Da tempo si denuncia da più parti una privatizzazione strisciante della sanità, con i cittadini costretti a spendere di tasca propria per le cure a causa di ritardi e inefficienze. Ora un’indagine tra i malati promossa dalla Favo quantifica l’impatto economico di una malattia tumorale sulle tasche dei pazienti: in media 1.841 euro all’anno, dovuti a esami diagnostici, visite specialistiche successive alla diagnosi, farmaci non oncologici, spese per viaggio e alloggio.
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Una spesa media di 1.841 euro all’anno per curare il cancro. Per effettuare esami diagnostici e visite specialistiche, ma anche per avere accesso a trattamenti che concorrono ad aumentare i tassi di sopravvivenza e la qualità della vita dei malati, come la psicoterapia e il supporto nutrizionale. In molti casi a centinaia di chilometri da casa, aspetto che concorre ad aumentare l’aggravio economico per le tasche dei pazienti e delle loro famiglie: quasi la metà dichiarano spese per i mezzi di trasporto (45,1%) e oltre un quarto spese per alloggiare lontano da casa (26,7%).
Lo attesta la seconda edizione dell’indagine “I costi sociali del cancro: valutazione di impatto sociale ed economico sui malati e sui caregiver” – promossa dalla Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (FAVO) e realizzata da Datamining in collaborazione con l’Associazione Italiana Malati di Cancro, parenti e amici (Aimac), l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e quello di Napoli (Fondazione Pascale), confermando una realtà purtroppo ben nota alle famiglie italiane che convivono con una persona malata di tumore.
Lo studio è stato pubblicato su The European Journal of Health Economics e presentato il 14 aprile 2023 alla Camera dei Deputati.
Come osservano gli autori dell’articolo, la cosiddetta “tossicità finanziaria”, ovvero il peso economico delle cure necessarie per le persone ammalate di tumore, «è stata ampiamente riconosciuta come una crescente preoccupazione per i pazienti oncologici, in primo luogo negli Stati Uniti, dove il sistema sanitario è caratterizzato da un ruolo prevalente delle assicurazioni private, ma successivamente ha coinvolto altri Paesi, in particolare quelli con un reddito medio-basso, tra cui molti con sistemi sanitari pubblici.
I costi a carico dei pazienti sono un aspetto rilevante della tossicità finanziaria associata alle cure oncologiche, perché esprimono sia l'onere finanziario sostenuto dai pazienti e dalle loro famiglie, sia il disagio mentale, l'ansia, il peggioramento della qualità della vita e i problemi finanziari a lungo termine associati a questi aspetti economici». Si tratta di un problema importante, visto che, come ha dichiarato uno degli autori dell’indagine, Francesco Perrone, direttore dell’unità sperimentazioni cliniche e studi di Fase 1 all’Istituto Nazionale Tumori Fondazione Pascale di Napoli e presidente eletto dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom): «Chi affronta la malattia in una condizione di difficoltà economica vede la propria vita condizionata dalla malattia sia in termini di qualità, ma anche, drammaticamente, di prospettive di sopravvivenza».
Perrone aveva già segnalato in uno studio pubblicato nel 2016 come in Italia, nonostante la presenza di un sistema sanitario pubblico, i problemi finanziari dei pazienti con cancro risultassero associati con esiti negativi. In particolare, i pazienti con problemi finanziari già esistenti prima di iniziare un trattamento chemioterapico avevano mostrato un rischio del 35% più elevato di peggiorare la propria qualità della vita durante il trattamento; e i pazienti che vanno incontro a un peggioramento (o alla comparsa) dei problemi finanziari durante il trattamento avevano mostrato un rischio di morte aumentato del 20%.
La spesa maggiore è per esami diagnostici e viaggi
L’indagine attuale ha coinvolto quasi 1.300 pazienti in trattamento terapeutico che avevano ricevuto una diagnosi tra il 1985 e il 2018, con l’obiettivo di indagare la misura in cui i malati avessero attinto ai propri risparmi per portare avanti il percorso terapeutico più indicato per la propria malattia.
La rilevazione è avvenuta in 39 punti di accoglienza e informazione di Aimac presenti nei maggiori centri di diagnosi e cura del cancro distribuiti equamente sul territorio nazionale e il campione della popolazione in trattamento ha tenuto conto di età, anno di diagnosi, fase della malattia, sede del tumore, sesso, stato civile, istruzione, residenza.
Ai pazienti è stato sottoposto un questionario standardizzato di 38 domande, volte a quantificare le spese (mediche e no) affrontate direttamente per colmare carenze e ritardi del Servizio sanitario nazionale (SSN).
Dalle risposte è emerso che mediamente ogni paziente oncologico italiano spende 1.841 euro all’anno per ricevere prestazioni sanitarie che dovrebbero essere a carico dei servizi sanitari regionali. Come afferma la Favo, si tratta di «questioni che confermano come il Servizio Sanitario Nazionale non sia attualmente in grado di assicurare tempestivamente l’accesso agli esami diagnostici, alle cure oncologiche e al sostegno sociale a tutti i pazienti che ne abbiano bisogno. E la situazione risulta peggiorata a causa delle lunghe liste di attesa».
Tra gli aspetti dell’indagine che meritano di essere discussi, tre sono quelli evidenziati dagli autori.
