Un recente studio mostra l’efficacia di un drone costruito come un falco, e pilotato in modo da volare come questo predatore, nell’allontanare gli uccelli dagli aeroporti ed evitare così le collisioni con i velivoli, che rappresentano un grosso danno economico annuale e un rischio per la sicurezza. Il RobotFalcon non è però solo uno strumento per limitare le collisioni: è anche al centro di un nuovo progetto di ricerca su come le personalità degli individui influenzano le dinamiche di gruppo, come quelle che si osservano negli stormi di molte specie di uccelli.
Crediti immagine: Robert Musters
Un drone “travestito” da falco, in grado di volare e cacciare come farebbe il falco vero, per tenere lontani gli uccelli dagli aeroporti: nel mondo della robotica bioispirata, ossia nella quale i robot sono sviluppati a partire dallo studio di particolari modelli biologici, dalle piante agli animali, quello del RobotFalcon è un modello relativamente semplice. Ma, secondo un articolo recentemente pubblicato sul Journal of the Royal Society Interface, anche efficace per affrontare un problema di lunga data, quello delle collisioni degli aeroplani con gli uccelli.
Come allontanare gli uccelli dagli aeroporti?
Le collisioni degli aerei con stormi di volatili non sono un problema banale: secondo alcune stime, i cosiddetti bird strikes possono costare all’aviazione civile oltre 1,4 miliardi di dollari ogni anno a livello globale, a causa dei danni riportati dai velivoli, dei rientri e atterraggi d’emergenza con conseguenti ritardi e così via. E, purtroppo, non sono mancati incidenti mortali (basti pensare al rischio corso dal volo US Airways 1549 nel 2009). Non stupisce quindi che, in tutto il mondo, vengano continuamente proposte ed esplorate diverse strategie per allontanare i volatili dagli aeroporti, dai deterrenti acustici e visivi, per esempio usando rumori forti o silhouette di cani, rapaci o altri predatori, fino a metodi decisamente più invasivi, come accecare gli uccelli con i laser o lo sparare o impiegare la falconeria.
«Il problema è di difficile soluzione: gli uccelli sono spesso attratti dagli aeroporti, per esempio perché si trovano in genere circondati da distese di campi, perché non ci sono cacciatori né pesticidi e così via», spiega Claudio Carere, etologo del Dipartimento di Scienze Ecologiche e Biologiche dell’Università della Tuscia e co-autore del nuovo articolo. «Sono infatti stati testati anche metodi volti a rendere meno ospitale per gli uccelli l’ambiente aeroportuale, ma l’efficacia di queste strategie è risultata limitata o nulla. Per questo, con i colleghi dell’Università di Groningen, nei Paesi Bassi, abbiamo voluto sperimentare una soluzione diversa: un falco robotico, cioè un drone che non solo ha la forma e i colori del predatore reale ma è anche pilotato in modo da imitarne in modo praticamente perfetto il volo e le tecniche di caccia».
Studiando il volo e le dinamiche preda-predatore
La scelta della specie predatrice da imitare è caduta sul falco pellegrino, perché è una specie cosmopolita che caccia un vasto numero di specie, tra cui quelle che popolano gli aeroporti in diverse parti del mondo. Le tecniche di volo e predazione di questa specie, inoltre, sono state ben studiate. Ma la ricerca non si è basata solo sulle conoscenze su questa specie: «Parte delle conoscenze che sono state impiegate per mettere a punto il RobotFalcon provengono dal progetto StarFlag, coordinato da Giorgio Parisi e formato da un gruppo internazionale di partner. Durante il progetto, terminato nel 2007, abbiamo studiato i movimenti collettivi degli storni, che creano gruppi straordinariamente ben coordinati e, a Roma, abbiamo studiato le dinamiche che s’instaurano tra questi e il predatore», spiega Carere. «Il falco caccia con diverse modalità: può attaccare direttamente lo stormo, inseguirlo, raggiungerlo dal basso o dall’alto… Per esempio, una delle strategie che si riscontra più di frequente è l’inseguimento con attacchi ripetuti. Ma la tecnica di caccia impiegata dipende anche dalla risposta dello stormo. Abbiamo quindi dovuto studiare e modellizzare anche quest’ultima per stabilire come il pilota deve modulare e direzionare il RobotFalcon per renderlo “credibile” agli uccelli, ricreando le dinamiche che si verificano in natura».
