del noto istituto scolastico della capitale.
Il risultato di questo lavoro realizzato a scuola non ha nulla di didascalico. Al contrario, il libro è il frutto di un’interpretazione critica originale (e convincente) sia di natura filologica, sia di natura epistemologica.
Consideriamo per primo l’aspetto della filologia. Del libro di Euclide esistono diverse versioni, anche in greco. Su queste versioni ha, come dire, lavorato la storia. Nel senso che, rispetto all’originale, che non possediamo, nel corso di duemila anni, sono state tolte e introdotte molte parti. Rimaneggiamenti e interpolazioni non facili da individuare. Gli autori della nuova traduzione hanno utilizzato come testo di riferimento gli Euclidis Elementa del filologo danese Johan Ludvig Heiberg e dello storico della matematica greco Evangelos S. Stamatis.
I due studiosi sono intervenuti sulle versioni più antiche e hanno proposto gli Euclidis Elementa con un taglio filologico preciso. Russo, Pirro e Salsiccia sono intervenuti a loro volta e, dal testo greco, con la traduzione a fronte, che propongono, hanno espunto tutti i passaggi ritenuti incongrui da un punto di vista strettamente matematico. Tutto quello che, a loro parere, Euclide non avrebbe mai potuto scrivere. Insomma, i passaggi la cui disomogeneità rispetto al pensiero del grande scienziato ellenista può essere colta più facilmente, appunto, da un matematico che non da un filologo. Quella dei tre italiani è certo un’operazione coraggiosa. Ed è stata realizzata al fine di rendere più semplice la comprensione dell’opera, anche da parte degli studenti. L’intervento di taglio ha riguardato anche alcune definizioni, oltre che le dimostrazioni delle proposizioni 4 e 8. Due proposizioni sono diventate postulati. In ogni caso, tutto ciò che è stato riclassificato o espunto dal testo è poi riportato in appendice.
Euclide padre del pensiero scientifico
Ma, probabilmente, l’operazione culturalmente più importante che Russo, Pirro e Salsiccia hanno operato insieme agli studenti del “Tasso” è quella di natura epistemologica. Con una rivalutazione (poi spiegheremo perché l’uso di questo termine) di Euclide: proposto come il vero padre del pensiero scientifico e, dunque, della scienza.
Della vita di Euclide si sa poco. Di certo si sa che ha lavorato presso la Biblioteca di Alessandria. I tre autori – con tutta la prudenza del caso – lo fanno nascere in Egitto, a Naucrati, sulla foce del Nilo e sostengono che, con ogni probabilità, sia stato attivo a cavallo del regno dei due Tolomeo (I e II), nella prima parte del III secolo a.C. La matematica, prima di Euclide, esisteva già. Esistevano in Grecia anche scuole di matematica. Ed esistevano anche le dimostrazioni matematiche. Così come esisteva già la logica deduttiva. D’altra parte non era stato forse Aristotele l’insegnante di Alessandro Magno che di Tolomeo Sotere (poi Tolomeo I) era stato amico e comandante?
La novità proposta da Euclide non è la dimostrazione logicamente rigorosa di tipo ipotetico-deduttivo, che filosofi e matematici applicavano a qualsivoglia evidenza (vera o presunta), ma una dimostrazione che parte ad albero da pochissimi postulati (considerati auto-evidenti) e definizioni e non li contraddice mai. È su questa base che Euclide nei tredici libri degli Elementi deduce 465 proposizioni. “I risultati esposti – scrivono Russo, Pirro e Salsiccia – erano già noti prima di Euclide, ma la novità degli Elementi consiste nell’aver costruito una struttura unitaria, riuscendo a ricondurre le catene dimostrative preesistenti a un piccolo numero di premesse individuate esplicitamente”.
Un sistema unitario e connesso
In definitiva, Euclide propone la geometria come un sistema intrinsecamente unitario e connesso. Ed è grazie a queste unità e compattezza che la geometria si propone come il ponte tra pensiero astratto e realtà fisica, che consente alla ricerca di diventare scienza a tutti gli effetti in epoca ellenistica. Ecco perché Euclide può (deve) essere considerato non solo il padre della moderna geometria, ma anche della scienza.
Ma perché qualche riga più su parliamo di rivalutazione di Euclide proposta da Russo, Pirro e Salsiccia? Per due ordini di ragioni: il primo, remoto; il secondo, estremamente attuale. L’ordine remoto di ragioni riguarda il fatto che la “nuova scienza”, come viene (anche) definita, si sviluppa nell’Europa del Seicento. E tuttavia l’Europa è stata l’ultimo dei continenti connessi a conoscere Euclide. La prima traduzione in latino degli Elementi (peraltro dall’arabo) è del 1120, a opera di Adelardo di Bath. Solo qualche decennio dopo il libro verrà tradotto (meglio) direttamente dal greco. In pratica l’Europa conosce Euclide con un millennio e mezzo di ritardo. Poi però lo assimila. Ma non fino in fondo.
Tant’è che ancora nel XX secolo ci sono matematici che pensano di fondare la loro disciplina non su enti – come i punti, le rette, i piani di Euclide – evidenti (nel senso proprio di visibili), ma su enti del tutto arbitrari. Per esempio il tedesco David Hilbert – tra i più grandi matematici del mondo a cavallo tra XIX e XX secolo – sosteneva che si poteva fondare, per via assiomatica, la geometria su qualsiasi tipo di enti: per esempio, tavoli, sedie e boccali di birra. Voleva dire che ciò che è importante non sono gli enti “visibili” come punto, retta e piano, ma il processo in sé di assiomatizzazione.
Hilbert non è l’unico matematico dei tempi più moderni a “relativizzare” in qualche modo Euclide. Ci sono, al contrario, molti che sostengono l’opportunità che la matematica si definisca in un mondo di astrazione, un empireo di purezza e rigore lontano dalla realtà del mondo fisico, con tutte le sue impurezze e imperfezioni.
La fondazione "costruttivista" della geometria
Ma Euclide aveva fondato la geometria in maniera affatto diversa. Costruttivista. Sulla più rigorosa dimostrazione, certo. Ma partendo da enti concreti: quelli che potevano essere rappresentati su carta con una semplice riga e un compasso. E infatti, non a caso, la sua geometria è stata la base rigorosa su cui fondare la ricerca scientifica sulla realtà naturale (lui stesso scrisse, per esempio, di ottica).
Russo, Pirro e Salsiccia propongono, dunque, di “ritornare a Euclide” non solo nella fondazione della matematica e nel rapporto tra la matematica e le scienze naturali, ma anche a scuola. Abbandonando un approccio didattico, in qualche modo neoplatonico (precedente, peraltro, a Euclide), di separazione dal mondo reale e recuperando, invece, l’approccio costruttivista di Euclide, che si relaziona con la realtà del mondo.
Cover:
Raffaello Sanzio, "Scuola d'Atene" (particolare), Stanze Vaticane, Roma.