Un gruppo di ricercatori dell'Università di Hokkaido ha fornito la prima prova sperimentale dell'esistenza di un nuovo tipo di legame chimico: il legame covalente a singolo elettrone, teorizzato da Linus Pauling nel 1931 ma mai verificato fino ad ora. Utilizzando derivati dell’esafeniletano (HPE), gli scienziati sono riusciti a stabilizzare questo legame insolito tra due atomi di carbonio e a studiarlo con tecniche spettroscopiche e di diffrattometria a raggi X. È una scoperta che apre nuove prospettive nella comprensione della chimica dei legami e potrebbe portare allo sviluppo di nuovi materiali con applicazioni innovative.
Nell'immagine di copertina: studio del legame sigma con diffrattometria a raggi X. Crediti: Yusuke Ishigaki
Dopo quasi un anno di revisione, lo scorso 25 settembre è stato pubblicato su Nature uno studio che sta facendo molto parlare di sé, soprattutto fra i chimici. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Hokkaido ha infatti sintetizzato una molecola che ha dimostrato sperimentalmente l’esistenza di un nuovo tipo di legame chimico, qualcosa che non capita così spesso.
In un mondo in cui siamo più o meno abituati alle conferenze stampa roboanti della NASA e all’annuncio di un nuovo farmaco miracoloso praticamente ogni settimana, rimane comunque un evento raro assistere a titoli altrettanto grandiosi riguardanti la chimica, e in particolare la chimica di base, eppure negli ultimi giorni sono fioccati gli annunci su come questa scoperta avrebbe rivoluzionato i libri di chimica e tutto ciò che sappiamo dei legami. E sicuramente è piuttosto tangibile l’eccitazione della comunità chimica di fronte a una pubblicazione che, in ogni caso, ha dell’incredibile, forse proprio perché non accade così spesso, ma è forse altrettanto prematuro correre a ritirare i libri di chimica generale per un aggiornamento.
Ma prima di capire perché questo studio è così importante nella comprensione dei legami chimici covalenti, partiamo dall’inizio e parliamo di cos’è un legame covalente. Un legame covalente si ha quando due atomi mettono in comune uno o più elettroni a testa, creando quindi intorno a loro una sorta di “nube” elettronica condivisa concentrata nello spazio fra i due nuclei atomici. Senza scendere nei particolari, questa condivisione degli elettroni abbassa l’energia e rende la molecola più stabile, creando quindi il legame chimico, le cui caratteristiche (lunghezza, forza, sbilanciamento elettronico verso l’uno o l’altro atomo, eccetera) dipendono dalle caratteristiche degli atomi coinvolti nel legame stesso. Più o meno questa definizione di legame covalente è rimasta inalterata fin da quando fu formulata da Lewis nel 1916 ed è stata provata sperimentalmente più e più volte, tanto da essere considerata ormai una delle basi della chimica moderna.
Nel 1931 in realtà Linus Pauling aveva proposto in linea teorica la possibilità che esistesse un legame covalente in cui un solo elettrone (e non due) era in condivisione fra due atomi. Questa teoria, che lui esemplificò con la molecola H2+, non è mai stata verificata sperimentalmente e viene utilizzata in linea di massima per visualizzare stati di transizione instabili. Il problema di questo tipo di legame ipotizzato da Pauling, chiamato legame sigma a singolo elettrone, è che risulta essere estremamente instabile e quindi qualsiasi molecola che lo presentasse sarebbe soggetta immediatamente a un riarrangiamento elettronico di qualche tipo, come avviene per esempio in reazioni come la trasposizione di Cope, oppure in rarissimi casi in reazioni chimiche in cui sono coinvolti radicali. In ogni caso non sono mai state isolate e sono sempre state studiate a livello teorico.
I ricercatori dello studio pubblicato su Nature hanno invece sfruttato le caratteristiche di una classe di molecole, i derivati dell’esafeniletano (HPE), per poter sintetizzare e studiare a livello spettroscopico, questo tipo di legame. A causa delle caratteristiche intrinseche degli HPE, il legame carbonio-carbonio che si trova al centro della molecola è molto più lungo e questa insolita lunghezza ha fatto sì che fosse possibile ottenere un legame a singolo elettrone stabile rimuovendo uno dei due elettroni del legame fra gli atomi di carbonio. I ricercatori sono stati poi in grado di studiarlo sia utilizzando tecniche di spettroscopia, sia attraverso la diffrattometria a raggi X, di fatto “fotografando” un nuovo tipo di legame chimico che fino a quel momento rimaneva nel campo delle ipotesi.
L’impresa del gruppo di Hokkaido è sicuramente notevole e il quasi anno necessario alla revisione è un po’ la conferma di quanto si stia parlando di un articolo dalle potenzialità rivoluzionarie in una disciplina come la chimica che, per quanto sia sempre all’avanguardia in moltissimi campi di applicazione, non regala spesso grandi emozioni nelle sue parti più teoriche e di base. Non sorprende, quindi, che i toni con cui è stata data la notizia dell’uscita di questo paper siano stati spesso fin troppo entusiastici. Sicuramente siamo ancora in una fase preliminare e questo studio va replicato e convalidato prima di poter inserire il legame a singolo elettrone nei testi di chimica generale. Di certo le potenzialità per rivoluzionare ciò che sappiamo sui legami chimici ci sono, ma la strada è ancora lunga.
Ciò che appare, invece, più concreto, è esemplificato nelle parole dell’autore principale dell’articolo, Takuya Shimajiri: «Questi risultati costituiscono quindi la prima prova sperimentale di un legame covalente carbonio-carbonio a singolo elettrone, che può aprire la strada a ulteriori sviluppi della chimica di questo tipo di legame scarsamente esplorato».
La comprensione più approfondita del funzionamento dei legami chimici, e in particolare di questo tipo di legame in cui è coinvolto un numero dispari di elettroni, è molto importante perché permette al mondo scientifico di approfondire il funzionamento della materia e di poter quindi ampliare la gamma di applicazioni nelle scienze dei materiali e non solo. La presenza di elettroni in numero dispari, così come la presenza di radicali, è spesso associata con la tendenza dei materiali a condurre elettricità, e lo studio di legami sigma a singolo elettrone potrebbe aprire la strada alla progettazione di nuovi materiali e nuove applicazioni. Insomma, un primo step, apparentemente solo legato alla parte spesso considerata più noiosa della chimica generale, che potenzialmente potrebbe rivoluzionare ciò che sappiamo e condurci a nuove e più sofisticate applicazioni pratiche. Forse valeva la pena aspettare un anno per vederlo.