fbpx La storia dimostra l’inefficacia delle moratorie | Scienza in rete

La storia dimostra l’inefficacia delle moratorie

Primary tabs

Tempo di lettura: 6 mins

La storia dimostra l’inefficacia delle moratorie. La storia della Biologia più recente, con la conferenza di Asilomar nel 1975 e la moratoria sull’uso della tecnologia taglia-e-cuci del DNA (DNA ricombinante) grazie agli enzimi di restrizione ne è la prova più evidente (ma anche quella del 1997 sulla clonazione umana e quella del 2012 sul guadagno di funzione dei virus influenzali aviari).
Con tutte le falsificazioni concettuali e pratiche che ne possono derivare.
Quest’ultimo esempio ancora una volta ne è la prova più evidente: le istituzioni pubbliche lige all’osservanza della moratoria e il settore privato profit-making che ne è virtualmente esentato e procede nello sviluppo della tecnologia, brevettandola in mille salse… basterà pensare agli Ogm come esito finale. Il pubblico che ha investito danari per sviluppare la tecnica è escluso dai benefici economici che ne derivano.
Il privato procede spedito nel guadagno economico che deriva dal monopolio di quella tecnica senza curare quella necessaria operazione di divulgazione del sapere a livello di società civile, capace di mettere in dialogo scienza-società, così da chiarire e far capire (accettare) l’impiego di quella tecnica.
Quando i prodotti della tecnica vengono proposti (nell’esempio in questione gli Ogm), la società civile è del tutto spiazzata e impreparata ad accettarli e li vive come un sopruso, una imposizione del “capitale” e il dibattito che si instaura è falsato, non si riesce più  a fare chiarezza (se non a scapito di energie spropositate e tempi lunghissimi), a informare correttamente, a coinvolgere pensatori di altre discipline (filosofi, giuristi, economisti, ecc.) a dare un sostanziale contributo al dibattito. In una parola, l’impresa scientifica stenta a farsi capire e a proporre applicazioni condivise e ritenute “buone”.

Il sistema CRISPR e la medicina di domani

Questa breve premessa per dire che oggi ci si trova dinnanzi a una situazione del tutto analoga e forse la storia dovrebbe insegnarci qualche cosa! Disponiamo di una tecnica (in sigla: CRISPR-Cas9) che è possibile definire “semplice” e “non costosa” e dunque alla portata di ogni laboratorio (non stiamo parlando di una tecnica sofisticata e dominio di due o tre laboratori) per modificare in maniera sito-specifica il genoma di qualsivoglia cellula, vegetale e animale incluse quelle germinali, al fine di ottenere eliminazione, aggiunta, sostituzione, modificazione, comunque alterazione di sequenze del DNA legate a geni capaci di determinare tratti di interesse genetico, in medicina umana come in quella veterinaria, in agricoltura come in produzioni biotecnologiche e molto altro ancora.
La tecnologia CRISPR-Cas9 è stata derivata da quella di tipo II CRISPR-Cas dei batteri che, a loro volta, la impiegano per difendersi da virus e plasmidi in modo da assicurarsi, in termini evolutivi, una immunità adattativa al loro assalto.
La conoscenza dei sistemi CRISPR è merito di scienziati giapponesi che nel 1987, studiando Escherichia coli, scoprono delle Clustered Regularly Interspaced Palindromic Repeats, CRISPRs, sequenze ricordo di vecchie infezioni (sequenze di genomi virali) i cui interessanti dettagli molecolari porteranno in pochi anni a individuare dei geni associati a CRISPR, i geni “cas” (CRISPR associated) che codificano per proteine, endonucleasi, capaci di tagliare il DNA, aprendo dunque le porte ad una vera e propria (ennesima) rivoluzione in Biologia.
L’uso della tecnologia CRISPR-Cas è oggi molto diffuso nei laboratori per lo studio, ad esempio, delle funzioni dei geni e della progressione del cancro; potenzialmente è una tecnologia che può essere concepita per correggere mutazioni dannose del DNA, ad esempio quelle legate a molte malattie.
Più in generale, può essere impiegata per studi del genoma legati all’azione di farmaci o per generare modelli animali di patologie umane utili in ricerca; in piante e funghi può essere utile per ricerche capaci di assicurare una migliore produzione quali-e quantitative di prodotti di interesse economico (si legga questa interessante review).

