Ci
sono circa 10.000 malattie che vedono in qualche modo convolti i nostri geni,
ed è quindi importante per noi conoscere cosa sono e cosa fanno. E' importante
per migliorare la diagnosi, la prognosi e naturalmente la cura di quelle
malattie. L'inserimento dei dati genetici nella cartella clinica è il
fondamento di quella che ieri si chiamava medicina
personalizzata e che oggi si chiama medicina
di precisione, una magnifica evoluzione dei sistemi sanitari che comincia a
mostrare il suo formidabile potenziale nel migliorare la qualità – e la durata – della nostra
vita.
Per
studiare tutti i nostri geni bisogna avere a disposizione l'intera sequenza di
DNA che è presente in ciascuna nostra cellula (il genoma) ed è per questo che
negli anni novanta è stato lanciato il progetto coordinato dal Consorzio
Internazionale Genoma Umano per sequenziare il DNA dell'Homo sapiens. Non era il DNA di una singola persona ma il DNA anonimo proveniente da diversi
individui presi a caso da una biobanca di volontari.
Questo
progetto è durato 13 anni ed è costato 3 miliardi di dollari. Dal 2001 abbiamo
quindi a disposizione la sequenza dei 3.2 miliardi di basi che compongono il
patrimonio genetico della nostra specie. Il passaggio successivo è stato il
sequenziamento di singoli individui, che non possiamo certo ottenere spendendo
miliardi di dollari per ciascuno.
Bioinformatica: il “Google” della genetica
Da alcuni anni abbiamo a disposizione le tecnologie che ci permettono di leggere il DNA, ma
non siamo riusciti a sviluppare altrettanto efficacemente gli strumenti
bioinformatici e genetici che ci permettono di capire il significato di quei 3
milioni di nucleotidi differenti (nei 3.2 miliardi di basi del DNA) che oggi
sappiamo caratterizzare ciascuno di noi. Sappiamo che molte di queste
differenze che i genetisti chiamiamo varianti sono legate alle nostre
caratteristiche fisiche, mentre un numero per fortuna piuttosto limitato è legato
alla predisposizione a sviluppare alcune malattie. Non siamo ancora in grado di
riconoscere con certezza le varianti buone da quelle cattive, non possiamo
pertanto sfruttare come vorremmo il prodotto della tecnologia di sequenziamento
del DNA. E' probabilmente il cruccio più grande del nostro tempo quello di
avere tecnologie mature che non funzionano al meglio.
Le
tecnologie bioinformatiche ci aiutano però a
scartare le varianti del nostro DNA che probabilmente sono poco pericolose
sfruttando un principio molto semplice: la maggior parte di noi è tutto sommato
sana, pertanto quelle varianti che sono presenti in tanti di noi probabilmente
non sono pericolose. Quelle varianti che invece causano malattie dovrebbero
essere poco frequenti nella popolazione, perché la selezione naturale tende ad
eliminarle. Ma in che popolazione? Per questo nel 2008 è stato lanciato un
progetto internazionale chiamato 1000 genomi, che nel 2012 ha rilasciato i dati
relativi a 1092 genomi di diversi gruppi etnici cercando di rispondere ad una
domanda concettualmente molto semplice ma tecnicamente molto difficile: qual è
la frequenza delle varianti nelle diverse popolazioni? Questi dati sono
pubblici, ma chiaramente limitati dato che siamo oltre 7 miliardi di individui,
e 1092 di noi ci rappresentano troppo poco.
Grazie
ai numerosi progetti avviati dai “soliti” Paesi (USA per esempio) raggiungeremo
quest’anno il formidabile numero di circa 500.000
genomi sequenziati. Un numero sufficiente per cominciare a sbirciare nei
meandri delle varianti e delle loro frequenze nell’essere umano. Ma quanti di
quei 500.000 genomi sono di europei, e in particolare di italiani? Ben pochi,
purtroppo. E quanti di questi genomi sono disponibili alla nostra comunità
scientifica? Ancora meno, dato che la maggior parte di essi sono disponibili
solo ai gruppi coinvolti in quei progetti. Questo fa si che uno dei maggiori
strumenti bioinformatici che abbiamo a disposizione faccia cilecca perché manca
un numero sufficiente di dati della popolazione italiana.