Crediti immagine: Robert Musters
L’efficacia del RobotFalcon è stata studiata valutando, nel corso di tre mesi, come le azioni di deterrenza influenzassero un parametro detto “distanza di fuga” - in sostanza, la misura che indica a quale distanza l’uccello si allontana dalla minaccia: più è grande, più l’uccello è spaventato. Questo ha permesso di capire non solo se effettivamente gli uccelli che si ritrovano più frequentemente nell’area degli aeroporti (come corvidi, storni, gabbiani) si allontanassero, ma anche e soprattutto se si verificasse l’abituazione, cioè quel meccanismo di apprendimento in base al quale gli animali, accorgendosi che il finto predatore non crea alcun danno, smettono di temerlo. «Se ci fosse abituazione, nel tempo la distanza di fuga si dovrebbe ridurre ma, nel corso dei mesi di test, questa è sempre rimasta elevata», spiega Carere. «E questo ci fornisce una prova (indiretta, perché non possiamo avere la certezza che gli individui allontanati siano sempre gli stessi) del risultato positivo del robot». Confrontando il RobotFalcon con un drone tradizionale, il primo sembra quindi particolarmente efficace ad allontanare gli uccelli dalle aree d’interesse, sgombrandole per un tempo sufficientemente lungo a garantire, per esempio, il decollo e l’atterraggio di un aereo. Il tutto senza danneggiare i volatili, se si esclude il naturale stress della presenza del (finto) predatore.
Dalla ricerca applicata a quella di base
Una soluzione quindi apparentemente semplice, che potrebbe essere descritta come uno spaventapasseri tecnologicamente avanzato, ma che potrebbe essere in grado di tutelare gli aeroporti senza danneggiare gli animali. E che potrebbe essere resa ulteriormente raffinata. «Per esempio, stiamo iniziando alcuni test nel quale vengono impiegati due falchi-robot, così da aumentare la pressione predatoria. Un’altra possibile estensione è combinare il RobotFalcon con uno strumento che emette il grido d’angoscia degli storni, un verso molto forte che l’animale emette a volte quando è appena stato ghermito e che contribuisce a confondere il falco che, preso di sorpresa, lascia la presa e consente la fuga. Questo consentirebbe ad aumentare la credibilità del robot», spiega il ricercatore.
In generale, inoltre, il RobotFalcon fa da base e spunto di partenza per un recentissimo progetto di rilevante interesse nazionale (PRIN), nel quale lo studio si allarga ad altri predatori, come l’astore e l’aquila, e specie preda (per esempio su quelle che danneggiano le acquacolture, come gli aironi e i cormorani). E non solo, perché il nuovo progetto non prevede solo questi elementi di ricerca strettamente applicata ma anche una parte di ricerca di base che consentirà di ampliare le conoscenze sui movimenti collettivi degli uccelli. Infatti, il RobotFalcon diventerà lo strumento per studiare le relazioni tra personalità degli individui dello stormo e le risposte collettive al predatore. «L’idea è di selezionare un piccolo gruppo di piccioni viaggiatori (Columba liva domestica), equipaggiando ogni individuo con vari strumenti di monitoraggio, come GPS e accelerometro. In questo modo, possiamo raccogliere informazioni come il tempo di rientro alla piccionaia e la coesione del gruppo, analizzando per ciascuno caratteristiche individuali e mettendole in relazione alla dinamica dello stormo. In altre parole, ci poniamo nell’ottica di studiare come la personalità individuale influenzi la performance di un certo gruppo quando è esposto a un pericolo improvviso, un meccanismo ancora assai poco noto, anche per gli umani», conclude Carere.