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Scuola: lettera aperta per una gestione consapevole

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Lettera aperta alla Ministra dell’Istruzione, al Ministro della Salute, al Coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico per un adeguamento delle misure anti-Covid-19 agli standard di conoscenza scientifica attualmente disponibili.

Immagine: Pixabay License.

Tempo di lettura: 18 mins

Lettera aperta
alla Ministra dell’Istruzione
al Ministro della Salute
al Coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico

Ai tempi del virus SARS-CoV-2, le decisioni sulla scuola sono fra le più difficili da adottare. Si tratta di comparare rischi complessi, in un contesto non agevolato dalle politiche scolastiche dei decenni precedenti. Sono quindi comprensibili le cautele e anche le preoccupazioni dei decisori, persino quando appaiono eccessive. Oggi però esiste, a nostro avviso, evidenza scientifica sufficiente per riesaminare alcune delle decisioni sin qui adottate allo scopo di meglio conciliare l'esigenza di contenere il virus in ogni ambiente con le specificità del contesto scolastico e con le esigenze di socialità, cultura e apprendimento di ragazzi e bambini.

Le misure di prevenzione adottate in Italia sono infatti estremamente stringenti per la scuola, la cui ripresa è stata regolamentata come se essa fosse il contesto sociale con il più alto rischio di contagio del virus. In realtà, allo stato attuale gli studi epidemiologici nazionali e internazionali pubblicati sulle migliori riviste scientifiche (di cui riportiamo i riferimenti in bibliografia) mostrano che

  • i giovani si ammalano meno di Covid-19;
  • al contrario di quanto avviene per l'influenza, il ruolo dei più giovani nella trasmissione di SARS-CoV-2 è limitato;
  • la trasmissione bambino-adulto è meno frequente rispetto a quella tra adulti;
  • la riapertura delle scuole non è stata associata ad un significativo incremento della diffusione del virus.

Pur consapevoli, quindi, che il decisore abbia giustamente ispirato le proprie scelte al principio di massima cautela, temiamo e riteniamo che le misure adottate (sulla base dei dati di alcuni mesi fa), alla luce di queste nuove acquisizioni, possano risultare sproporzionate, penalizzanti e deprivanti; riteniamo altresì che queste misure rischino di diventare discriminatorie nel momento in cui disposizioni regionali o locali si sovrappongano a quelle governative. Riteniamo che tale affastellamento normativo tenda a generare una disarmonia amministrativa che può creare grosse difficoltà agli stessi insegnanti e dirigenti scolastici, investiti della responsabilità di trovare o inventare soluzioni per garantire il rispetto delle stesse norme nei contesti più diversi.

Ravvisiamo inoltre una forte discrepanza tra le regole applicate dentro la scuola e quelle meno stringenti che gli alunni e gli adulti debbono osservare non appena rientrano nella loro usuale vita di relazione. Questa discrepanza, a parità di situazioni, costringe bambini e ragazzi a vivere in modo incoerente e illogico il rapporto con le regole stesse, con il rischio che il senso di responsabilità sia minato e il rispetto delle misure ridotto a una pura formalità. Questo fatto, oltre che inutilmente vessatorio, è altamente diseducativo, dal momento che fa perdere ogni credibilità a regole che valgono soltanto oltre un cancello, e a chi le applica.

Si prenda l’esempio – uno fra i tanti – dei contatti indiretti che avvengono attraverso gli oggetti. Tali contatti sono assolutamente interdetti nella scuola, fino all’estremo della quarantena per i compiti in classe e delle sanzioni per lo scambio di una penna, o per un gesto di solidarietà come aiutare un compagno ad aprire una borraccia, gesti che sono invece all’ordine del giorno, per chiunque, da mesi. Non sfugge ai bambini ed ai ragazzi, infatti, che in tutti gli altri contesti di quotidiana normalità non sono poste le stesse limitazioni: è consentito lo scambio dei contanti, sfogliare lo stesso quotidiano al bar, toccare lo stesso pacco di pasta sullo scaffale di un supermercato, e tutti gli innumerevoli gesti che ogni bambino e ragazzo compie in famiglia, con gli amici e con gli estranei.

