fbpx Scuola, crescita e nuove tecnologie: e ora che si fa? | Scienza in rete

Scuola, crescita e nuove tecnologie: e ora che si fa?

Primary tabs

Studente di terza elementare mentre studia da casa (foto di Aaron Keck).

Tempo di lettura: 6 mins

1665, Londra. La peste si sta diffondendo e solo un ristretto numero di medici, farmacisti ed ecclesiastici rimane nella capitale per aiutare a limitare il contagio, mentre la maggior parte della popolazione si ritira nelle campagne. Tra questi Isaac Newton, da poco laureato, che per sfuggire alla peste torna in terra natia lasciando Cambridge dove da poco aveva iniziato un “master,” a causa della chiusura dell’università. 

Questi saranno per lui anni fondamentali e proficui in cui getterà le basi dei lavori sulla gravitazione e sull’ottica, occupandosi di matematica e fisica più di quanto non fece successivamente. Stessa storia negli ultimi giorni di febbraio 2020. Chiusura delle scuole e assalto ai treni da parte di studenti fuori sede desiderosi di tornare a casa, dove proseguire alla meno peggio gli studi “online”.

Lockdown e crescita della persona

Nasceranno nuovi Newton da questo lockdown? O, come si sente dire, questi mesi di aule vuote sono andati irrimediabilmente perduti? “La distinzione tra vita virtuale e reale - e quindi fra scuola in presenza e online - è superata dall’intrecciarsi di queste due dimensioni”, spiega Matteo Lancini, psicoterapeuta, presidente della Fondazione Minotauro di Milano e docente presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università Milano-Bicocca. “Già da tempo ormai si cresce in questa commistione di vita reale e virtuale. Cortili e giardinetti hanno lasciato posto alle piazze virtuali. Ora bisogna accettare questa nuova vita onlife, educando i giovani all’uso consapevole di internet, piuttosto che limitarlo come se fosse di ostacolo all’apprendimento”. 

Ma mesi passati senza scuola o con collegamenti più o meno improvvisati con gli insegnanti attraverso i computer  non hanno portato a una perdita secca a livello educativo? 

“Quello che ha sofferto di più in questi mesi di lockdown non è la perdita di nozioni (in qualche modo recuperabili) ma la relazione educativa. Ma questa può essere l’occasione per lavorare sulle altre aree della crescita, come la comprensione del dolore. Con una serie di iniziative si è voluto bandire la solitudine e la noia dal processo di crescita. Se gli adulti e la scuola sapranno utilizzare questa esperienza così peculiare di isolamento forzato per fare i conti con la fallibilità e la morte che hanno accompagnato questi mesi, si potrebbe aprire un’opportunità di crescita importante per queste generazioni. Una crescita che è anche culturale, affettiva, capace magari di correggere alcuni eccessi della società pre-coronavirus.” 

Che tipo di crescita?

Uno dei problemi della società è la rimozione dei fallimenti dal percorso di crescita. Invece gli inciampi e i dolori che ne seguono fanno parte della crescita. Ora dipende da come gli adulti sapranno parlare di questi aspetti legati all’emergenza per renderli materia importante di formazione personale e anche professionalmente. Per questo ritengo che abbiano lavorato meglio quegli insegnanti che hanno approfittato di questa occasione per fare lezioni su quanto stava accadendo”. 

Le nuove opportunità della didattica a distanza

Se la crisi che stiamo ancora vivendo può suggerire alla scuola un processo di riflessione e di crescita, la didattica a distanza  cui siamo stati forzati potrebbe rappresentare anche una scoperta positiva, se non utilizzata in via esclusiva. Ma a quali condizioni? Ne abbiamo parlato con Lorella Giannandrea, docente di Tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento all’Università di Macerata. 

Pare aprirsi grazie all’emergenza una nuova stagione della didattica. Dal suo osservatorio, come si è svolta questa fase “sperimentale” di avvicinamento dei docenti alla modalità poco conosciuta dell’insegnamento online? 

Il rischio, almeno all’inizio, è stato quello di riprodurre le modalità di lavoro e le strategie che venivano utilizzate nella didattica in presenza. Purtroppo questo modo di lavorare si è rivelato subito poco efficace: in effetti i ragazzi non riescono a seguire una lezione frontale in videoconferenza per tempi lunghi, e tendono a distrarsi e a trovare strategie per sfuggire all’ascolto della lezione. Questa situazione molto impegnativa dal punto di vista cognitivo rappresenta una sfida anche per gli studenti più coinvolti e competenti, ma rischia di diventare un ostacolo insormontabile per gli studenti in difficoltà e in generale per tutti quegli studenti che fanno fatica a concentrarsi, o che prediligono modalità di approccio allo studio e ai contenuti non legate ai codici visuali e verbali. 

Come cambia il ruolo del docente nella didattica online rispetto a quella in presenza? 