Tutti i segreti del DNA dei sardi
Quanto
apparso in questi giorni su ben tre articoli pubblicati dalla rivista Nature Genetics (qui, qui e qui) è un bellissimo esempio
di cosa significa sequenziare tanti individui della stessa popolazione. Il team
di ricercatori guidato da Francesco Cucca
del CNR e dell’Università di Sassari ha sequenziato l'intero genoma di 2120
sardi, scoprendo quasi 17 milioni di varianti genetiche, alcune delle quali influenzano
il livello di colesterolo LDL, dei livelli ematici dei lipidi e di altri
fattori di rischio per malattie cardiovascolari e dell’emoglobina, mentre la
maggior parte di esse sono innocue. Sono dati incredibili, che i nostri
genetisti medici potranno portare nella clinica a vantaggio di tutti noi.
Ma io
non sono sardo, ora vivo a Verona ma sono nato a Piacenza da genitori
piacentini. Potrò godere anch’io dei risultati prodotti dell’équipe di Cucca?
Questa
domanda se la pongono in tanti, ed è per questo che progetti analoghi, ma su
scala nazionale, sono stati avviati in numerosi paesi quali Arabia Saudita,
Stati Uniti, Regno Unito. Ecco qualche dato. Con un progetto pilota di
sequenziamento di 100.000 genomi di persone sane e malate, l’Arabia Saudita
mira a creare un network nazionale di centri di sequenziamento e
l’infrastruttura necessaria a gestire i dati genomici (le varianti) dell’intero
Paese. Con un investimento iniziale di 215 milioni di dollari, gli USA hanno
lanciato quest’anno la Precision Medicine Initiative che porterà a sequenziare
ben un milione di persone per studiare nuove cure per i tumori, sviluppare
nuovi cataloghi di varianti genetiche e predisporre i necessari cambiamenti
legislativi per l’accesso ed il mantenimento della privacy dei dati. Gli
inglesi stanno procedendo rapidamente con una serie di investimenti del valore
di 500 milioni di sterline per il periodo 2014-2017 che porterà a sequenziare
100.000 genomi tumorali o di persone affette da malattie rare, il cui obiettivo
principale è quello di integrare la medicina genomica nel loro servizio
sanitario nazionale.
Il Regno Unito ha gestito questa
iniziativa in modo davvero brillante. Ha creato una vera e propria azienda che
ha chiamato Genomics England, la
quale ha stabilito rapporti con ospedali, centri di ricerca ed aziende private
con l’imprenditorialità che solo un’azienda riesce ad avere. La ragione è
piuttosto semplice. Il valore di un progetto come questo è enorme, di gran
lunga superiore al suo costo. Dare accesso a questi dati conferisce un
vantaggio formidabile alla ricerca di base ed applicata ma anche all’ industria
informatica, farmaceutica ed a tutta la costellazione pubblica e privata che
ruota intorno alla salute dell’uomo, a vantaggio sia dei cittadini sia dell’economia
di quel Paese. E’ per questo che Genomics England da accesso alle informazioni
solamente a realtà inglesi. I gruppi pubblici o privati di altre nazioni
possono essere invitati a partecipare, ma solo come collaboratori di partner
inglesi. Riflettiamo su questo punto.
Nel 1987 abbiamo fatto rientrare in Italia Renato Dulbecco, uno dei grandi uomini che avevano pensato il progetto di sequenziamento del genoma umano, per coordinarne la partecipazione italiana. Il CNR ha stanziato circa 10 miliardi di lire poi, nel 1995, i fondi non sono stati rinnovati e la partecipazione italiana al Progetto Genoma Umano ha chiuso i battenti. Grazie a Cucca che ha avuto - fra le altre cose - la formidabile capacità di trovare l’80% dei finanziamenti che gli servivano all’estero, abbiamo ripreso quel treno della genomica che vent’anni fa abbiamo perso.