Considerato che le misure adottate comportano per una intera generazione inevitabili effetti “collaterali” seri e indiscutibili (per i quali riportiamo le evidenze già presenti nella letteratura scientifica), con privazioni di ordine psicologico, sociale, cognitivo, didattico, fisico, alimentare, riteniamo che il “principio di massima precauzione” sin qui adottato vada aggiornato e rapportato alle evidenze scientifiche, poiché la rincorsa del rischio zero e di una epidemiologia difensiva comporta altrettanti rischi per la società intera.

Sosteniamo convintamente che la “precauzione”, dove comporti essa stessa problematiche e controindicazioni, debba sempre essere proporzionata e giustificata.

Aggiungiamo che il modo in cui il dossier di aprile della Fondazione Kessler è stato interpretato e divulgato dai media – condizionando in modo determinante e a lungo termine l’opinione pubblica – non può più essere la base vincolante per le scelte sulla gestione delle scuole. Fortunatamente l’esperienza nei vari Paesi europei che hanno riaperto le scuole con svariate modalità dopo il lockdown, pur trovandosi nelle condizioni epidemiologiche più diverse, ha mostrato che quelle previsioni non erano realistiche e che la ripresa dell'attività didattica in presenza, con maggiori o minori misure di contenimento, non ha inciso significativamente sull’andamento epidemiologico né sul carico ospedaliero.

L’appello

Sulla base di queste considerazioni e delle referenze scientifiche che alleghiamo, ci permettiamo di sottoporre alla vostra attenzione le seguenti proposte:

1. Auspichiamo che le misure introdotte nelle scuole vengano rimodulate sulla base delle evidenze scientifiche disponibili, considerando una valutazione rigorosa del rapporto rischi/benefici.

2. Suggeriamo che le autorità politiche e sanitarie e le istituzioni competenti affrontino il tema dei danni collaterali causati a bambini e ragazzi dalle misure anti-COVID-19, abbandonando l’atteggiamento della epidemiologia difensiva e tenendo in giusta considerazione anche i rischi che riguardano il lockdown, la chiusura prolungata delle scuole, le norme imposte per ridurre i rischi, la didattica a distanza/didattica digitale, e in generale le nuove regole che hanno modificato radicalmente la vita quotidiana all’interno della scuola. Questo relativamente agli aspetti sanitari, fisici, psicologici, relazionali, cognitivi, didattici. Chiediamo che su questo aspetto ci sia una comunicazione trasparente e completa da parte delle istituzioni.

3. Premesso che le mascherine – quando utilizzate correttamente e limitatamente ai casi in cui è necessario (due aspetti peraltro collegati) – sono un presidio importante e riconosciuto per il contenimento della COVID-19, proponiamo che il loro uso da parte dei giovani venga uniformato ai criteri elaborati dalla stessa OMS. Il rapporto mascherine/bambini è stato descritto come problematico e potenzialmente dannoso nel documento OMS-UNICEF del 21 agosto. Chiediamo quindi prima di tutto di rimuovere l’obbligo di mascherina per i bambini sotto i 12 anni, in ogni circostanza in cui non ci sia un rischio evidente, compreso il contesto scolastico, in linea con le recenti indicazioni dell’OMS e dell’UNICEF, e come già attuato da diversi governi europei, anche con situazioni epidemiologiche più importanti di quella italiana. Come prescrive il documento OMS-UNICEF citato, la mascherina sotto i 12 anni va considerata solo in situazioni in cui sia registrata una “diffusa trasmissione” del virus e comunque valutando sempre anche “il possibile impatto di indossare la mascherina sull’apprendimento e sullo sviluppo psico-sociale”.

4. Proponiamo che venga rimodulato l’obbligo della mascherina nelle scuole di ogni grado, nei momenti di “staticità” e di “non staticità” rispetto al parametro temporale: sappiamo che un lasso di 15 minuti è il tempo necessario perché si concretizzi il rischio di una trasmissione del virus da “contatto stretto”, secondo le indicazioni delle autorità politiche e sanitarie, e considerato che la stessa App Immuni è impostata per segnalare un rischio di contagio in funzione di questa tempistica. Ci riferiamo per esempio all’entrata e all’uscita da scuola (ove non tale da creare lunghe code), agli spostamenti nei corridoi per andare in bagno, a mensa, in altre aule, agli spostamenti interni alla classe come andare alla lavagna, all’intervallo e così via. Sono momenti secondari rispetto alla funzione didattica della scuola, ma importanti per la vita sociale, la serenità e la migliore concentrazione degli studenti.

