fbpx Screening oncologici: quanto pesa il ritardo dovuto alla pandemia | Scienza in rete

Screening oncologici: quanto pesa il ritardo dovuto alla pandemia

Primary tabs

A causa della pandemia di Covid-19, l'attività di screening per il tumore al seno, alla cervice uterina e al colon-retto è stata sospesa nei mesi di marzo e aprile 2020 in tutto il territorio nazionale. A partire da maggio, l’offerta di screening è ripresa, ma le attività sono state riprogrammate con tempistiche, intensità e modalità diverse fra le varie Regioni e anche all’interno della stessa Regione. Un rapporto redatto dall'Osservatorio nazionale screening stima i ritardi che si stanno accumulando nella diagnosi oncologica di popolazione e la velocità di ripartenza dei programmi nelle diverse Regioni.

Crediti immagine: PDPics/Pixabay

Tempo di lettura: 5 mins

Oltre un milione di esami di screening in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, un ritardo medio nella proposta degli esami diagnostici di tre mesi e la stima di lesioni tumorali non individuate pari a 2.099 carcinomi mammari, 1.676 lesioni della cervice uterina, 611 carcinomi del colon retto e quasi 4.000 adenomi avanzati. Sono i risultati di una prima indagine realizzata dall’Osservatorio nazionale screening (Ons) sugli effetti della pandemia sull’offerta di prevenzione oncologica tramite i tre screening (mammella, utero e colon retto) compresi nei Lea, i livelli essenziali di assistenza del Servizio sanitario nazionale.

L’Ons, il network cui il ministero della Salute ha affidato l’attività di supporto e di monitoraggio della qualità dell’offerta dei programmi di screening, ha recentemente pubblicato sul proprio sito un primo rapporto che stima i ritardi che si stanno accumulando nella diagnosi oncologica di popolazione e la velocità di ripartenza dei programmi nelle diverse Regioni. L’attività dello screening, infatti, è stata sospesa nei mesi di marzo e aprile 2020 in tutto il territorio nazionale. A partire da maggio l’offerta di screening è ripresa, ma le attività sono state riprogrammate con tempistiche, intensità e modalità diverse fra le varie Regioni, e anche all’interno della stessa Regione.

I dati dell’Osservatorio sono il frutto di un'indagine che ha interessato tutti i coordinatori regionali dei programmi di screening oncologico, cui hanno risposto 20 fra Regioni e Province Autonome su 21. Tutti gli indicatori considerati si basano sul confronto con le attività negli stessi periodi dell’anno precedente.

Una ripresa sì, ma lenta

Complessivamente gli esami di screening sono ripartiti nel maggio 2020 in 13 regioni per lo screening mammografico e cervicale e in 11 per quello del colon-retto. L’indagine Ons ha scelto di considerare “ripartite” le Regioni che sono riuscite a realizzare almeno 20 test di screening, senza considerare i soli inviti fatti. Il Rapporto mostra così per ogni Regione e per ogni tipo di screening il ritardo accumulato in numeri assoluti e in percentuale: lo screening mammografico registra una riduzione del 53,8% di test eseguiti rispetto all’anno precedente. Per lo stesso periodo, la riduzione arriva al 54,9% nello screening colorettale e al 55,3% in quello cervicale.

Il confronto con il numero degli esami realizzati nel mese di maggio 2019 serve a monitorare la velocità di ripresa dei programmi e mostra che le Regioni che sono ripartite hanno comunque eseguito un numero ridotto di esami. Per lo screening mammografico solo cinque Regioni (Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Toscana e Valle D'Aosta) nel mese di maggio hanno eseguito almeno un numero pari al 20% degli esami eseguiti nello stesso mese del 2019. Lo stesso vale per lo screening cervicale (Abruzzo, Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Toscana e Valle D'Aosta). E solo due fra Regioni e Province autonome (Alto Adige e Toscana) nel mese di maggio hanno eseguito più del 20% degli esami eseguiti nello stesso periodo del 2019, per quanto riguarda lo screening colorettale.