1) In primo luogo, la composizione delle spese sostenute dai pazienti di tasca propria. La voce che più sembra incidere sulle spese sostenute direttamente dai pazienti è quella relativa agli esami diagnostici (riportata dal 51,4 per cento e intorno a 260 €, circa il 14% della spesa media totale). Di fatto, notano gli autori, esami diagnostici appropriati dovrebbero essere sostenuti dal SSN: una percentuale così alta di pazienti che pagano di tasca propria per esami diagnostici può essere legata o all’inappropriatezza della prescrizione o al fatto che i tempi di attesa del SSN sono troppo lunghi e spingono il paziente a pagare per ottenere l’esame nei tempi richiesti. Un problema da affrontare, perché se pure i costi degli esami diagnostici sono inferiori a quelli delle cure, possono accumulare un carico finanziario non indifferente se il SSN non provvede in maniera adeguata. Anche l’appropriatezza degli esami dovrebbe essere oggetto di attenzione, in particolare nelle fasi di follow up, quando frequentemente il loro uso è controverso. La seconda voce è rappresentata dai trasporti, un problema che riguarda il 45% dei pazienti e copre quasi il 20% della spesa: in molti casi per ricevere le cure necessarie ci si deve spostare. La disparità di qualità dei servizi sanitari nelle diverse regioni del Paese è un tema tristemente noto in Italia. Su Scienza in Rete ci siamo occupati recentemente degli spostamenti cui i cittadini in Italia sono frequentemente costretti per curarsi, in particolare da Sud a Nord. Seguono tra le cause di spesa le visite specialistiche successive alla diagnosi (45,1 per cento), l’acquisto di farmaci non oncologici (28,5 per cento) e le spese per l’alloggio lontano dalla propria residenza (26,7 per cento). Tra le altre voci di spesa più di frequente rilevate ci sono l’erogazione di trattamenti di supporto psicologico, i consulti con il nutrizionista, l’acquisto di protesi, parrucche e sedie a rotelle e le visite a domicilio effettuate da medici e infermieri.
2) Un secondo punto su cui gli autori richiamano l’attenzione è la correlazione tra maggiori spese di tasca propria e livello di istruzione più alto, legato a sua volta a una condizione socioeconomica più elevata, al vivere nelle regioni del Nord e quindi avere a disposizione una maggior offerta di soluzioni a pagamento da parte di centri privati rispetto a quanto avviene al Sud e una maggiore capacità di spesa. Il fatto che la spesa al Sud sia inferiore non significa che l’assistenza necessaria sia qui fornita in misura maggiore dal SSN. Spendere meno di tasca propria da parte di pazienti appartenenti a fasce economiche svantaggiate purtroppo in questo caso indica la rinuncia a una parte delle cure, come quelle per il sostegno psicologico, per assistenza a domicilio, per protesi o parrucche e simili, che pure sono cruciali per la qualità della vita.
3) Molto rilevante, secondo quanto sottolineano gli autori, è risultata l’associazione tra spese a proprio carico più elevate e fasi più avanzate della malattia: un grave segnale d’allarme, perché mostra che il problema riguarda in misura maggiore proprio la popolazione di pazienti più fragile e vulnerabile, facilmente destinata ad anni di cure. In particolare, l’organizzazione dei servizi sanitari e la collaborazione tra i diversi prestatori di servizi dovrebbe essere focalizzata sul facilitare il percorso di pazienti che richiedono frequenti accessi in ospedale, assumono diversi farmaci sia antitumorali sia per combattere i sintomi e gli effetti indesiderati e sono in difficoltà particolare di fronte alle richieste burocratiche, alle liste d’attesa e altre problematiche che compromettono la qualità delle cure offerte dal SSN.
L'esborso non aumenta: ma potrebbe non essere un buon segno
Da notare che la spesa di tasca propria per cure oncologiche non ha mostrato la tendenza ad aumentare negli anni dell’indagine, nonostante la tendenza nello stesso periodo all’aumento delle spese per la salute, in particolare in campo oncologico. Potrebbe essere spiegato con un miglioramento della copertura e dell’organizzazione del SSN, che ha reso non necessario un aumento delle spese sostenute dai pazienti. Ma potrebbe anche essere dovuto alla diminuzione delle possibilità di spesa dei pazienti, legata alla tossicità finanziaria della malattia, e quindi significare un peggioramento ulteriore delle condizioni di vita.
Come ha dichiarato Francesca Traclò, referente dello studio e membro del consiglio direttivo dell’Aimac: «I risultati della nostra rilevazione confermano che alcune esigenze dei pazienti oncologici rimangono insoddisfatte. Questa situazione accresce le disuguaglianze tra pazienti caratterizzati da status socioeconomici differenti. Una disparità inaccettabile, in presenza di un sistema sanitario pubblico che per sua natura dovrebbe garantire a tutti i cittadini un equo accesso ai servizi sanitari».
Il campione dello studio:
- 1.289 pazienti (464 uomini e 825 donne)
- 58% provenienti dal Nord e dal Centro Italia
- 42% dal Sud e dalle Isole
- 910 conviventi o sposati
- 379 single, divorziati o vedovi
- Componenti famigliari: una persona (189), coppia (176), coppia con figli (776), altro (148)
- Periodo in cui è avvenuta la diagnosi: 1985-2012 (192), 2013-2016 (455), 2017-2018 (642)
- Fase della malattia: prima linea di trattamento (634), trattamenti successivi o cure palliative (655)