5. In tutti gli altri casi (cioè: pausa più lunga dopo il pranzo, in locali chiusi, a partire dai 12 anni) in cui nel contesto scolastico fosse comunque richiesto l’uso di mascherina, chiediamo che sia favorito e incentivato con apposite comunicazioni l’uso di mascherine lavabili, sicure, ecologiche e rispondenti a tutti i criteri individuati, da distribuire in forma gratuita e con adeguata regolarità a tutti gli studenti. Riducendo contemporaneamente la produzione e distribuzione di mascherine chirurgiche monouso. La produzione e lo smaltimento di decine di milioni di mascherine chirurgiche monouso non differenziabili costituiranno un importante danno ambientale, segnalato dall’ISPRA e da diverse associazioni per la tutela dell’ambiente.

6. Riguardo agli asili nido e alle scuole dell’infanzia chiediamo che venga disincentivato l’uso della mascherina coprente da parte di maestre e maestri –  gli adulti con cui in molti casi i bambini passano la maggior parte del loro tempo vigile – a favore di diversi e più accoglienti metodi e dispositivi di protezione, ugualmente sicuri, come i dispositivi trasparenti per esempio, commisurando comunque le misure adottate al livello di rischio associato dalle evidenze scientifiche a questi specifici contesti. Evidenziamo che gli adulti che neghino volto ed espressione ai bambini di cui si prendono cura espongono gli stessi a disagi e privazioni psicologiche importanti e – data l’età – spesso inesprimibili. I lavoratori fragili vanno naturalmente protetti nel modo migliore, dal rischio di ammalarsi di COVID-19 come da tutti gli altri rischi, anche attraverso la rimodulazione delle mansioni.

7. In riferimento ai momenti iniziali di questi primi cicli, chiediamo che venga garantita la fase dell’ambientamento dei bambini con la presenza di un genitore o altro adulto di riferimento, pur con le dovute precauzioni e gli adattamenti necessari alla situazione in cui viviamo. L’importanza di questo principio è nota e condivisa, ed è stata riaffermata anche nei recenti documenti del MUR relativi alla riapertura di nidi e scuole dell’infanzia in tempi di convivenza con il SARS-CoV-2. Tuttavia, sappiamo che in molte realtà non sono state approntate modalità che rendano possibile e sicuro l’ambientamento, che semplicemente viene saltato, a prescindere dalle esigenze manifestate dai singoli bambini e dalle famiglie, con il possibile verificarsi di situazioni traumatiche.

8. Chiediamo inoltre che le istituzioni prendano posizione contro iniziative locali di singoli Enti locali, Istituti Comprensivi, Scuole o addirittura di singoli docenti, che impongono autonomamente misure ulteriori che consideriamo in alcuni casi fortemente lesive della libertà, della dignità, della privacy e della salute di bambini e studenti: come il braccialetto elettronico anti-avvicinamento, destinato anche a bambini delle scuole dell’infanzia; le “telecamere intelligenti” che controllano il rispetto della distanza interpersonale “denunciando” ai referenti del caso le “infrazioni”; i controlli del rispetto delle misure anti-COVID-19 all’ingresso di scuola da parte delle forze dell’ordine; l’obbligo di guanti per toccare la LIM o altri dispositivi o oggetti; i regolamenti disciplinari che prevedono sanzioni punitive e umilianti (note disciplinari, sospensione, bocciatura, “lavori socialmente utili”, ricadute sul voto di condotta) rispetto ai protocolli anti-COVID-19. Riguardo a quest’ultimo punto, riteniamo che queste norme (indipendentemente dalla loro efficacia anti-COVID-19) siano oggettivamente in contrasto con la funzione educativa della scuola, la spontaneità relazionale degli esseri umani, e delle persone nell’età evolutiva in particolare; e frenare questa attitudine vitale attraverso sorveglianza e colpevolizzazione non può e non deve essere la strada per ottenere risultati.

