
Presentata a gennaio 2025 la più impegnativa proposta di riforma dell’Organizzazione mondiale della sanità, in parallelo con la furia distruttrice avviata dalla nuova amministrazione Trump. Sarà possibile e sostenibile, considerando tra l’altro che una riorganizzazione strutturale deve passare dallo scambio e dalla condivisione delle conoscenze scientifiche con l’intera comunità globale?
Il 29 maggio 2020, il presidente Donald Trump annunciava che gli Stati Uniti avrebbero interrotto i rapporti con l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e reindirizzato i fondi alle priorità sanitarie globali degli Stati Uniti. A giustificazione del provvedimento la cattiva gestione da parte dell'OMS della pandemia di Covid-19, l’incapacità di adottare azioni urgenti in altre crisi sanitarie globali e l'insufficiente indipendenza dalla politica degli Stati Membri con maggior potere decisionale. Il provvedimento, tuttavia, non fece in tempo a essere attuato perché era arrivato a ridosso della fine del mandato (20 gennaio 2021) della prima amministrazione Trump. Succedendo a Trump, Joe Biden venne eletto (anche) per il fallimento del suo predecessore nel contenere la pandemia che minacciava la salute globale e la sicurezza nazionale. Il nuovo presidente fu quindi costretto a sostenere il diritto fondamentale alla salute e alle cure come bene pubblico globale, dichiarato (anche) dalla Costituzione dell’OMS. Favorita, inoltre, dai limiti normativi nazionali e internazionali delle procedure per ritirarsi dall’OMS, l’amministrazione Biden ha quindi “ritirato” il ritiro di Trump.
Il 20 gennaio 2025, all’atto del suo nuovo insediamento, il presidente degli Stati Uniti ha riconfermato il ritiro dall'OMS, con le stesse motivazioni del 2020, cui ha aggiunto la continua richiesta da parte dell’OMS di pagamenti onerosi per gli Stati Uniti, ben sproporzionati rispetto a quelli stimati di altri Paesi, come per esempio la Cina, che con una popolazione di 1,4 miliardi (300 volte la popolazione degli Stati Uniti) contribuisce all’OMS per quasi il 90 percento in meno dell’amministrazione americana.
Quattro, quindi, i punti essenziali a giustificazione del provvedimento: l’inefficienza a gestire le emergenze sanitarie globali, l’incapacità ad attuare interventi urgenti, la mancata indipendenza dell’Organizzazione dall’influenza politica di alcuni Stati Membri, i costi onerosi e iniqui di partecipazione per gli Stati Uniti.
Il governo della salute per tutti
Secondo la Costituzione dell’OMS, l’obiettivo dell’Organizzazione è «il raggiungimento, da parte di tutte le popolazioni, del più alto livello possibile di salute», definita come «uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale» e non semplicemente «assenza di malattie o infermità». Vi aderiscono 194 Stati Membri di tutto il mondo, divisi in sei regioni (Europa, Americhe, Africa, Mediterraneo Orientale, Pacifico Occidentale e Sud-Est Asiatico). L’Italia ha aderito ufficialmente all’OMS l’11 aprile 1947. Il Ministero della Salute cura i rapporti con l’agenzia, collaborando alle sue attività, partecipando agli organi di governo e attuando le relative convenzioni e programmi sanitari internazionali. Compito dell’OMS e degli Stati Membri è quello di garantire “la salute per tutti”: uno dei diritti umani universali perché fondamentali.
Due sono le azioni principali da parte dell’OMS per perseguire questa missione: stilare e aggiornare specifiche e appropriate raccomandazioni, indicazioni e linee guida; mettere in atto e favorire azioni, anche accompagnando gli Stati Membri nella loro attuazione. Sulla rilevanza del primo di questi obiettivi difficile raccogliere dissensi, mentre sulle modalità dell’accompagnamento alla loro attuazione si raccolgono maggiori voci critiche. I mutamenti nella situazione politica internazionale e i miglioramenti economici e sociali raggiunti in molti Paesi negli ultimi decenni hanno creato condizioni di maggior benessere per molte popolazioni, ma anche intensificato le disuguaglianze. Un aggiornamento, non dei principi, quindi, ma dei processi per la loro attuazione è necessario. Così come è necessario un aggiornamento della governance. (A questi temi Scienza in rete ha dedicato un webinar lo scorso 6 febbraio).
