La distonia focale intacca i movimenti che richiedono una particolare precisione e quando colpisce i musicisti ne può compromettere le prestazioni e la carriera. Le manifestazioni e le cause di questo disturbo vanno indagate e comprese affinché chi ne soffre sia maggiormente assistito e tutelato.
Nell'immagine: il musicista Giovanni Nesi durante un suo recital per la sola mano sinistra presso il PalaCultura Antonello a Messina; foto di Francesco Algeri
Non riuscire più a suonare per un musicista professionista vuol dire perdere la propria identità oltre che compromettere la propria carriera. È il rischio che corre l’1% dei musicisti colpiti da distonia focale. Un disturbo del sistema nervoso centrale causato dalla ripetizione per lungo tempo di movimenti fini, come gli esercizi allo strumento. Ed è proprio per questo i musicisti ne soffrono molto di più del resto della popolazione. «La distonia è una malattia del software del cervello», spiega il neurologo Alberto Albanese durante una conferenza dell’Associazione italiana per la ricerca sulla distonia (ARD). È un problema di comunicazione tra le parti del cervello attivate quando si suona e le specifiche parti del corpo. A un certo punto le mani per i pianisti e i chitarristi o i muscoli delle labbra degli strumentisti a fiato non rispondono più ai comandi acquisiti in anni di esercizi e suonare diventa impossibile. Recuperare è molto faticoso e non sempre si riesce. Nonostante questo, la distonia rimane pressoché sconosciuta tra musicisti e medici e in Italia non è ancora riconosciuta come malattia professionale.
«Nessuno sa del mio disturbo», hanno scritto a Maurizio Persia, trombonista nell’Orchestra di Santa Cecilia, quando ha deciso di parlare della sua distonia alla rubrica Medicina 33 del TG2. Ha così conosciuto il “mondo sommerso” dei musicisti che soffrono di questa patologia. «Mi hanno contattato studenti e insegnanti che hanno smesso di esibirsi a causa sua». Ma non solo: «Docenti di musica mi hanno chiesto di non parlarne in giro, per non rovinare la loro reputazione». Un pudore e una vergogna della propria condizione che aumentano il senso di solitudine, impediscono la condivisione delle proprie difficoltà e ritardano la diagnosi.
«Ero nell’Orchestra di Santa Cecilia quando ho iniziato a mancare singole note e poi passaggi più lunghi. Non riuscivo più a eseguire le legature, un certo tipo di staccato e di dizione», racconta Maurizio. La malattia inizia con una minor precisione dei movimenti, che i musicisti interpretano come un problema tecnico da compensare con lo studio. «Gli esercizi che prima mi rimettevano in sesto, mi facevano soltanto peggiorare». Per Maurizio era come stare sulle sabbie mobili: più si muoveva, più affondava. Lo stesso è successo a Giovanni Nesi, giovane docente di pianoforte al Conservatorio di Livorno con una carriera concertistica internazionale alle spalle. La sua distonia è incominciata come un senso di affaticamento della mano destra, quella dominante e sotto maggiore sforzo, che si è progressivamente trasformata in una totale perdita di controllo. «All’inizio dei sintomi pensavo di essere impazzito. Non posso dire lo sconforto, anche perché gli esami clinici e le radiografie alla mano erano normali». Il totale smarrimento accomuna tutti i musicisti con la distonia: «Nel frattempo, continuavo a cancellare i concerti senza saper dare una risposta al mio agente, che ormai era furioso. Pensava lo prendessi in giro», ammette Giovanni.
