fbpx Servono provvedimenti drastici adesso | Scienza in rete

Servono provvedimenti drastici adesso

Primary tabs

In Italia stiamo assistendo a un andamento esponenziale dell'epidemia e, se le cose continuano così, ci ritroveremo fra tre settimane con quasi centomila casi al giorno, cinquecento morti al giorno e con la stessa crisi sanitaria di marzo. Servono provvedimenti drastici adesso per fermare la crescita dei casi, ma per arrivare a ridurre i contagi senza un altro lockdown sono necessarie informazioni più precise di quelle che ci vengono fornite quotidianamente, perché solo con un'alleanza trasparente scienza e politica possono affrontare la situazione.

Crediti immagine: Medical photo created by wirestock - www.freepik.com

Tempo di lettura: 12 mins

Quale è la situazione epidemica in Italia? Stiamo in presenza di un andamento esponenziale. Dai primi giorni di ottobre, i casi accertati di Covid-19 stanno raddoppiando ogni settimana e per ogni ottanta casi  c'è un morto dopo una decina di giorni o poco meno. Una settimana è proprio il lasso di tempo che in media ci vuole perché un contagiato contagi qualcun altro, il cosiddetto serial time, il tempo caratteristico della progressione epidemica. Quindi un raddoppio ogni settimana vuol dire che ogni contagiato ne contagia due. A febbraio e all'inizio di marzo ogni settimana i casi quadruplicavano.

Ci stiamo avviando verso il disastro più lentamente di marzo, ma la direzione è la stessa. Attualmente abbiamo circa quindicimila nuovi casi e una centinaio di morti al giorno. Nell'ultimo mese abbiamo visto che all’incirca ogni ottanta casi si registra un decesso, una settimana dopo, più o meno. Non ha molta importanza quanti dei nuovi casi siano sintomatici e quanti siano asintomatici per capire la gravità della situazione: ci basta sapere che adesso muore circa una persona su ottanta diagnosticate positive.

Figura 1. Nel grafico qui sopra potete vedere i nuovi casi e i morti mediati su un intervallo di una settimana. Da metà settembre in poi, i morti e i casi aumentano in maniera proporzionale gli uni agli altri. Se prendiamo un righello e tracciamo una retta sui dati di ottobre, la retta, che passa molto bene su questi dati, arriva a centomila casi verso il 13 novembre. Abbiamo costruito questo grafico in modo tale che una retta corrisponde a un'esponenziale e la retta che abbiamo tracciato corrisponde a un raddoppio dei casi ogni settimana

Come giustifichiamo queste affermazioni? Nella figura 1 vediamo i nuovi casi per il periodo di settembre ottobre su scala semilogaritmica: su questa scala una linea retta corrisponde a un esponenziale.

Figura 2. Nel grafico qui sopra potete vedere i nuovi casi e i morti mediati su un intervallo di una settimana come nella figura 1, ma con una scala diversa

Anche se guardiamo i dati su una scala molto ingrandita, vediamo che l’andamento esponenziale dei casi è molto preciso. Quindi l’andamento esponenziale è certo e la linea rossa disegnata corrispondo a un tempo di raddoppio di circa 7 giorni, 7,2 per la precisione.

Cosa possiamo aspettarci per i morti? Dal momento del contagio ai sintomi passano 5-6 giorni, 3 giorni dai sintomi alla diagnosi e 1-2 per entrare in statistica. Il tempo mediano che passa dal contagio alla morte è stimato essere grosso modo nell’intervallo 16-20 giorni. Quindi non è irragionevole che i morti di oggi siano proporzionali ai casi di sette giorni prima. Il grafico viene più bello spostando la curva dei morti di 7 giorni, ma anche una scelta diversa, tipo 8 o al limite 9 sarebbe accettabile. Il fattore di proporzionalità è circa 80.

Questo fattore 80 è ragionevole: se tutti i casi fossero intercettati corrisponderebbe a una letalità di 1,25%. L’indagine sierologica dava circa 2.2% con una grande incertezza, dovuta principalmente alla scarsa risposta. Nella prima metà di settembre i morti erano meno, ma questo è molto naturale, vista la bassa età delle persone diagnosticate in questo periodo. Quindi, possiamo ragionevolmente pensare che, a meno di cambiamenti importanti, il numero dei morti sarà poco più dell’un per cento dei casi.

I due grafici mostrati sopra sono molto belli, ma la bellezza e l’informazione sono complementari. L’enorme variazione della scala verticale nasconde piccole variazioni dei dati e proprio per questo il risultato è bello esteticamente. Per vedere bene l’evoluzione guardiamo un grafico più brutto, ma più informativo.