Certamente tra i piani da aggiornare o riformulare ci sono quelli di prevenzione e contenimento delle emergenze sanitarie globali, quale è stata la pandemia da Covid-19 (SARS-CoV-2 proveniente dalla città di Wuhan in Cina). Piani, aggiornati ed efficaci, di cui disporre per prepararsi a una nuova pandemia, basati anche sugli insegnamenti delle precedenti, successe in epoca OMS (l’influenza asiatica da virus influenzale AH2N2 del 1957 proveniente dalla penisola di Yunan, in Cina; l’influenza di Hong Kong del virus influenzale AH3N2 del 1968; la pandemia causata dal virus dell’immunodeficienza umana - HIV a partire dal 1981). Ed è vero che la pandemia di Covid-19, ha evidenziato, purtroppo, gravi carenze sia per la prevenzione che per la gestione e la terapia di una nuova e grave infezione di ampia e rapida diffusione per contagio.
Il gioco complesso degli equilibri
Nove i direttori generali che sinora si sono alternati con incarichi tecnici e amministrativi, scelti dal Consiglio Esecutivo dell’OMS; nessuno americano. Il primo (1948-1953) fu il medico militare canadese Brock Chisholm, che nel 1948 fondò la Federazione mondiale per la salute mentale e scrisse un saggio (ancora) innovativo, Can people learn to learn?, contro i tabù locali, nazionali, religiosi e genitoriali creati dalla lingua, dalle culture e dalle istituzioni politiche, descrivendo realtà locali di Paesi orientali e occidentali. La persona giusta per il mandato e il futuro dell’OMS. Un altro direttore generale (1973-1988) che ha ben interpretato la missione dell’OMS è stato il danese Halfdan Mahler che nel 1978 lanciò, ad Alma-Ata, l'iniziativa Salute per tutti entro il 2000, con la partecipazione di 134 nazioni che si impegnarono a implementare il suo approccio incentrato sull'istruzione, sulla promozione di una corretta alimentazione, sulla fornitura di acqua potabile e servizi igienici di base, sull'assistenza sanitaria materna e infantile, sulle vaccinazioni e sull'accesso ai farmaci essenziali. «L'obiettivo non era quello di sradicare tutte le malattie e le patologie entro il 2000, sapevamo che sarebbe stato impossibile. Il nostro obiettivo era quello di focalizzare l'attenzione mondiale sulle disuguaglianze sanitarie e sul tentativo di raggiungere un livello accettabile di salute, equamente distribuito in tutto il mondo» come ebbe a spiegare (The Lancet 2017. 389; 10064: 30).
Per decenni, quindi, l'OMS ha rappresentato un modello di cooperazione internazionale, coordinando le risposte alle epidemie, promuovendo lo scambio scientifico, stabilendo norme e fornendo un'inestimabile assistenza tecnica. Tuttavia, da anni si trova di fronte a difficoltà economiche e l’annuncio degli Stati Uniti renderà la situazione più grave. Alcune delle misure intraprese (allineamento strategico delle risorse con le attività; congelamento delle assunzioni; riduzione delle spese di viaggio; rinegoziazione dei contratti di appalto e riduzione degli investimenti di capitale) potranno correggere (in parte) il bilancio di esercizio, ma ben altre dovrebbero essere le azioni politiche ed economiche da intraprendere a partire dalla ridefinizione dei bisogni, della trasparenza, della partecipazione per la garanzia del diritto alla salute per tutti e ovunque.
Le critiche alla gestione dei costi dell’OMS non sono recenti e si alternano periodicamente con intensità diversa, anche in relazione alla convergenza politica degli Stati Membri che nominano il Direttore generale, grazie a una procedura che può essere interessante conoscere. È l’Assemblea mondiale della sanità a nominare il Direttore generale, con voto a scrutinio segreto, da almeno i due terzi degli aventi diritto, per la durata di 5 anni. Gli Stati Membri propongono i propri candidati nell’anno precedente all’elezione e il Consiglio esecutivo propone quelli con le più frequenti indicazioni. Il Direttore generale è sottoposto all’autorità del Consiglio (composto di trentaquattro persone designate da altrettanti Stati Membri).
Uno dei momenti più aspri fu in occasione della presentazione del Rapporto economico (Executive Summary Health System Financing) del 2010 con direttrice la cinese Margaret Chan (2007-2013) che si trovò a gestire, non senza polemiche e scarsi insegnamenti dalla storia pregressa, l’epidemia da virus influenzale AH1N1 iniziata in Messico nel 2009. Fu quella un’occasione di ampia critica, perché il rapporto sosteneva che circa il 20-40% delle risorse spese per la salute nei diversi Paesi venivano nei fatti sprecate, risorse che avrebbero potuto essere reindirizzate verso il raggiungimento della copertura universale. Le critiche vertevano sul fatto che queste stesse considerazioni riferite ai diversi servizi sanitari nazionali potevano esser fatte anche per la gestione complessiva dell’agenzia ONU per la salute.