È difficile spiegare la distonia, perché intacca soltanto movimenti che richiedono una particolare precisione. «La distonia di un chitarrista si potrebbe manifestare solo quando suona e non mentre scrive», spiega Alberto Albanese, presidente del comitato scientifico dell’ARD e responsabile dell’Unità Operativa Neurologia Ospedale Humanitas di Rozzano. «E questo complica il riconoscimento anche da parte dei medici di altri settori». Soprattutto in Italia, dove non esistono centri di ricerca per le malattie dei musicisti e sono rari gli ambulatori medici. Dopo aver cercato di rimediare da soli con lo studio e visitati da medici non specialisti, Giovanni e Maurizio hanno pensato fosse un disturbo soltanto fisico e non di origine neurologica. Sono arrivati alla distonia per caso, parlandone tra colleghi. Per Giovanni la svolta venne da un amico musicista messicano che, sentendo i suoi racconti, non ebbe dubbi: «È la testa cabrón (idiota in spagnolo), non la mano. Devi andare in Spagna!». E così fece, cinque giorni dopo era nell’Istituto di fisiologia e medicina dell’arte di Barcellona per la prima visita approfondita al pianoforte. «I miei sintomi si manifestavano soltanto quando suonavo lo strumento in condizioni normali. Si azzeravano, invece, suonando per terra o indossando un guanto di lattice». Infatti la distonia causa delle anomalie nella contrazione dei muscoli e intacca la corteccia somatosensoriale, che impara a eseguire i fini e agili movimenti dei musicisti. L’apprendimento accumulato in anni di studi viene sostituito da uno sbagliato e bisogna correggerlo, senza poter ripartire da zero.
Tra i diversi approcci di cura, Giovanni ha seguito la terapia del movimento provocato dalla costrizione (CIMT). «Il trattamento è quotidiano ed estenuante. Consiste nel mettere il cervello in condizioni di trovare vie alternative alla distonia». Si usano stecche di ferro per immobilizzare una o più dita, in diverse combinazioni, mentre si suona. «Il cervello, nel frattempo, doveva essere impegnato a svolgere operazioni complesse sempre diverse, come calcoli matematici, perché non si abituasse». L’obiettivo è destabilizzare il cervello, affinché si riorganizzi e recuperi le capacità specifiche del musicista. Per recuperare le sue abilità di trombonista Maurizio, invece, ha provato tutti i trattamenti disponibili. Non solo esercizi di riabilitazione, ma anche infiltrazioni, radioterapie, sedute di ipnosi e psicoterapia. I primi sintomi si sono manifestati nel 2019, poco prima che il mondo si fermasse per la pandemia. «Quando i concerti con l’orchestra sono stati interrotti e siamo stati messi in cassa integrazione, ho tirato un sospiro di sollievo». Maurizio usciva da un periodo molto faticoso di terapia quotidiana e lavoro con scarsi risultati. Solo ad agosto 2020 è riuscito ad andare all’Istituto della fisiologia musicale e medicina dei musicisti di Hannover, in Germania per farsi visitare da Eckart Altenmüller, uno dei massimi esperti del settore. «Stacca completamente dall’orchestra, evita lo stress e allontana la sensazione di inadeguatezza dal tuo ruolo», si è sentito dire Maurizio. «È un mondo che crolla, tutta la tua identità. A 55 anni mi sono ritrovato a non essere più me stesso». Per quanto sia difficile, concentrarsi su pensieri piacevoli, cercando di allontanare lo stress fa parte della terapia. Infatti lo stress è un aggravante nel percorso di cura e gioca un ruolo fondamentale nell’insorgenza della malattia.
Oggi non conosciamo con esattezza la causa della distonia, ma sappiamo che diversi elementi la predispongono. Possono essere dolori dovuti a iper-utilizzo o traumi, fattori genetici, psicologici, come ansia, la tendenza del perfezionismo e del controllo, spesso indotti dal mondo competitivo della musica classica. «La mia competizione era rivolta a me stesso»: per Giovanni è stata la sua ricerca del perfezionismo sommata ai ritmi estenuanti lavorativi a portarlo alla distonia. «Nel periodo dei primi sintomi, facevo 30, 40, 50 concerti all’anno, mentre insegnavo sei giorni su sette in tutta Italia. Mi ritrovavo a studiare nei viaggi tra una città e l’altra e questa situazione è andata avanti per anni, fino a quando il mio corpo è crollato». Il lavoro di Maurizio, invece, era stabile, ma a 55 anni dopo 34 di orchestra con «un programma diverso ogni settimana, 3 concerti a settimana, registrazioni e tournée continue» il suo fisico ha iniziato a cedere. «Come i musicisti, i calciatori iniziano ad allenarsi da bambini, ma loro a 36-37 anni sono considerati già vecchi. Le nostre carriere, invece, arrivano fino a settanta, ottant’anni». Non è un caso che la distonia compaia dopo almeno 10.000 ore di esercizio allo strumento per più di 10 anni e si manifesti verso la metà dei 30 anni. Quando un musicista è nel mezzo della propria carriera e pretende da se stesso sempre la massima efficienza.
