fbpx Sistema immunitario, l'ambiente conta più dei geni | Scienza in rete

Sistema immunitario, l'ambiente conta più dei geni

Primary tabs

Tempo di lettura: 3 mins

Perché questo inverno hai preso l'influenza, mentre i colleghi no? La risposta potrebbe avere meno a che fare con i vostri geni e molto più con l'ambiente. Questa l’interpretazione di un editoriale di Science nel commentare i risultati di uno studio pubblicato dai ricercatori della Stanford University sulla rivista Cell.

Il nostro sistema immunitario è molto complesso e diverso per ognuno di noi. Cosa lo renda efficace, però, non è molto chiaro, anche se è evidente che sia determinato in parte a livello genetico. D’altra parte, però, i vaccini funzionano proprio perché il nostro organismo è in grado di adattarsi all’ambiente circostante.
La domanda che si sono posti Mark Davis e colleghi è stata quindi quale sia il fattore maggiormente determinante per un buon sistema immunitario.
Per scoprire la relazione tra genetica, ambiente ed efficienza, gli autori della ricerca hanno studiato i gemelli omozigoti ed eterozigoti, un metodo classico per ricerche sull’ereditarietà. I gemelli omozigoti, infatti, condividono il 100 per cento dei geni, mentre quelli eterozigoti circa il 50 per cento. Questi ultimi però, a differenza dei fratelli, devono le loro differenze quasi esclusivamente al loro patrimonio genetico, dal momento che hanno “vissuto” insieme nell’utero materno e subito dopo la nascita. Se un tratto è ereditario, i gemelli identici saranno più propensi a condividerlo rispetto ai gemelli fraterni.

Sono quindi stati reclutati 210 tra gemelli identici e fraterni (78 coppie di gemelli monozigoti e 27 eterozigoti) con età compresa tra gli 8 ei 82 anni, dai quali sono stati presi campioni di sangue. I ricercatori hanno quindi valutato più di 200 parametri del loro sistema immunitario, ad esempio misurando il numero di 95 tipi di cellule immunitarie e 51 tipi di proteine.
Dalle analisi è emerso che nel 75 per cento di casi vi era una dominanza di fattori non ereditabili e che alcuni di questi parametri diventavano più variabili nei gemelli identici con più di 60 anni, rispetto a quelli con un’età inferiore ai 20.
Questa variabilità legata all’età suggerisce una divergenza che aumenta col tempo e dunque l'influenza cumulativa di un’esposizione ambientale, come quella ad agenti patogeni, ma anche la dieta, l’igiene e le vaccinazioni.
Un’ulteriore conferma del fatto che conoscere la sequenza del genoma di una persona per prevedere quali malattie avrà in età adulta facilmente non basta, come ha spiegato Mark Davis: "Il corredo genetico riveste certamente un ruolo cruciale nella suscettibilità ad alcune malattie, ma il sistema immunitario deve avere un alto livello di plasticità per poter affrontare episodi non prevedibili come infezioni, ferite e formazioni di tumori".

Plasticità sembra quindi essere la parola chiave per un buon sistema immunitario. Almeno per i primi 20 anni, infatti, il sistema immunitario è particolarmente reattivo e riesce ad adattarsi alle più diverse condizioni ambientali, non prevedibili dalla “semplice” genetica. Questo spiega l’enorme eterogeneicità nei parametri immunologici nella popolazione, gemelli compresi. “Nella maggior parte dei casi, come nella reazione al vaccino dell'influenza o in altri tipi di responsività immunitaria,- conclude Davis - l'importanza della genetica è limitata o addirittura nulla: è probabile che l'ambiente e l'esposizione individuale ai microbi siano il fattore determinante”.

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La COP29 delude. Ma quanti soldi servono per fermare il cambiamento climatico?

Il presidente della COP 29 di Baku, Mukhtar Babayev, chiude i lavori con applausi più di sollievo che di entusiasmo. Per fortuna è finita. Il tradizionale tour de force che come d'abitudine è terminato in ritardo, disegna un compromesso che scontenta molti. Promette 300 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare la transizione, rimandando al 2035 la "promessa" di 1.300 miliardi annui richiesti. Passi avanti si sono fatti sull'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, che regola il mercato del carbonio, e sul tema della trasparenza. Quella di Baku si conferma come la COP della finanza. Che ha comunque un ruolo importante da giocare, come spiega un report di cui parla questo articolo.

La COP 29 di Baku si è chiusa un giorno in ritardo con un testo variamente criticato, soprattutto dai paesi in via di sviluppo che hanno poca responsabilità ma molti danni derivanti dai cambiamenti climatici in corso. I 300 miliardi di dollari all'anno invece dei 1.300 miliardi considerati necessari per affrontare la transizione sono stati commentati così da Tina Stege, inviata delle Isole Marshall per il clima: «Ce ne andiamo con una piccola parte dei finanziamenti di cui i paesi vulnerabili al clima hanno urgentemente bisogno. Non è neanche lontanamente sufficiente.