Figura 3. L'incremento settimanale dei casi e delle terapie intensive, incremento definito dal rapporto dei dati con quello di sette giorni prima. Le curve smussate sono delle curve regolari che approssimano i dati

Nel grafico abbiamo mostrato il rapporto tra il dato e il dato della settimana prima. Se avessimo usato come dato il numero dei casi sintomatici nella data dei sintomi, avremmo avuto con ottima approssimazione il famoso rapporto R in quanto, come abbiamo visto, il serial time ufficiale italiano è 6,6 giorni, praticamente una settimana. Questo rapporto fluttua da un giorno all'altro e conviene guardare le curve smussate che approssimano dati.

Osservando il grafico vediamo che a settembre abbiamo una piccola crescita (lineare o con tempo di raddoppio molto lungo attorno ai due mesi). Verso il primo ottobre il rapporto schizza verso l'alto, sembra avere un massimo il 14 ottobre per diminuire un poco nei giorni successivi. La lieve diminuzione apparente degli ultimi giorni può essere semplicemente un'illusione o il segnale che il numero vero dei casi incomincia a essere più grande di quello vero.

Le terapie intensive sono invece d'interpretazione più difficile. A settembre aumentano un poco più dei casi, hanno un'impennata simile a quella dei casi, con circa nove giorni di ritardo, ma aumentano negli ultimi giorni di un solo un fattore circa 1,7 a settimana, quindi un tempo di raddoppio di otto nove giorni, quindi più lentamene dei casi. Come spiegare questa apparente discrepanza? Varie ipotesi sono possibili:

  • I dati sulle terapie intensive hanno una maggiore inerzia, in quanto contano tutte le persone che sono in attualmente terapia intensiva, anche quelle ammalatesi un mese fa. Il dato interessante, che ci dà il polso immediato della situazione, è il numero delle persone che entra giornalmente nelle terapie intensive, ma si tratta di un dato che in Italia non è accessibile
  • I nuovi casi sono un poco meno gravi dei precedenti e quindi necessitano di minor cure. Sarebbe bello, ma l'aumento dei morti ci ricorda che non è possibile.
  • È anche possibile che stia cambiando la gestione delle terapie intensive e che fin da adesso si facciano entrare i pazienti in terapia intensiva con più difficoltà di due settimane fa: c'è quindi un rallentamento dovuto a saturazione

In ogni caso i dati sulle terapie intensive sono di difficile interpretazione. Tuttavia è certo che se andiamo avanti con lo stesso ritmo di aumento esponenziale degli altri indicatori, fra tre settimane ci troveremo con quasi centomila casi al giorno, cinquecento morti al giorno e con la stessa crisi sanitaria del marzo scorso. Ovviamente la congiunzione “se” è cruciale: domani potremmo scoprire che i provvedimenti della settimana scorsa stanno avendo un effetto miracoloso e che i casi cessano di aumentare. “Del doman non v’è certezza”.

È certo però che i contagi che avvengono in questi giorni determinano le morti che avverranno verso il 10 novembre, quindi, se i provvedimenti della settimana scorsa non hanno avuto effetto, i morti arriveranno certamente a 500 al giorno per quella data.

Ma se la crescita epidemica continuasse incontrastata, ben prima di arrivare a centomila casi al giorno, il sistema sanitario e il tracciamento collasserebbero con conseguenze disastrose. Centomila casi al giorno sembra un numero strabiliante, quasi incredibile, ma basta guardarsi attorno: il Belgio, un paese con una popolazione 5-6 volte più piccola dell'Italia, sta sugli 13.000 casi al giorno, che, fatte le debite proporzioni, corrispondono a 70.000 casi per un paese grande come l'Italia.

Certo, non sta scritto da nessuna parte che la crescita epidemica debba andare avanti con un raddoppio costante nel prossimo futuro. Tuttavia, se la situazione non cambia, se non cambia il numero di persone che va al lavoro, che si affolla sui mezzi di trasporto pubblico, che lavora in situazioni insalubri, che s'incontra con decine di persone a feste dove inconsapevolmente è presente una persona infetta, se tutto questo non cambia, ogni malato continuerà a contagiarne due fino a quando la maggior parte della popolazione non si sarà infettata.

Sappiamo cosa vuol dire l'infezione da SARS-CoV-2 non controllata, lo abbiamo visto a Bergamo: le persone che morivano a casa, gli ospedali al collasso, i morti giornalieri passati da trenta a trecento, i servizi di pompe funebri intasati, le bare accumulate nei sotterranei degli ospedali.

Sono convinto che non arriveremo a questo punto e che riusciremo a fermare la crescita prima, ma per fermare la crescita e arrivare a una situazione in cui i casi non aumentano più, servono provvedimenti drastici adesso. Dobbiamo dimezzare i contatti per far sì che ogni persona ammalata ne contagi in media una. Durante il lockdown duro di marzo aprile tre persone ammalate ne contagiavano in media due. Adesso tre persone ne contagiano in media sei e invece se vogliamo arrivare a una situazione stazionaria ne devono contagiare solo tre. Non è facile: il sistema di tracciamento, finché funziona, consente di isolare i malati e questo riduce il numero dei contagi; ma più il numero di malati salirà, meno sarà utile il tracciamento, finché l'unica possibilità per fermare la crescita sarà il lockdown duro.