A tutto ciò, però, la comparsa della distonia pone un freno e può determinarne anche la fine della professione, come può succedere alla metà dei casi che non trovano una cura. La gravità della situazione è molto soggettiva e dipende anche dal tipo di strumento. In questi tre anni di distonia, Giovanni, si è potuto esibire in concerti al pianoforte per la sola sinistra e grazie alla terapia ha quasi del tutto riacquisito le capacità della mano destra. Invece, Maurizio non è ancora riuscito a recuperare il controllo dei muscoli della bocca e delle labbra: «In questi anni di malattia e terapia, ho trovato il tempo di affrontare e risolvere molte questioni personali e famigliari. È solo il rapporto con il trombone a essere rimasto indietro, nonostante tutti gli sforzi». Tuttavia, a differenza di altri paesi come la Germania, in Italia la distonia non è ancora stata riconosciuta come malattia professionale e quindi non viene garantito un sussidio per impossibilità totale o parziale al lavoro. Maurizio è stato il primo a mandare richiesta all’INAIL: «A ottobre 2021 ho mandato la prima domanda, ma non è stata presa in considerazione, la seconda ad aprile 2022 con il supporto del dottore Enzo Stazi e dell’ARD. In pochissimo tempo sono stato visitato da un medico generale e da un neurologo dell’INAIL, portando tutte le certificazioni della malattia accumulate negli anni, ma oggi sto ancora aspettando una risposta da parte della direzione generale». Il procedimento non può essere associato ad alcun caso precedente. Forse per questo non è stato concluso entro il limite di legge di 90 giorni. «Il problema è che il 7 gennaio finirò il mio periodo di malattia con l’orchestra e l’8 sarò licenziato per contratto. Nonostante l’ente sia sempre stato disponibile e rispettoso nei miei confronti, le regole sono uguali per tutti».
Maurizio si è dedicato completamente alla causa e ha intrapreso questo percorso pensando anche ai musicisti di domani. Affinché esistano delle tutele per chi soffre di distonia, ma anche e soprattutto perché se ne parli. I musicisti dovrebbero conoscere i rischi del mestiere e saper individuare subito i campanelli di allarme, prima che il problema diventi irreversibile. Secondo Giovanni si dovrebbe puntare sulla prevenzione: «Bisogna dare stimoli ai propri allievi, ma senza esagerare e forzare troppo, come è successo a me». Instaurando un clima sereno dalla prima lezione di strumento si eviterebbe di generare le ansie e le pressioni sociali che possono predisporre alla malattia. Per questo è fondamentale il coinvolgimento degli insegnati, ma «tra loro di solito manca l’esperienza diretta e quindi la capacità di riconoscere i sintomi. Oltretutto, in Italia non esiste un percorso strutturato che possa accogliere questo tipo di malattie e indirizzare i musicisti verso le cure adeguate», spiega Maurizio sottolineando l’importanza di promuovere i pochi centri clinici e di assistenza già esistenti per i musicisti, e incentivarne di nuovi. Normalizzare i rischi del mestiere significa lasciare emergere il mondo sommerso della distonia e riconoscere quanto il benessere psico-fisico sia fondamentale per qualunque attività. Non ultima l’arte.