I pianeti extrasolari, contando oltre a quelli
confermati anche i probabili candidati, si contano oramai a migliaia; i sistemi
planetari complessi a decine. Di esopianeti ne sono stati trovati di tutti i
tipi: grandi e piccoli, rocciosi e gassosi, caldi e freddi. Si procede spediti
verso una loro caratterizzazione sempre più articolata, in attesa che diventino
accessibili in grandi quantità informazioni dettagliate di miglior qualità di
quanto sino a ora possibile.
Allo scopo sono allo studio o in fase di
costruzione strumenti da abbinare ai telescopi di prossima generazione, che si
focalizzano soprattutto sulla capacità di rivelare spettroscopicamente nelle
atmosfere planetarie la presenza di particolari molecole, quali ad esempio
acqua e ossigeno diatomico (O2), potenziali indicatori di attività biologica.
La domanda di fondo, la ricerca ultima, è infatti quella legata alla
possibilità di trovare forme di vita extra-terrestre più o meno evolute.
Tutti i grandi telescopi in costruzione prevedono strumentazione dedicata alla
scoperta e studio di eventuali forme di vita nell’universo: sul sito web che la
NASA dedica al James Webb Space
Telescope si legge che uno dei goal scientifici della missione è proprio lo
studio delle proprietà fisiche e chimiche dei sistemi planetari (incluso il
nostro) alla ricerca degli elementi costituenti della vita; su quello dello SKA
si pubblicizza addirittura che questo radiotelescopio sarà così sensibile da
poter rivelare un radar da aeroporto (!) situato su un pianeta a decine di anni
luce da noi.
È questo il tema su cui convergono sempre di più gli sforzi della
comunità scientifica, le speranze dei ricercatori e anche i finanziamenti delle
varie agenzie.
Anche nell’ambito dell’esplorazione del nostro Sistema solare, l’attenzione
verso la possibilità di trovare evidenza di vita, passata o presente, è andata
continuamente aumentando, e alcune sonde spaziali hanno a bordo strumenti
concepiti specificamente
a questo scopo. Parallelamente, il problema della possibile contaminazione di
ambienti extraterrestri da parte di queste stesse sonde è trattato con sempre
maggior attenzione, proprio per evitare eventuali false scoperte.
Viene dunque spontaneo chiedersi – immaginando che questi sforzi possano
essere presto coronati da successo e che si trovi vita al di fuori del nostro
pianeta – se siamo preparati all’annuncio; si tratterebbe senz’altro della
scoperta del secolo! Siamo consapevoli delle sue implicazioni? Come reagiremmo?
Io credo che dipenda molto dal tipo di annuncio, in particolare dal tipo di
“vita” trovata e dalla robustezza delle prove fornite, perché la comunità
scientifica sarebbe senz’altro inizialmente scettica, memore dei precedenti
falsi allarmi.
La cosa più probabile che succeda è che si trovino evidenze di vita per il
tramite della scoperta, su Marte o in qualche altro luogo del nostro Sistema
solare, di fossili di organismi semplici o di microorganismi.
Su Marte vi sono
da tempo sonde al lavoro; un’altra – Rosetta/Philae – si è appena posata su di
una cometa per ana- lizzarne la composizione, e altre ancora, in grado di dare
un contributo in merito, sono in costruzione e programmate per un lancio nei
prossimi anni (ad esempio con il programma ExoMars
dell’ESA: lanci nel 2016 e 2018 e relativi “ammartaggi” e analisi in situ,
oppure OSIRIS-REX della NASA: lancio nel 2016 con arrivo sull’asteroide Bennu
e prelievo di un campione, previsto per la fine del 2019, da riportare sulla
Terra nel 2023). Così come sono allo studio missioni verso le lune di Giove
(Europa Clipper della NASA e JUICE dell’ESA). Ricerche di evidenze di vita
(passata) su Marte vengono anche condotte studiando meteoriti di origine
marziana caduti sulla Terra.
C'è vita su altri pianeti?
È molto recente l’analisi del meteorite Tissint, precipitato nel deserto
del Marocco nel 2011, che ha portato un gruppo di ricercatori (Lin et al.,
Meteoritics and Planetary Science, 2014, vol. 49, pp. 2201- 2218) a concludere
che le tracce di carbonati presenti nelle sue venature debbano essere di
origine biologica! Il risultato è presentato in maniera molto prudente anche
perché le evidenze offerte non sono certamente robuste. Infatti buona parte
della comunità scientifica è rimasta dubbiosa, giudicando le conclusioni tratte
dall’analisi del meteorite Tissint non convincenti. Anche i media non si sono
lasciati andare al sensazionalismo che una notizia del genere, se basata su
dati e conclusioni ben più solidi, avrebbe meritato. Forse era ancora vivo il
ricordo di un annuncio ancor più eclatante, dato nel 1996 da un diverso
gruppo di ricerca guidato da David McKay della NASA (Science vol. 273, pp.