9. Chiediamo che l’Italia recepisca e adotti i nuovi parametri indicati dall’OMS in merito alla quarantena. Già a giugno l’OMS ha indicato i nuovi requisiti per uscire dalla quarantena, in sostituzione al criterio del doppio tampone negativo: dieci giorni dalla comparsa dei sintomi più tre giorni senza sintomi per i sintomatici; 10 giorni dal tampone positivo per gli asintomatici; in entrambi i casi, senza bisogno di alcun tampone per considerare il soggetto fuori dalla malattia e consentire il suo rientro nei contesti sociali. Una rivoluzione, se pensiamo a quante persone sono state isolate per settimane (con alcuni casi eclatanti di confinamento domestico durato mesi, e numerosi tamponi, che hanno riguardato anche bambini e ragazzi) e alle conseguenze psicologiche, sociali, familiari, professionali, economiche. Ma – nonostante il dibattito in corso su questo tema – in Italia, per tutti i positivi, per ora rimane invariato il criterio dei quattordici giorni di quarantena, che può terminare soltanto dopo due tamponi negativi. Sappiamo che in questo modo nei prossimi mesi andremo incontro a una catastrofe sociale, economica, didattica, psicologica – non ultimo sanitaria, con gli ospedali intasati e l’impossibilità di svolgere e processare tutti i tamponi richiesti.

10. Abbiamo appreso che alcuni dirigenti scolastici decidono la chiusura dell’intero istituto qualora si verifichi un caso positivo in una singola classe, nonostante la ASL competente disponga l’isolamento della sola classe interessata. Chiediamo che anche in merito a questo aspetto siano comunicate linee guida chiare, per evitare che da realtà a realtà si possano determinare discriminazioni penalizzanti; chiediamo che la decisione di disporre l’allontanamento di alunni e studenti che presentino sintomi compatibili con COVID-19 (come la rinorrea) sia rimessa in via esclusiva al medico e non all’iniziativa del singolo insegnante, dirigente o “referente covid-19” della scuola.

Vogliamo fare anche un’esortazione ai professionisti dell’informazione, perché su questi temi diffondano un’informazione rigorosa, scientifica, corretta e completa. Se siamo arrivati all’apertura delle scuole in un clima di disorientamento, e in molti casi di panico, molto dipende dal tipo di comunicazione – allarmistica da una parte, omissiva dall’altra – che è stata fatta in tutto questo periodo. In particolare, ben poco spazio è stato dato agli studi epidemiologici condotti nei contesti scolastici, che hanno fornito molte e crescenti informazioni rassicuranti; a fronte di continue notizie “scioccanti”, dove lo shock deriva spesso dalla mancanza di un’adeguata contestualizzazione o dall’insistenza sui numeri assoluti.

In conclusione: abbiamo visto i bambini e i ragazzi soffrire durante il lockdown, senza che questa sofferenza venisse considerata e affrontata adeguatamente da parte delle istituzioni; li abbiamo visti restare indietro rispetto a tutte le altre categorie sociali e umane nei passaggi con cui siamo entrati nella “fase 2”, fino a diventare gli ultimi per cui valesse la pena assumere qualche rischio; abbiamo visto che le iniziative per garantire la riapertura delle scuole in sicurezza e in dignità sono partite con inspiegabile ritardo, con il risultato di gravi disagi e discriminazioni – che auspichiamo essere transitori, ma che non si sarebbero dovute verificare – dove mancano le forniture promesse o non è stato possibile organizzare le condizioni per il migliore e più sereno ritorno a scuola in presenza. Adesso assistiamo alla fuga dalla scuola pubblica di molte famiglie spaventate dalle incertezze della situazione generale o dagli effetti potenzialmente negativi delle misure anti-COVID-19 sui bambini e i ragazzi.