E’ dunque concepibile dinnanzi alle paure di applicazioni “cattive”, “mostruose” chiedere alla comunità scientifica una moratoria?! E’ concepibile un richiamo alto, come già fece Jurgen Habermas, ai rischi della “genetica liberale”?
Personalmente sono stupito da una simile richiesta. La storia ci dice che no, non è concepibile per il semplice motivo che non è attuabile. Altre sono le vie da perseguire.
Bene hanno fatto David Baltimore e molti altri scienziati (alla notizia che, forse, scienziati cinesi lo hanno già fatto ed i lavori stanno per essere pubblicati) a chiedere una moratoria sull’editing delle cellule germinali umane ed a sollecitare un dibattito universale (si legga su ScienceExpress del 19 marzo 2015) suggerendo, credo tatticamente e per dovere di ufficio, una chiamata generale a raccolta per instaurare una moratoria, anche se ci sarebbe da chiedersi a che fine. Certamente per dire no, oggi, a modifiche del genoma di spermatozooi, uova ed embrioni umani, nella speranza che il pubblico impaurito dalla pubblicazioni di simili dati chieda a forza la censura totale sull’utilizzo della tecnica.

Una democrazia cognitiva, per una cittadinanza scientifica

La storia però insegna che ben più efficace è l’investimento massiccio di energie e danari per svolgere campagne di alfabetizzazione capillare sulle possibilità offerte dalla nuova tecnica, chiamando da subito filosofi, giuristi, psicologi, economisti, ecc. a dare il proprio contributo, a togliere le nebbie che offuscano la ragione e fanno vivere nella paura di mondi ove regna incontrollato il cattivo scienziato al soldo della multinazionale: il bicchiere è mezzo pieno, l’altra metà dobbiamo riempirla noi chiedendo norme capaci di evitare derive non accettabili, lavorare ciascuno di noi per la società della conoscenza; la democrazia cognitiva chiede un esercizio di cittadinanza scientifica alla quale siamo chiamati tutti, nei diversi ruoli e competenze.
Disponiamo anche di un bellissimo esempio al riguardo di una simile procedura: quanto è stato fatto in Gran Bretagna, prima di approvare la legge che consente di eliminare le malattie mitocondriali grazie allo scambio (senza danaro) di cellule uovo tra amiche e con la tecnologia del trasferimento nucleare (la stessa che impieghiamo per clonare). Oggi vediamo rendersi disponibile una tecnica fantastica che sarà, ad esempio, capace di realizzare l’eliminazione di sofferenze per chi è stato sfortunato nella roulette genetica della riproduzione ed ha ereditato tratti genetici che producono sofferenza ed esclusione sociale.
Perché non pensare di agire a livello universale? La tecnica, semplice e economica, può eliminare dal genoma umano (di tutti, non solo di quello dei possessori di carta di credito) tratti genetici causativi di malattie che possiamo debellare! Certo, questo scenario è oggi un sogno ma come lo è la proiezione negativa del baby-disegnato con caratteristiche meravigliose ed a volontà dei genitori.
A oggi la tecnica si è rivelata per le sue potenzialità ma ancora non la controlliamo con la necessaria sicurezza del bisturi genetico, le modificazioni del DNA riescono sì ma in termini di precisone non concepibili per una visione riduzionista del tutto o del nulla sul prodotto finale.
E’ ancora approssimativa nei risultati e se pensiamo, ad esempio, all’applicazione di modificazione di una sequenza di DNA beh, siamo sì capaci di produrla, ma nel contempo corriamo il rischio di produrne anche un’altra non voluta!
E dunque abbiamo tutto il tempo per impostare quella necessaria discussione a livello internazionale mentre le ricerche proseguono per rendere la tecnica del tutto precisa ed efficiente, capace di elaborare quella visione utile a stabilire le applicazioni che riteniamo lecite e illecite, chiarendo che queste ultime sono dannose, dannose per tutti.

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Di latticini, biotecnologie e latte sintetico

La produzione di formaggio è tradizionalmente legata all’allevamento bovino, ma l’uso di batteri geneticamente modificati per produrre caglio ha ridotto in modo significativo la necessità di sacrificare vitelli. Le mucche, però, devono comunque essere ingravidate per la produzione di latte, con conseguente nascita dei vitelli: come si può ovviare? Una risposta è il latte "sintetico" (non propriamente coltivato), che, al di là dei vantaggi etici, ha anche un minor costo ambientale.

Per fare il formaggio ci vuole il latte (e il caglio). Per fare sia il latte che il caglio servono le vacche (e i vitelli). Cioè ci vuole una vitella di razza lattifera, allevata fino a raggiungere l’età riproduttiva, inseminata artificialmente appena possibile con il seme di un toro selezionato e successivamente “forzata”, cioè con periodi brevissimi tra una gravidanza e la successiva e tra una lattazione e l’altra, in modo da produrre più latte possibile per il maggior tempo possibile nell’arco dell’anno.