Le prossime due settimane dunque saranno cruciali: infatti, ben prima di arrivare al di là dei cinquantamila casi, ci troveremo nell'impossibilità di fare cinquecentomila tamponi al giorno e, con il collasso del sistema di tracciamento e l’imminente collasso del sistema sanitario, un nuovo lockdown sarà necessario e inevitabile. Il governo ha già approvato varie misure per cercare di rallentare la crescita dei contagi. Saranno sufficienti a fermare la crescita o almeno a rallentarla? Difficile dirlo. Gli effetti non sono immediati, dal momento del contagio ai sintomi passano 5-6 giorni, 3 giorni dai sintomi alla diagnosi e 1-2 per entrare in statistica. Quindi gli effetti sul numero dei casi si vedono una decina di giorni dopo un'eventuale riduzione del numero delle infezioni. Quindi è impossibile saperlo prima; anche perché un eventuale rallentamento nella crescita dei casi potrebbe essere solo il segnale che i tamponi fatti sono diventati insufficienti per segnalare tutti i casi.

L'ideale sarebbe ridurre i contagi senza arrivare a un lockdown duro: ma per farlo senza agire alla cieca, sarebbe necessario avere informazioni più precise di quelle che ci vengono fornite ogni giorno: servirebbe un grande database nazionale in cui fossero riversate tutte le informazioni disponibili su dove sono avvenuti i contagi, le attività lavorative dei contagiati, l'uso di mezzi pubblici, le attività svolte. Quanto influiscono sui contagi in Italia i ristoranti, le cene in famiglia, le riunione in ufficio, le convivenze familiarie, le feste? Quali sono le attività più a rischio, oltre ovviamente quelle che già si sanno: la sanità, le celle frigorifere, la preparazione dei salumi, i centri di distribuzione postale? Servono numeri, gli articoli di giornale con casi di cronaca sono del tutto inutili. Sulla scuola, dove le ASL fanno particolari controlli, ci sono dati precisi, che permettono di escludere che fino a questo momento ci sia stata una propagazione sostenuta dell'epidemia dentro le classi, ma abbiamo informazioni molto poco precise su quello che succede in altri contesti: sappiamo il numero dei focolai o poco più. Senza dati precisi come fare a valutare gli effetti positivi o negativi di provvedimenti come la chiusura dei centri commerciali durante il weekend o delle scuole elementari?

Queste informazioni sono cruciali anche per capire come mai dopo la situazione quasi stazionaria di settembre ci sia stata l'esplosione dei casi di ottobre: ci sono congetture in proposito, alcune ragionevoli, altre strampalate, i fattori possono essere stati molteplici, ma nessuno è in grado di dire, dati alla mano, in che misura ciascun fattore abbia influito. Ma se non sappiamo bene perché i casi da noi si sono impennati a ottobre, le misure che si possono prendere saranno generiche e non mirate al cuore del problema.

Io temo fortemente che in Italia non sia stata fatta una raccolta sistematica delle informazioni cruciali sulle circostanze in cui il virus si è trasmesso: la lettera di Giorgio Alleva e Alberto Zuliani (già Presidenti Istat) al Corriere della sera del 17 ottobre mi conferma in questo timore.

In tanti mesi - scrivono - non abbiamo investito in un sistema di raccolta di dati che consenta un monitoraggio accurato su probabilità di contagio, dimensioni delle componenti sintomatiche e asintomatiche, collegamento con i rischi successivi, ricoveri e terapie sub-intensive e intensive, letalità. (…) Non è citando insieme, giorno per giorno, il numero di casi positivi e di tamponi effettuati che possiamo capire cosa stia accadendo realmente

Non è un'operazione immediata, questa raccolta, richiede un lavoro di definizione di formulari standardizzati ma sufficientemente informativi che devono essere compilati in tutte le ASL d'Italia e riversati in un database nazionale. Ma va organizzata immediatamente. Tuttavia se al contrario queste informazioni o parti di esse fossero già disponibili ai vertici del sistema sanitario, dovrebbero essere rese pubbliche subito, in maniera tale che i cittadini possano rendesi conto delle motivazioni governative e la comunità scientifica possa analizzarli allo scopo di capire meglio la propagazione del virus. Per esempio ci sono forti indicazioni che rari eventi di superdiffusione, quando una singola persona infetta ne contagia molti, diano un contributo rilevante alla diffusione del virus, quindi la loro individuazione ed eventuale eliminazione darebbe un gran sollievo, ma per far questo bisogna analizzare in dettaglio i dati sui luoghi di contagio.