Nella didattica online il docente è - per così dire - assente. Se è vero che nella didattica online si perdono molti aspetti che rendono viva la comunicazione, come gli atteggiamenti del corpo, la dimensione non verbale, ecc., è altrettanto vero che la presenza online del docente si caratterizza per una diversa azione: ha il compito di predisporre l’ambiente, il compito, le risorse e le modalità di lavoro per mettere l’allievo in condizione di apprendere in autonomia. Se il docente riesce a essere consapevole di questo cambiamento, riuscirà a proporre attività didattiche anche più ricche e coinvolgenti di alcune lezioni in presenza. Si tratta di assumere quel ruolo di consulente, facilitatore, tutor che spesso viene richiamato in letteratura, ma a cui la nostra scuola non è ancora abituata. 

È possibile mantenere un certo grado di empatia e di comprensione degli alunni anche attraverso la didattica online? 

Sicuramente sì. A condizione di prendere coscienza che si tratta di una situazione diversa, che richiede modalità di relazione differenti. Un problema è rappresentato dai tempi. Molte scuole hanno riproposto un tempo scuola simile a quello in presenza, mentre altre hanno concentrato l’attività didattica in una o due ore giornaliere. Se si pretende di mantenere invariata la quantità e la tipologia di attività da svolgere, chiaramente il tempo che il docente può dedicare alla relazione risulta compresso, se non del tutto assente. 

Che caratteristiche dovrebbe aver secondo lei questa nuova didattica? 

Se l’obiettivo è fare in modo che gli alunni partecipino attivamente, dovremo progettare attività in cui gli studenti sono chiamati a progettare, a studiare problemi e proporre soluzioni, a collaborare sfruttando gli strumenti della comunicazione online. La didattica a distanza ci toglie qualcosa, ma ci offre anche risorse che la presenza non consente. Pensiamo alla possibilità di registrare le interazioni e riascoltarle, pensiamo alla documentazione che una piattaforma ci permette di conservare e rivedere. Tutti questi strumenti ci permettono di rivedere i lavori fatti, di riflettere sui progressi e sugli errori, ci permettono di mostrare ai compagni i nostri lavori e ricevere valutazioni e consulenza dai pari. 

C’è il rischio che questa modalità di apprendimento penalizzi ancora di più ragazzi disabili o i ragazzi con difficoltà nell’apprendimento? 

C’è questo rischio, ma ci sono anche soluzioni per limitarlo o superarlo. In linea teorica, l’utilizzo dell’online consente al docente una multimodalità, una multicanalità che nella didattica tradizionale di solito non è presente. Ad esempio, per una lezione in videoconferenza possono essere disponibili registrazioni audio, possono essere utilizzati i sottotitoli, possono essere previsti differenti materiali di studio (tradizionali materiali testuali, filmati, materiali audio-video per gli studenti con bisogni speciali o con problemi legati a dislessia o limitazioni sensoriali). Anche per la consegna dei compiti possono essere usati strumenti diversi venendo incontro alle esigenze specifiche del singolo studente. 

Un altro rischio è che la didattica a distanza approfondisca le disuguaglianze legate al digital divide.

Sappiamo che alcune aree del paese sono ancora coperte parzialmente o non raggiunte da internet. Inoltre, per alcune famiglie in situazione di disagio economico o sociale non è garantita la possibilità di offrire a tutti i figli una strumentazione adeguata all’accesso alle attività della scuola. In tutti questi casi, la scuola e i comuni dovrebbero chiedersi come fare per garantire a tutti l’accesso all’istruzione, un diritto irrinunciabile e in quanto tale sancito dalla Costituzione. 

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La COP29 delude. Ma quanti soldi servono per fermare il cambiamento climatico?

Il presidente della COP 29 di Baku, Mukhtar Babayev, chiude i lavori con applausi più di sollievo che di entusiasmo. Per fortuna è finita. Il tradizionale tour de force che come d'abitudine è terminato in ritardo, disegna un compromesso che scontenta molti. Promette 300 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare la transizione, rimandando al 2035 la "promessa" di 1.300 miliardi annui richiesti. Passi avanti si sono fatti sull'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, che regola il mercato del carbonio, e sul tema della trasparenza. Quella di Baku si conferma come la COP della finanza. Che ha comunque un ruolo importante da giocare, come spiega un report di cui parla questo articolo.

La COP 29 di Baku si è chiusa un giorno in ritardo con un testo variamente criticato, soprattutto dai paesi in via di sviluppo che hanno poca responsabilità ma molti danni derivanti dai cambiamenti climatici in corso. I 300 miliardi di dollari all'anno invece dei 1.300 miliardi considerati necessari per affrontare la transizione sono stati commentati così da Tina Stege, inviata delle Isole Marshall per il clima: «Ce ne andiamo con una piccola parte dei finanziamenti di cui i paesi vulnerabili al clima hanno urgentemente bisogno. Non è neanche lontanamente sufficiente.