La più ambiziosa proposta di riforma. Ancora sostenibile?
L’OMS riceve i suoi finanziamenti da due fonti principali: gli Stati Membri che versano i contributi stabiliti (le quote associative dei Paesi: una percentuale del prodotto interno lordo concordata ogni due anni dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite). Nel periodo 2022-2023, hanno costituito il 12% del bilancio totale. Ci sono poi i contributi volontari dagli Stati, da altre organizzazioni delle Nazioni Unite, da organizzazioni intergovernative, fondazioni filantropiche e dal settore privato, pari all’81% del finanziamento totale. Il restante 7% proviene da altre fonti. Gli Stati Uniti finora sono stati di gran lunga il maggiore donatore volontario, con poco più di 1 miliardo di dollari donati (15,6% del bilancio totale dell’OMS) seguiti dalla Fondazione Melinda e Bill Gates (12,7%), dalla Germania (11,1%), dall’Alleanza GAVI (7,4%), dalla Commissione europea (7,2%), dal Rotary Internazionale e dal Canada (2,7% rispettivamente). La Cina contribuisce con lo 0,6%, mentre l’Italia con lo 0,1%. Il budget complessivo dell’OMS nel biennio 2022.2023 è stato di 6.833 milioni di dollari.
Un quadro che indica una dipendenza dell’OMS da contributi volontari e vincolati che crea una situazione in cui i donatori esterni dettano le priorità e l’agenda d’azione dell’Organizzazione, avendo quindi un ruolo determinante per la salute globale. Gli sforzi di riforma dell’OMS iniziati due decenni fa, con l’obiettivo di renderla un’organizzazione più snella, efficace, reattiva, trasparente e responsabile, impegnata a migliorare i risultati sanitari, sviluppando una capacità e una cultura per essere in grado di rispondere alle nuove emergenze sanitarie globali con sufficiente rapidità, agilità e appropriatezza, purtroppo sono risultati a tutt’oggi inefficaci.
Al danese Søren Brostrøm, membro dell’Executive Board, è stato affidato nel 2021 il compito di produrre un documento (che tenesse conto anche di tutti quelli stilati nei decenni passati) per una riforma dell’OMS. Dopo quattro anni di lavoro il team da lui coordinato ha prodotto «la più ambiziosa agenda di riforma nella storia dell’OMS›› presentata all’Assemblea Generale nel maggio 2024 e pubblicata nel gennaio 2025. Tre le aree strategiche indicate per la prossima fase di trasformazione: dare priorità allo sviluppo e al benessere della forza lavoro dell’OMS per garantire di avere il talento e la capacità di realizzare la missione dell’Organizzazione; offrire un supporto differenziato in base alle esigenze dei singoli Paesi, assicurando che il lavoro abbia un impatto misurabile sul campo; sfruttare la tecnologia e i dati per migliorare il processo decisionale ei risultati sanitari a livello globale. Ma quanto è sostenibile questa strategia? Con quali finanziamenti e quali partnership?
L’abbandono degli USA, solo una mossa tattica?
L’uscita degli Stati Uniti dall’OMS avrà quindi ripercussioni economiche su un’Organizzazione già in difficoltà, ma rappresenta anche una battuta d'arresto importante per la diplomazia sanitaria e la collaborazione scientifica, lasciando l'OMS più debole e gli Stati Uniti isolati, quando le sfide sanitarie globali e le emergenze richiederanno unità. Storicamente, per esempio, programmi per combattere l'AIDS, la tubercolosi e la malaria sono stati finanziati per gran parte dagli Stati Uniti, quindi il loro ritiro mina non solo le finanze, ma i programmi stessi della missione dell’OMS. L'influenza e la posizione degli Stati Uniti nel mondo, anche in ambito sanitario, muteranno i processi di aiuto e solidarietà perché i valori di riferimento dei nuovi decisori sono diversi. Il ritiro dall’OMS non «rende l’America di nuovo sana» (Make America Healthy Again), ma minaccia anche i suoi interessi nazionali e la salute della popolazione americana.
Bisogna tuttavia considerare che l’annunciata uscita degli Stati Uniti dall’OMS è una mossa tattica di una strategia politica complessa i cui esiti sono ignoti agli stessi artefici. Per tutto il 2025 nulla cambierà: si vedrà e deciderà tutto nel 2026. I pagamenti degli Stati Membri, infatti, sono stabiliti su base biennale, quindi la sospensione avviene a partire dall’anno successivo alla comunicazione. Il sogno del MAGA (Make America Great Again) potrebbe passare anche per la Direzione generale dell’OMS e di altre organizzazioni internazionali. La bizzarria dell’attuale amministrazione americana potrebbe continuare a stupire.
