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Uno sguardo sull'India: il leapfrogging salverà il mondo?

Leapfrogging è un termine che indica il salto reso possibile da una partenza ritardata verso lo sviluppo. Come quello che si è verificato, e potrebbe continuare a verificarsi, in India, e che potrebbe avere un ruolo decisivo nella transizione energetica del Paese.

Crediti immagine: VD Photography/Unsplash

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Nel Karnataka, uno stato del Sud dell’India, c’è il Pavagada Ultra Mega Solar Park. Si estende su oltre 6.000 ettari di terreno, più o meno l’estensione di Manhattan. È coperto da milioni di pannelli fotovoltaici. Nei momenti di massima esposizione solare (e lì il sole splende quasi tutto l’anno), Pavagata produce oltre 2.000 megawatt, sufficienti per fornire elettricità ad alcuni milioni di abitazioni: è un quarto dell’elettricità necessaria per l’intero stato. Pavagata è quattro volte più grande del maggior insediamento di pannelli solari degli Stati Uniti. Non è però il più grande insediamento in India: il primo posto è del Bhadla Solar Park, nel Rajastan, il più grande parco solare del mondo.

Entrambi sono il risultato della Jawaharlal Nehru National Solar Mission (JNNSM), un progetto avviato nel 2010 e inserito nel Piano nazionale per il contenimento del cambiamento climatico. L’obiettivo, in origine la realizzazione di 20.000 megawatt sul territorio nazionale entro il 2022, è stato raggiunto con quattro anni di anticipo. Alla fine del 2023 saranno prodotti dai vari insediamenti in funzione 60.000 megawatt.

Il Piano prevede non solo la generazione del 60% del suo fabbisogno elettrico complessivo mediante energie rinnovabili ma anche la riduzione al 45% rispetto ai livelli del 2005 delle emissioni generate dal suo prodotto nazionale entro il 2030 e l’estensione dell’area forestale esistente fino a coprire un terzo del territorio in modo da assorbire circa 3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica dall’atmosfera. L’obiettivo del Piano è raggiungere emissioni zero entro il 2070.

È criticato da molti perché si prevede un ritardo rispetto alla deadline del 2050 proposta all’Accordo di Parigi. Ma diamo uno sguardo alle condizioni del paese.

In India vivono un miliardo e mezzo di persone, un numero di abitanti che quest’anno supererà quello della Cina. Si colloca attualmente al quarto posto nella classifica delle economie che emettono più gas serra, dopo Cina, Stati Uniti e Unione Europea, complessivamente considerata. l'India copre con il carbone oltre il 40% del suo attuale fabbisogno energetico (ma è al terzo posto per consumo, dopo Cina e Stati Uniti). Non è una situazione di cui rallegrarsi.

Il quadro cambia però se si considerano non le emissioni attuali, ma la quantità di emissioni rilasciate dalla rivoluzione industriale a oggi, quindi la responsabilità dell’attuale situazione di cambiamento climatico. In questa classifica l’India retrocede al settimo posto, poco sopra l’America del Sud, preceduta oltre che da Cina, Stati Uniti e Unione Europea, anche dalla Russia, dal Regno Unito e dal Giappone (tutti paesi che si sono sviluppati raggiungendo elevati livelli di benessere facendo uso dell’atmosfera, un bene comune globale).

Il quadro cambia ancora se si utilizza il criterio delle emissioni pro capite. In questo caso l’India precipita al ventesimo posto: ciascun indiano produce un quinto delle emissioni di Indonesia e Turchia. Ciascun indiano consuma in un anno l’energia che un cittadino statunitense consuma in un mese, un sesto di quanto consuma un italiano.

Questi dati, noiosi ma per lo più dimenticati, permettono di comprendere la posizione del Governo indiano allorché sostiene che la mitigazione del cambiamento climatico è importante, ma altrettanto importante è garantire la sopravvivenza e piccoli bagliori di benessere agli abitanti del paese. Infatti meno di metà delle abitazioni indiane possiede un frigorifero, e solo una su dieci possiede un computer. Pochissimi indiani possiedono un’autovettura o hanno viaggiato in aereo. Ciò significa che l’India, se dovesse seguire il percorso di sviluppo dei paesi europei e degli Stati Uniti e fare un uso dell’atmosfera così come quei paesi hanno fatto in passato e fanno tutt’ora, il disastro a livello globale sarebbe certo, non solo per l’inevitabile catastrofe climatica, ma perché in pochi decenni le risorse mondiali non sarebbero sufficienti a soddisfare la domanda.

C’è però il leapfrogging, termine utilizzato dagli economisti per indicare il salto reso possibile da una partenza ritardata verso lo sviluppo (il fenomeno è stato studiato per la prima volta da Alexander Gerschrenkon, un economista russo divenuto cittadino statunitense nel suo saggio Economic Backwardness in Historical Perspective): l’India e gli altri paesi in via di sviluppo hanno la possibilità - e il vantaggio - di seguire un percorso diverso dai paesi ricchi che li hanno preceduti, saltando le fasi di sviluppo tecnologico obsolete o non più efficienti che sono state seguite in passato.

L’esempio solitamente utilizzato è la diffusione della telefonia, per la quale il caso dell’India è particolarmente significativo. Nel 1947, quando l’India è divenuta indipendente, c’erano meno di 100.000 telefoni nell’intero paese. E sono rimasti una rarità fino alla metà degli anni Novanta, allorché il telefono cellulare ha segnato l’esplosione delle comunicazioni telefoniche: nel 2010 gli abbonati erano sei milioni, nel 2015 superano il miliardo. Non solo ogni famiglia, ma l’80% degli indiani, compresi i bambini, è oggi in possesso di un telefono ed è stata interamente saltata la fase tecnologica del telefono con linea fissa, che ha segnato quasi un secolo di sviluppo nei paesi ricchi.

La questione sull’entità di leapfrogging applicabile dai paesi poveri nella transizione energetica nel corso dei prossimi anni è decisiva per comprendere se e come si potrà raggiungere l’obiettivo fissato dall’Accordo di Parigi. L’attuazione del leapfrogging in molti settori, saltando tecnologie obsolete, è per l’India fondamentale per soddisfare i propri impegni per il contenimento del clima e, nello stesso tempo, realizzare infrastrutture nel settore abitativo, stradale, ferroviario, nella sanità, nell’istruzione, nell’agricoltura.

«L’India è in una posizione unica per sperimentare un nuovo modello di crescita inclusiva e con basse emissioni, fungendo da battistrada per un consistente numero di paesi in via di sviluppo con caratteristiche simili», ha recentemente osservato l’International Energy Agency. Ed è un esempio forse anche per l’Italia.

 


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