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Simboli in gioco

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I simboli degli elementi chimici sono stati introdotti, nella forma tuttora in uso, circa due secoli fa, dallo svedese Jöns Jacob Berzelius (Väversunda, 1779 – Stoccolma, 1848). Benché avesse incominciato ad utilizzarli alcuni anni prima, fu solo con due articoli sugli Annals of Philosophy (1813, 1814) che la sua decisione divenne, per così dire, di dominio pubblico. Comunicò infatti che avrebbe preso come simbolo chimico l’iniziale del nome latino di ciascuna sostanza elementare ma dato che molte avevano la stessa iniziale era necessario operare ulteriori distinzioni. Nella classe dei metalloidi avrebbe impiegato la sola iniziale anche se questa era comune a qualche metallo; in quella dei metalli avrebbe impiegato le prime due lettere del nome, sia che la corrispondenza dell’iniziale si verificasse con un altro metallo o metalloide; se anche le prime due lettere erano comuni a due metalli diversi si aggiungeva all’iniziale la prima consonante che non avevano in comune. A parte il primo caso di corrispondenza, non accettata dai successori, si può dire che la sua scelta è stata proprio indovinata. Prima di Berzelius, altri avevano tentato di dare simboli di vario tipo agli elementi chimici. Si ricordano Hassenfratz e Adet, Bergman, Dalton e Thomson. Tutto ciò è ben noto ai chimici e, per quanto attiene all’origine latina dei simboli, anche a molte persone di media cultura. Certo non è facile ricordare i simboli di tutti gli elementi riportati nella tavola periodica di Mendeleev, specialmente di quelli scoperti negli anni più vicini a noi, oppure di quelli che capita d’incontrare meno di frequente, come ad esempio quelli della serie dei lantanidi, detti anche “terre rare”. Come piccolo aiuto, specie per i ragazzi che studiano la “tavola” e un po’ si annoiano non apprezzandone subito l’intrinseca bellezza di catalogo della Natura, si può suggerire un gioco di abilità e fantasia. Si tratta di costruire delle parole unendo tra loro i simboli degli elementi. Ci ha provato anni fa la scrittrice spagnola Sophía Rhei (Madrid, 1978), autrice di libri di poesie e romanzi che hanno ottenuto vari riconoscimenti. Ad alcune sue poesie, raccolte nel volume Química (Chimica) pubblicato nel 2007 da El Gaviero Ediciones, la Rhei, che tra l’altro ha studiato alla Università di Castilla-La Mancha e alla Complutense, ha assegnato titoli composti in tal modo. Un esempio è quella intitolata “Incandescente”che dice:

Il rumore di una sola goccia/ rompe, in direzione centrifuga,/ la tensione superficiale della realtà

La parola “incandescente” deriva dai simboli degli elementi: indio (In), calcio (Ca), neodimio (Nd), einsteinio (Es), cerio (Ce), azoto (N) e tellurio (Te). Ciascuno potrà sbizzarrirsi a costruirne altre. Facile verificare, tavola periodica alla mano, che anche “alba”, “tacca”, “beccare”, “barare”, “erba”, “sostare”, “pasta”, “fatti”, “capace” e tante altre lo sono.

Non risulta che la Rhei sia stata tradotta in italiano e dobbiamo la sua conoscenza, inclusa la traduzione di “Incandescente” al bravo Stefano Bartezzaghi. La collana “I libri del Corriere della Sera”, edita da RCS MediaGroup, ha riproposto poche settimane fa di un suo piccolo saggio, frutto di una conferenza tenuto al Festival della Mente di Sarzana 2008. In quell’occasione l’intervento di Stefano Bartezzaghi fu annunciato con il titolo “La creatività delle parole”, poi si trasformò in “L’elmo di Don Chisciotte, da Anassagora a Marcello Marchesi”. Dalla conferenza scaturì “L’elmo di Don Chisciotte. Contro la mitologia della creatività”, che fu pubblicato da Laterza nel 2009 e che ora è stato ristampato. Stefano Bartezzaghi (1962) è un famoso scrittore e giornalista. Collabora da anni con il quotidiano “La Repubblica”, con il settimanale “L’Espresso” e la sua firma contribuisce in maniera significativa ad innalzarne lo spessore culturale. Lo fa in maniera discreta ma incisiva, così come ha scelto di definirsi (troppo) modestamente uno che “si occupa di giochi di parole e della loro storia”. In realtà è ben di più di un esperto di enigmistica, come verrebbe da pensare leggendo ciò che scrive e come sembrerebbe dalle sue “Lezioni di enigmistica” (Einaudi, 2001) e dal libro “L’orizzonte verticale. Invenzione e storia del cruciverba” (2007, 2013). Grazie a lui conosciamo questo modo insolito di prendere confidenza con la tavola di Mendeleev.


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