La situazione attuale si è creata perché è venuto meno il riconoscimento del ruolo essenziale dell’OMS a difesa e per il miglioramento della salute globale. È quindi indispensabile che l’intera comunità scientifica internazionale e quella civile contribuiscano al recupero e alla ridefinizione di una governance per la salute per tutti a livello internazionale e locale.
Così come è insufficiente e inefficace limitarsi a ribadire che, in Italia, il Servizio sanitario nazionale deve essere pubblico e universalistico, se non fa seguito una riforma sanitaria strutturale e innovativa, analogamente anche per l’OMS non sarà, comunque, sufficiente rimarcare la necessità della sua presenza “storica”.
Condividere le conoscenze scientifiche con la comunità globale
Ma per cambiare servono risorse umane (esperte) ed economiche (adeguate). Per colmare il vuoto di finanziamenti e leadership determinato dall’abbandono americano servirebbe un’Unione Europea espressione di una rete concorde e volitiva. Cosa che purtroppo non è. Inoltre, la scarsa concordia raggiunta tra le nazioni europee sarà ulteriormente minacciata dalla relazione face to face che l’amministrazione americana va instaurando con i singoli Paesi. Pensare che i principali Stati Membri donatori e in particolare quelli europei (l'Unione Europea, la Francia, la Germania e il Regno Unito) aumentino il loro contributo è irrealistico anche in considerazione delle attuali situazioni politiche interne ai singoli Stati. Così come è irrealistico (e pericoloso in mancanza di una solida public health governance) che siano le organizzazioni filantropiche e gli individui facoltosi a colmare le lacune nei finanziamenti (e che lo facciano in modo disinteressato). Alcune nazioni BRICS (per esempio, Brasile, Cina, India e Sudafrica) potrebbero contribuire maggiormente all’OMS, soprattutto con sovvenzioni non vincolate a fronte di un maggior spazio decisionale sulle attività dell’Organizzazione. Gli Stati del Golfo, che hanno enormi capacità finanziarie e interessi nell'affrontare le sfide sanitarie e politiche in Medio Oriente, potrebbero intensificare il loro impegno per sostenere l'OMS e la sicurezza sanitaria globale. Il sostegno attivo all’OMS potrebbe passare non solo dal denaro, ma anche dalla messa a disposizione di personale esperto direttamente da parte degli Stati Membri, in modo diverso da quanto fatto spesso sinora (in modo clientelare o di appartenenza al potere politico).
Ma una riorganizzazione strutturale non può non passare dallo scambio e dalla condivisione delle conoscenze scientifiche. La rete costituita dai Centri collaborativi in università, ospedali, istituti di ricerca e laboratori attivi nel supportare l'OMS andrebbe aggiornata, riformulata e resa più efficiente. Scambio e condivisione delle conoscenze scientifiche che devono essere prodotte, intensificate e mantenute per la comunità globale, quindi con un’informazione adeguata, appropriata e condivisa dalla comunità scientifica internazionale (l’OMS come garante) per l’intera popolazione, così da contrastare la disinformazione e lo scetticismo scientifico.
Purtroppo questi auspici rischiano di rimanere solo desideri perché la necessità di una riforma strutturale non è solo dell’OMS, ma di molte (tutte?) le Agenzie internazionali a partire dall’Organizzazione delle Nazioni Unite. L’ONU, fondata sugli equilibri della fine della Seconda guerra mondiale, necessiterebbe di essere aggiornata o addirittura rifondata sulla base delle attuali condizioni dei popoli e dei Paesi. I princìpi che ne determinarono la nascita sono ancora attuali, ma l’inefficacia dimostrata in molte occasioni nell’attuare iniziative per il mantenimento della pace e della sicurezza mondiale, lo sviluppo di relazioni amichevoli tra le nazioni e il perseguimento di una cooperazione internazionale, indica la necessità di una sua rifondazione. L’inefficienza burocratica, gli sprechi, gli episodi di corruzione, l’inadeguatezza di alcuni programmi e interventi, la riluttanza degli Stati Membri a raggiungere o applicare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza, o ancora, per esempio, il “diritto di veto” riconosciuto a cinque Stati più uguali degli altri (Usa, Russia, Cina, Inghilterra e Francia) hanno caratterizzato spesso l’azione dell’ONU e quella dei suoi enti, fondi e agenzie specializzate, tra le quali l’OMS, o del suo organo giudiziario (la Corte internazionale di giustizia con sede a l’Aja). Servono lungimiranza, volontà e generosità: caratteristiche che mal si addicono alla politica (anche) internazionale. Per l’OMS? Sì, ma non solo.