Anche gli animali hanno cultura e tradizione, che tramandano da individuo a individuo. Cosa succede se le azioni degli esseri umani alterano la trasmissione culturale e impattano la capacità delle specie di comunicare in modo efficace? Crediti immagine: un i'iwi, isole Hawaii. di Gregory "Slobirdr" Smith da Wikimedia Commons
Il succiamiele del reggente è un uccello dal lucido piumaggio nero, punteggiato di bianco e dalle ali giallo acceso. Grande poco più di un merlo, vive nelle foreste del sud est dell’Australia, dove si nutre prevalentemente del nettare di eucalipto. Fino alla metà del secolo scorso, grossi stormi di succiamiele del reggente volavano attraverso i cieli australiani, coprendo lunghe distanze. Oggi è a rischio critico di estinzione: la popolazione è in costante diminuzione, e si stima restino dai 300 ai 400 individui al massimo, distribuiti in un’area dall’ampiezza complessiva di 300 mila chilometri quadrati. Le cause sono sempre le stesse, che ormai come un mantra ricorrono quando si identifica la causa di declino ed estinzione delle specie selvatiche: perdita e frammentazione di habitat dovute all’urbanizzazione, all’intensificarsi delle attività agricole e zootecniche, alla deforestazione, oltre alla diffusione di specie aliene invasive.
L’impatto delle attività umane, però, può essere molto più insidioso e subdolo: un nuovo studio1 mostra infatti come i canti riproduttivi dei maschi di succiamiele stiano scomparendo in molti giovani esemplari, come conseguenza del drastico calo della densità di popolazione. La qual cosa, apparentemente, può sembrare di minore rilevanza, ma se si pensa all’importanza del canto per la formazione delle coppie riproduttive, ecco che le conseguenze di questa ignoranza canora assume un significato ben diverso.
I canti perduti
Come molti altri uccelli canori di cui ammiriamo le melodie, nel succiamiele del reggente il canto ha uno scopo riproduttivo, di corteggiamento, e non è innato: all’approssimarsi del periodo riproduttivo, i giovani si associano a maschi maturi e da essi apprendono le loro “serenate”. Non può insegnarglielo il padre proprio perché, essendo il canto di corteggiamento, viene eseguito solo prima della riproduzione. Analizzando i canti raccolti per cinque anni nelle foreste australiane, i ricercatori hanno trovato diverse melodie. La più diffusa, che è anche la più complessa, l’hanno chiamata Blue Mountain, dal nome del luogo in cui si concentra la maggior parte dei succiamiele per riprodursi. Circa il 27% dei maschi, però, sbaglia la melodia: intona una versione molto più breve e semplificata di Blue Mountain, oppure usa i richiami nuziali di altre specie canore presenti nella foresta. Il fattore chiave che influenza il tipo di canto è la densità di popolazione: meno sono i maschi presenti in una zona più è probabile che i giovani apprendano una melodia errata. In particolare, se la densità è molto bassa, è facile che i giovani si mettano a copiare i canti di altre specie. Va da sé che le femmine di succiamiele restino alquanto confuse da queste modeste performance canore, e quindi i maschi “stonati” non riescono a riprodursi come gli altri. Ecco che questa mancata trasmissione culturale si traduce in un problema di conservazione: la perdita del canto diventa essa stessa fonte di declino della popolazione, diminuendo il tasso di riproduzione generale e impattando la diversità genetica.
La perdita del canto del succiamiele del reggente non è un caso isolato: nell’isola di Kaua‘I, arcipelago delle Hawaii, vivono diverse specie di uccelli canori (appartenenti alla famiglia dei fringillidi) dai colori sgargianti e particolari becchi ricurvi, oltre che dai nomi particolari, come amakihi, ‘anianiau e ‘akeke‘e. Tutte e tre le specie citate stanno diminuendo drasticamente, e per tutte e tre si è osservata una grande semplificazione del repertorio musicale nel tempo, risultato ottenuto comparando i canti registrati nel corso di ben 40 anni. Cosa ancora più particolare, le tre specie, che un tempo avevano canti distinti, stanno convergendo verso una melodia molto simile, molto probabilmente a causa della rarefazione delle loro popolazioni2. Gli stessi ricercatori hanno constatato, nel corso dei loro monitoraggio ventennale, come diventi sempre più complesso riconoscere le specie dal canto, senza la possibilità di vedere l’animale.
Senza andare troppo lontano, lo zigolo giallo, migratore legato ad ambienti agricoli estensivi (nidifica nelle siepi) ha subito un declino numerico nel Regno Unito, probabilmente legato proprio all’intensificazione delle coltivazioni. Con la diminuzione numerica degli zigoli, sono andati perduti alcuni dei loro dialetti locali. Ma in questo caso c’è un finale a sorpresa: in Nuova Zelanda, dove lo zigolo è stato introdotto nella seconda metà dell’Ottocento ed è diventato una specie invasiva, i canti perduti nelle isole britanniche sono ancora in voga3. In pratica la popolazione invasiva, che vanta una grande abbondanza numerica, ha conservato i dialetti dei primi zigoli portati sull’isola dai coloni inglesi.