Il senso dell’appello

Siamo cittadine e cittadini che hanno fiducia nelle istituzioni. Siamo preoccupati, come tutte e tutti, per la diffusione del virus SARS-CoV-2 e per gli aspetti a essa collegati. Il senso ultimo del nostro appello è chiedere che le misure di precauzione adottate siano sempre basate sull’evidenza scientifica, siano proporzionate e tengano conto anche degli effetti collaterali (Trade-Off) in qualche caso inevitabili. Per questo vi chiediamo di assumere pienamente, senza esitazioni e con atti concreti e immediati, il ruolo di garanti dei diritti e della salute dei bambini e dei giovani.

Firma la petizione

Iniziativa promossa da Pillole di Ottimismo e sostenuta da Carlo Cuppini (Operatore culturale ed editoriale)

Per aderire, FIRMA QUI: http://chng.it/BtPFQCvggz

Primi firmatari

Marilena Apuzzo (Psichiatra)

Ilaria Baglivo (Biologa, Prof. a contratto di biochimica)

Chiara Barbieri (Paziente Esperto Eupati)

Ugo Bardi (Prof. associato chimica fisica)

Paolo Bonilauri (Biologo Dirigente)

Silvia Brizzi (Avvocato)

Luciano Butti (Avvocato e professore a contratto di diritto internazionale dell'ambiente)

Andrea Caldarone (Specialista analisi di dati)

Margherita Carletti (Ricercatrice di Analisi Numerica)

Francesco Cecconi (Prof ordinario di Biologia cellulare e dello sviluppo)

Costanza Maria Cristiani (Assegnista di Ricerca in Patologia Generale)

Elena Dragagna (Avvocato)

Marco Errico (Ricercatore in economia e finanza)

Marilena Falcone De Domenico (Ingegnere)

Julia Filingeri (Docente Università di Udine e Trieste)

Valentina Flamini (Biologa molecolare)

Sara Gandini (Epidemiologa/biostatististica)

Donato Greco (Epidemiologo specializzato in malattie infettive e tropicali, igiene e medicina preventiva e statistica sanitaria. Ha diretto il Laboratorio di epidemiologia e biostatistica dell’Istituto Superiore di Sanità)

Maria Luisa Iannuzzo (Medico, Specialista di Medicina Legale)

Giulio Liguori (Dottore in scienze degli alimenti e della nutrizione)

Maddalena Loy (Giornalista)

Walter Lucchesi (Ricercatore in biochimica)

Aldo Manzin (Prof. Ordinario di Microbiologia e Microbiologia clinica)

Olga Milanese (Avvocato)

Umberto Nizzoli (Psicologo, psicoterapeuta, docente universitario di Psicologia)

Alessandra Petrelli (Medico ricercatore)

Sergio Porta (Prof. di Urban Design)

Nicolò Premoli (Dottore in Giurisprudenza e giornalista)

Mario Puoti (Medico)

Maurizio Rainisio (Biostatistico)

Clementina Sasso (Astrofisica)

Luca Scorrano (Prof. ordinario di Biochimica)

Piero Sestili (Prof. ordinario di Farmacologia)

Guido Silvestri (professore di virologia della Emory University di Atlanta)

Paolo Spada (Chirurgo Vascolare)

Stefano Tasca (Pediatra e Chirurgo pediatra)

Francesca Uccheddu (Prof. Associato Ingegneria industriale)

Claudia Zangarini (Giornalista)

 
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Di latticini, biotecnologie e latte sintetico

La produzione di formaggio è tradizionalmente legata all’allevamento bovino, ma l’uso di batteri geneticamente modificati per produrre caglio ha ridotto in modo significativo la necessità di sacrificare vitelli. Le mucche, però, devono comunque essere ingravidate per la produzione di latte, con conseguente nascita dei vitelli: come si può ovviare? Una risposta è il latte "sintetico" (non propriamente coltivato), che, al di là dei vantaggi etici, ha anche un minor costo ambientale.

Per fare il formaggio ci vuole il latte (e il caglio). Per fare sia il latte che il caglio servono le vacche (e i vitelli). Cioè ci vuole una vitella di razza lattifera, allevata fino a raggiungere l’età riproduttiva, inseminata artificialmente appena possibile con il seme di un toro selezionato e successivamente “forzata”, cioè con periodi brevissimi tra una gravidanza e la successiva e tra una lattazione e l’altra, in modo da produrre più latte possibile per il maggior tempo possibile nell’arco dell’anno.