924-930), sempre a seguito dell’analisi di un meteorite di origine
marziana: ALH84001.
In quel caso McKay e i suoi colleghi del Johnson Space Center si
dissero convinti di aver trovato microscopici cristalli di magnetite, del
tutto simili a quelli che si trovano nei batteri terrestri, e microorganismi
fossili, simili a microorganismi terrestri, ma più piccoli, di cui fu anche presentata
una fotografia ottenuta al microscopio elettronico. Per l’occasione fu
scomodata addirittura la Casa Bianca: il presidente degli Stati Uniti
(all’epoca Bill Clinton) rilasciò una dichiarazione in cui,
dopo avere con prudenza ricordato la necessità di approfondimenti e conferme
indipendenti, affermava che se confermata, la scoperta era una delle più
straordinarie che la scienza avesse mai visto. Il giorno dopo, la notizia era
in prima pagina sul New York Times e su altri giornali. Nei mesi e negli
anni successivi, tuttavia, non solo non è mai arrivata conferma di quanto
sostenuto da McCray, ma spiegazioni alternative furono presentate da molti colleghi
per spiegare quanto trovato nel meteorite marziano senza dover ricorrere a
processi biologici; oggi quasi nessuno crede che ALH84001 contenga microbi fossili.
Quando durante la conferenza stampa l’amministratore della NASA Goldin, tutto
soddisfatto, disse “è un evento incredibile”, certo non immaginava quanto la
sua affermazione si sarebbe rivelata vera!
Non ci è ancora stata mostrata prova convincente che in passato, quando
le condizioni ambientali erano probabilmente più favorevoli, ci sia stata
vita su Marte; dobbiamo però prendere atto delle molte scoperte, soprattutto ad
opera di sonde come Curiosity, Opportunity, Mars Express Orbiter e altre
ancora, che rendono la cosa sempre più plausibile. Prima tra tutte la persistente
e abbondante presenza di acqua (ghiaccio) che in passato copriva vaste aree
del pianeta. Non ci stupiremo quindi quando arriverà il momento in cui ci sarà
presentata una prova convincente e definitiva; i falsi allarmi, peraltro
plausibili, hanno iniziato ad abituarci all’idea e siamo dunque pronti alla
notizia, senza che questo tolga nulla alla sua eccezionalità o la renda meno
clamorosa.
Diverso sarebbe se, anziché vita microscopica o primitiva, ormai
estinta, trovassimo qualcosa di più complesso, il resto di un manufatto ad
esempio. A questo forse non siamo ancora preparati e si scatenerebbero fantasia
e congetture di ogni tipo, plausibili e no. Eppure, andando un po’ indietro
nel tempo, troviamo pure un falso allarme di “vita intelligente”, sempre
riguardante Marte, ad opera di stimati astronomi.
Schiaparelli, e poi soprattutto l’americano Lowell, alla fine del 1800 avevano
attribuito i famosi “canali di Marte” all’opera di una civiltà tecnologicamente
avanzata, senza peraltro generare eccessivo scalpore – forse perché i media, a
quel tempo, non erano altrettanto invasivi e forse anche per- ché la comunità
scientifica si mostrò subito particolarmente critica sull’interpretazione di
quelle lunghe linee apparentemente regolari osservate sulla superficie di
Marte. Può sembrare incredibile, ma solo le prime foto scattate dalla sonda
spaziale Mariner 4 nel 1965 misero definitivamente fine all’esistenza dei canali
marziani, nonostante precedenti osservazioni da Terra già avessero mostrato che
si trattava di un effetto ottico causato dall’unione di diversi punti dovuti a
eventi geologici prodotti probabilmente da fenomeni di erosione del suolo.
Marte non è dunque “il paradiso degli idraulici” come Schiaparelli ebbe a
scrivere nel 1893 sulla rivista “Natura e Arte” ma indubbiamente la sua
esplorazione, così come quella delle lune di Giove, ci riserverà delle
sorprese. Noi siamo pronti!
Tratto da Le Stelle n° 140