Ma come fanno all'estero? Prendiamo un paese non lontano dal nostro, la Germania, che investe in ricerca e sviluppo una proporzione del PIL più del doppio di quella italiana. Il sito del Roger Koch Institute dedicato a Covid-19 è una miniera di informazioni di tutti i tipi, tutte con i dati scaricabili in forma digitale (al contrario, in Italia assistiamo da quasi sei mesi alla vergogna che i dati elaborati dall'ISS siano solo messi nei grafici e non siano a disposizione degli studiosi i dati usati per fare i grafici).

In uno degli aggiornamenti giornalieri, in particolare in quello del 20 ottobre (in tedesco) troviamo questo grafico interessantissimo:

Figura 4. Il numero di persone coinvolte in focolai epidemici con più di 5 persone al variare delle della settimana, con suddivisione a seconda del colore in 20 diverse categorie, indicate sulla destra

Il grafico riporta il numero delle persone coinvolte in focolai epidemici con almeno 5 persone al variare della settimana dell'anno. Le categorie coinvolte sono (traduzione approssimativa dal tedesco): 1) Abitazioni (generico), 2) Abitazioni private, 3) Casa di riposo per anziani, 4) Case di cura, 5) Centri per i rifugiati 6) Dormitori, 7) Strutture sanitarie, 8) Ospedali, 9) Studi medici, 10) Centri di riabilitazione, 11) Posto di lavoro, 12) Centro di formazione professionale, 13) Struttura di assistenza, 14) Centro diurno per anziani, 15) Asilo nido, doposcuola, 16) Tempo libero, 17) Mense, 18) Pernottamenti, 19) Mezzi di trasporto, 20) altro.

Sono informazioni molto dettagliate ed essenziali: sono fondamentali per la costruzione di un modello scientifico per capire gli effetti del lockdown e di tutte le misure che sono state prese e che si prenderanno in futuro: in loro assenza è impossibile fare alcun paragone scientifico sugli effetti delle varie misure possibili.

Sappiamo bene che la scienza è ed è stata fondamentale per contrastare l'epidemia, ed è quindi inaccettabile che la comunità scientifica non possa chiarire i modi di trasmissione del virus in Italia a causa della mancanza di dati dettagliati sui contagi diffusi accessibili a tutti (quelli che in inglese si chiamano open data). L'impressione è che al momento attuale si guidi alla cieca, cercando di usare il buon senso per non andare a sbattere. Dobbiamo invece costruire e rendere pubblico un sistema di guida razionale da usare in un futuro che non sarà brevissimo: anche nella migliore delle ipotesi, infatti, è improbabile che un vaccino oggi in fase di sperimentazione avanzata possa avere effetti significativi sull'epidemia prima del marzo prossimo. Dobbiamo prepararci ad un lungo inverno evitando un disastro sanitario cercando di danneggiare il meno possibile la vita delle persone. La scienza ci può aiutare, ma dobbiamo metterla in grado di farlo.

La commissione Covid-19 dell'Accademia dei Lincei, all'inizio di giugno, aveva scritto un documento in cui si chiedeva che

Superata la fase acuta della epidemia, sia giunto il momento, per le istituzioni sanitare regionali, l'ISS e la Protezione Civile di pianificare una condivisione dei dati concertata con la comunità scientifica

Apparentemente niente è stato fatto in quella direzione e le amare conclusioni del documento linceo sono ancora di grande attualità:

In assenza di trasparenza, ogni conclusione diviene contestabile sul piano scientifico e, quindi, anche sul piano politico. Solo con la trasparente alleanza tra scienza e politica possiamo affrontare efficientemente la convivenza con il coronavirus e prevenire una possible risorgenza del Covid-19 o gestire l’emersione di future, possibili, epidemie

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Di latticini, biotecnologie e latte sintetico

La produzione di formaggio è tradizionalmente legata all’allevamento bovino, ma l’uso di batteri geneticamente modificati per produrre caglio ha ridotto in modo significativo la necessità di sacrificare vitelli. Le mucche, però, devono comunque essere ingravidate per la produzione di latte, con conseguente nascita dei vitelli: come si può ovviare? Una risposta è il latte "sintetico" (non propriamente coltivato), che, al di là dei vantaggi etici, ha anche un minor costo ambientale.

Per fare il formaggio ci vuole il latte (e il caglio). Per fare sia il latte che il caglio servono le vacche (e i vitelli). Cioè ci vuole una vitella di razza lattifera, allevata fino a raggiungere l’età riproduttiva, inseminata artificialmente appena possibile con il seme di un toro selezionato e successivamente “forzata”, cioè con periodi brevissimi tra una gravidanza e la successiva e tra una lattazione e l’altra, in modo da produrre più latte possibile per il maggior tempo possibile nell’arco dell’anno.