Rumore di fondo
La perdita o la modifica del canto non è una peculiarità delle specie in declino numerico: succede un po’ a tutte le latitudini, come conseguenza dell’inquinamento acustico. Gli uccelli canori, che con i loro cinguettii melodiosi difendono il territorio, corteggiano un partner e segnalano un pericolo, devono cercare di adattarsi per riuscire a comunicare malgrado il frastuono del traffico cittadino o delle attività industriali. L’adattamento più comune è un cambiamento nell’intensità dei suoni a bassa frequenza, che sono quelli maggiormente coperti dall’inquinamento acustico. Per esempio, i maschi di cinciallegra cittadini hanno un repertorio diverso a seconda dell’intensità del rumore, e in zone particolarmente trafficate quasi scompaiono le note più basse4. Anche per gli scriccioli è stato osservato un repertorio differente a seconda della rumorosità del contesto urbano. Uno studio5 condotto a San Francisco sul passero dalla corona bianca dimostra che, in contesti molto rumorosi, i maschi riducono l’ampiezza dei suoni e cantano con una performance di minore qualità. Il canto è ritmato, fatto di trilli e di vocalizzi articolati che sono importanti per il corteggiamento, perché si pensa siano un indicatore della qualità fenotipica e dello stato di salute del pretendente. Ma per compensare la modifica dei suoni a bassa frequenza e la riduzione di ampiezza del suono, ecco che i cinguettii diventano molto più veloci. Inoltre, i maschi tendono ad avvicinarsi di più a un avversario, per discriminarne meglio il canto che, coperto dal frastuono, non viaggia per lunghe distanze, e questo può favorire le interazioni aggressive che si sarebbero potute evitare in condizioni di migliore propagazione del suono.
Comparando i canti dei passeri dalla corona bianca registrati negli anni settanta con quelli attuali, le differenze sono notevoli e legate al costante aumento del rumore negli ultimi decenni. Eppure, in questo caso, il canto originario non è perduto, lo ha dimostrato chiaramente l’esperimento naturale del lockdown, in cui le città sono state avvolte da un ormai inusuale silenzio, che ha concesso ai passeri corona bianca di San Francisco di riappropriarsi della apparentemente perduta ampiezza del suono e potenza della melodia, più rilassata e armoniosa, come quella dei loro avi registrati negli anni settanta6. Un segnale incoraggiante, che indica che siamo ancora in tempo per arginare il problema diminuendo l’inquinamento acustico, che tra l’altro mette anche a rischio la salute umana.
Il peso della cultura
Che le tradizioni umane possano andare perdute nel tempo è cosa nota, meno conosciute sono le tradizioni animali, e il modo in cui esse vengono tramandate. Negli animali che comunicano attraverso linguaggi articolati, come gli uccelli (ma anche i cetacei!) le tradizioni sono mantenute attraverso il tramandarsi di informazioni da un individuo all’altro. Se un comportamento viene condiviso in una comunità e acquisito per trasferimento dai conspecifici si parla di cultura. Esattamente come barriere fisiche possono isolare gruppi di animali di una stessa specie, anche il formarsi di culture diverse può portare alla formazione di sottopopolazioni con tratti comportamentali differenti.
Quando si valuta lo stato di conservazione di una specie o il successo di interventi di conservazione, si fa riferimento quasi sempre alle sole stime numeriche, ma in realtà gli aspetti culturali sono fattori non secondari, che possono influire proprio sull’efficacia delle misure di tutela adottate, per esempio possono influenzare gli esiti delle traslocazioni. Nel caso del succiamiele del reggente, i ricercatori hanno osservato che i maschi cresciuti in cattività per un programma di riproduzione e successivo rilascio in natura, cantano solo melodie “stonate” o di altre specie, e questo potrebbe significativamente minare la robustezza di un programma di rinforzo della popolazione. Lo stesso si è osservato per le amazzoni del Portorico, pappagalli di un verde sgargiante a rischio critico di estinzione: gli animali cresciuti in cattività hanno un repertorio vocale molto differente da quello degli individui selvatici. E nei programmi di traslocazione, sarebbe quindi opportuno tenere a mente che i dialetti potrebbero ostacolare l’integrazione dei soggetti rilasciati nei gruppi sociali già presenti nel territorio7.
Sono veramente molte le conoscenze che gli animali condividono: i posti migliori dove muoversi e cercare il cibo, il canto riproduttivo, l’utilizzo di utensili, le rotte migratorie, per fare qualche esempio noto. In alcuni casi, la stabilità di certe tradizioni è stata importante per il mantenimento della specie. Il diffondersi di un nuovo comportamento nelle società animali può essere rapido, con effetti che possono essere positivi per la specie, se conferiscono un maggiore adattamento al contesto ambientale, ma anche negativi, se poco performanti per l’ambiente, o perché creano isolamento dai conspecifici, o ancora perché creano situazioni conflittuali con le attività umane. A lungo, la scienza stessa ha sottovalutato l’importanza di fattori comportamentali come la cultura o la personalità, ma c’è una inversione di rotta negli ultimi tempi. La sfida sarà integrare sempre di più questi aspetti nelle strategie di conservazione, soprattutto per le specie a rischio critico di estinzione, in cui gli aspetti culturali potrebbero essere fattori chiave per comprendere il declino e provare a fermarlo.