fbpx Steve Jobs, la sua malattia e le medicina alternative | Scienza in rete

Steve Jobs, la sua malattia e le medicina alternative

Primary tabs

Tempo di lettura: 5 mins

Possibile che una persona svelta e piena di immaginazione come Steve Jobs – che era amico di medici e scienziati e si era affidato a dottori di prim’ordine - quando s’è trattato della sua salute abbia preso la decisione sbagliata? Se lo chiede Denise Grady in un articolo pubblicato sul New York Times. Sembrerebbe semplice rispondere a questa domanda anche perché Steve Jobs il cancro l’ha scoperto per caso nel 2003 con una TAC fatta per altri motivi. E nonostante certi dottori gli avessero suggerito di operarsi subito lui s’è affidato a cose “naturali” o alternative: dieta vegana, erbe, agopuntura e chissà forse persino omeopatia e altro ancora. “Se non avessi fatto la TAC non si sarebbe mai saputo di questo tumore e probabilmente avrei continuato a vivere come prima senza nessun problema”, deve aver ragionato così Steve Jobs quando ha deciso di aspettare a farsi operare. Ma intanto il tumore cresceva (almeno secondo Walter Isaacson nella biografia di Steve appena pubblicata), e  quando alla fine l’intervento s’è fatto nel fegato c’erano già metastasi. A questo punto uno potrebbe pensare che se Jobs si fosse fatto operare nove mesi prima, ai tempi della prima TAC, il tumore non si sarebbe esteso al fegato. Ma può darsi che ci fossero già metastasi fin dall’inizio, di quelle che non si vedono – micrometastasi - e in questo caso avrebbe avuto ragione lui, operarsi prima non avrebbe cambiato niente.

Steve Jobs aveva un tumore neuroendocrino del pancreas, un tumore cioè delle cellule che producono ormoni come l’insulina. Quando uno si accorge di avere uno di questi tumori, almeno quattro volte su dieci ci sono già metastasi anche se non si vedono*. Ma è tutto molto complicato perché quelli neuroendocrini sono tumori rari (solo il tre per cento di tutti i tumori del pancreas), fra l’altro meno aggressivi degli altri. Quasi il 60 per cento dei pazienti con un tumore neuroendocrino vive 5 anni ma c’è anche chi vive per 10 anni o di più e persino chi guarisce. Per questo i medici tendono a suggerire l’intervento per tumori di più di 2 centimetri anche se non c’è un rapporto così sicuro tra le dimensioni del tumore e la sua tendenza a dare metastasi.

Si può anche ragionare all’opposto. Se tu sei così fortunato da accorgerti per caso di avere un tumore quando questo è ancora molto piccolo, forse questo è il momento migliore per farsi operare. Insomma, se si tornasse indietro anche i medici migliori avrebbero difficoltà a dire cosa fare in un caso come quello di Steve Jobs. Quello che colpisce però per uno che ha fondato il suo impero sull’innovazione, il rigore, la cura ossessiva dei particolari è il fatto che nemmeno lui abbia saputo resistere al fascino della medicina cosiddetta alternativa.

La gente ha un'idea romantica di questi rimedi, “non funzionerà ma almeno non fa male”. Un po' è vero, anche se dieci anni fa in Belgio nove donne sono finite in dialisi per via di un'erba cinese che prendevano per dimagrire. L'omeopatia no, effetti negativi quei rimedi lì non ne hanno proprio. E si capisce. La sostanza da cui si parte è talmente diluita che la soluzione finale non contiene nulla. Però di cure “alternative” chi è davvero malato, qualche volta muore. Sylvia Millecam per esempio, bellissima, brava in teatro e in tv è morta per un cancro al seno di appena un centimetro (certi medici “alternativi” l'avevano convinta che il tumore non c'era). Ora in Olanda hanno fatto una legge e gli ammalati non si possono imbrogliare più. Molto dipende dai medici. Fare il medico alternativo è facile, basta curare chi non è malato (mal di schiena o se uno è un po’ giù di morale o il raffreddore). Si guadagna bene e non si rischia niente. Ma per tutto il resto i medici dovrebbero dire chiaramente ai loro ammalati che queste cure non funzionano. Così a nessuno verrebbe in mente di fronte ad una malattia vera di perdere tempo, posticipare, provare intanto qualcosa d’altro (“chissà, non si sa mai…”).

E poi sulle confezioni di erbe e farmaci omeopatici dovrebbe esserci scritto chiaramente “questo prodotto non ha la capacità di curare nessuna malattia e nemmeno di farvi stare meglio per nessuna ragione, anzi se siete malati c’è il rischio che vi faccia ritardare cure efficaci”. Ma non è così. Chi vende erbe e omeopatia insiste nel dire che gli ammalati hanno il diritto di curarsi come vogliono. Molti medici - non ho mai capito se in buona fede o no - stanno al gioco e la gente è confusa. Così con la medicina alternativa si fanno guai: la metà degli omeopati in Inghilterra suggerisce ai loro ammalati di non fare la vaccinazione per il morbillo, la varicella e la rosolia. E si sa di ammalati morti in attesa degli effetti delle cure del “nulla”. E’ successo a ragazzi malati di leucemia e linfoma e capita (è capitato tante volte anche a me) di incontrare persone con malattie gravi a cui medici alternativi hanno suggerito di sospendere terapie efficaci.

Forse per Steve Jobs le cose sarebbero andate male comunque, ma il fatto che persino lui abbia provato un po’ di cose strane prima di farsi curare davvero fa capire come ci sia ancora tanta strada da fare. Ci dobbiamo impegnare tutti, scienziati, medici, chi governa la salute e chi scrive sui giornali, se vogliamo evitare che di rimedi alternativi si continui a morire, per niente. 

 

Bibliografia
Nissen et al: Pancreatic neuroendocrine tumors: presentation, management and outcomes. Am Surg 2009; 75:1025-1029


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Di latticini, biotecnologie e latte sintetico

La produzione di formaggio è tradizionalmente legata all’allevamento bovino, ma l’uso di batteri geneticamente modificati per produrre caglio ha ridotto in modo significativo la necessità di sacrificare vitelli. Le mucche, però, devono comunque essere ingravidate per la produzione di latte, con conseguente nascita dei vitelli: come si può ovviare? Una risposta è il latte "sintetico" (non propriamente coltivato), che, al di là dei vantaggi etici, ha anche un minor costo ambientale.

Per fare il formaggio ci vuole il latte (e il caglio). Per fare sia il latte che il caglio servono le vacche (e i vitelli). Cioè ci vuole una vitella di razza lattifera, allevata fino a raggiungere l’età riproduttiva, inseminata artificialmente appena possibile con il seme di un toro selezionato e successivamente “forzata”, cioè con periodi brevissimi tra una gravidanza e la successiva e tra una lattazione e l’altra, in modo da produrre più latte possibile per il maggior tempo possibile nell’arco dell’anno.