Il rapporto considera, infine, numero di mesi di attività che sarebbero necessari per recuperare il ritardo accumulato se i programmi mantenessero le stesse modalità organizzative del periodo precedente la pandemia. Moltiplicando la proporzione di test in meno effettuati nei primi cinque mesi del 2020 per i cinque mesi che compongono il periodo considerato, si rileva un ritardo medio 2,7 mesi per lo screening mammografico e di 2,8 mesi per i programmi colorettale e cervicale.

Affinché il ritardo non aumenti

Valutare l’impatto che l’emergenza pandemica ha avuto e continua ad avere sull’offerta di salute pubblica, fornisce dati chiari a partire dai quali riorganizzare i servizi sanitari in maniera efficace, portando avanti scelte votate alla maggiore appropriatezza.

Rispetto a questi dati ci sono due considerazioni da fare: la riduzione del numero dei test effettuati dopo l’arrivo della pandemia dipende non solo dalla riduzione degli inviti, ma anche dalla tendenziale minore partecipazione nella fase immediatamente precedente il lockdown e successivamente alla riapertura. Al momento il ritardo diagnostico medio accumulato è ancora abbastanza limitato e probabilmente non sono molto accentuate le conseguenze cliniche, la possibilità cioè di peggioramento nelle condizioni delle persone sottoposte a screening.

D’altra parte, il ritardo sta crescendo sia in relazione alle nuove modalità organizzative necessarie per garantire il distanziamento fisico degli utenti, sia per i tempi di ripresa delle Regioni. Stravolti in termini di organizzazione delle prestazioni e del personale, i servizi sanitari in Italia hanno visto cambiare il proprio volto durante i mesi più duri della pandemia, con una separazione fra attività non differibili e altre ritenute procrastinabili.

Fra queste ultime sono stati inseriti i programmi di popolazione per la prevenzione oncologica. Si sono interrogati su questa scelta diversi esperti e operatori di screening, pur consapevoli della situazione inedita di emergenza, del drenaggio di personale verso altri reparti e dell’impossibilità per molti centri screening di garantire nella prima fase le misure di sicurezza per personale e cittadini. È emerso con forza il timore di un’ambivalenza costante nel mondo della prevenzione oncologica: l’essere considerata attività ancillare e procrastinabile, che mostra nell’assenza il proprio essere drammaticamente necessaria. Da quel dibattito emergeva la necessità di ribadire e rafforzare il “modello screening”.

La risposta a questa situazione critica da parte dei decisori a vari livelli non può essere una generica raccomandazione a effettuare test di screening, ma al contrario esigere uno sforzo di risorse e di impegno perché il ritardo sia colmato nel più breve tempo possibile. La necessità primaria è che vengano riavviati al più presto tutti i programmi di screening e che si investano risorse aggiuntive per potere recuperare il ritardo che si sta accumulando.

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Diagnosi di HIV in crescita dopo il COVID: i numeri del 2023

Dopo la pandemia di Covid-19, per la prima volta da quasi dieci anni, sono aumentate in Italia le infezioni da HIV, molte delle quali diagnosticate in fase già avanzata (AIDS), soprattutto tra le persone eterosessuali. Sono alcuni dai dati che emergono dal report del Centro Operativo AIDS (COA) dell’Istituto Superiore di Sanità e che, in occasione della Giornata mondiale contro l'AIDS che si celebra il 1 dicembre, riportiamo in questo articolo.

Le diagnosi di infezione da HIV continuano ad aumentare, invertendo la decrescita che, prima della pandemia di Covid-19, durava da quasi dieci anni. Secondo i dati pubblicati dal Centro Operativo AIDS (COA) dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 2023 sono stati registrati 2.349 nuovi casi, che arrivano a circa 2.500 tenendo conto delle segnalazioni ancora da registrare.