fbpx Svuotare gli arsenali, costruire la pace | Scienza in rete

Svuotare gli arsenali, costruire la pace

Primary tabs

Bomba nucleare B61 - Credit: photo by Kelly Michals - Flick. Licenza: CC BY-SA 2.0.

 

Tempo di lettura: 7 mins

Il 20 e 21 aprile 2018 si è tenuta a Ischia la terza edizione del convegno “Svuotare gli arsenali, costruire la pace”. Il convegno, che aveva come scopo principale quello di sensibilizzare l’opinione pubblica, soprattutto giovanile, sui temi del disarmo e della costruzione della pace, si è articolato in tre diverse tavole rotonde, ciascuna delle quali ha trattato un tema specifico: il Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari (TPMW); le Armi Nucleari Tattiche in Europa; le Armi cibernetiche, armi autonome e infrastrutture critiche. Hanno contribuito alla discussione: Marilù Chiofalo, Paolo Cotta Ramusino, Nicola Cufaro Petroni, Rino Falcone, Pietro Greco, Diego Latella, Francesco Lenci, Francesco Mancuso, Alessandro Pascolini, Gianni Siroli, Guglielmo Tamburrini, Carlo Trezza.

Ciascuna tavola rotonda è giunta a una deliberazione.

Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari (TPMW)

Sono stati messi in evidenza i punti deboli del Trattato ONU del 7 luglio 2017 sulla proibizione delle Armi Nucleari (TPNW) e motivati i timori che questo Trattato possa addirittura indebolire anziché rafforzare il regime di non proliferazione orizzontale delle armi nucleari, mettendo così in pericolo il Trattato di Non Proliferazione (TNP). Ad oggi (4 maggio 2018), i Paesi che hanno firmato il Trattato sono 58 e quelli che lo hanno ratificato sono 8, e non si può non riconoscere che rispetto ai 122 voti a favore del Trattato questi numeri siano piccoli, molto piccoli. Il fatto poi che sia stata cancellata l’High Level Conference on Disarmament prevista per metà maggio all’ONU rende ancora più critica la situazione.

Nato da un diffuso senso di frustrazione pluriennale per il non rispetto dell’Art. VI del TNP (vale la pena ricordare che questo è in vigore dal 1970), che sancisce che ogni potenza nucleare “si impegna a concludere in buona fede trattative su misure efficaci per una prossima cessazione della corsa agli armamenti nucleari e per il disarmo nucleare, come pure per un trattato sul disarmo generale e completo sotto stretto ed efficace controllo internazionale”, il TPNW ha comunque un valore morale che potrebbe favorire passi significativi verso l’eliminazione di tutte le armi nucleari.

I partecipanti alla terza edizione del convegno “Svuotare gli arsenali, costruire la pace” si impegnano dunque a sollecitare il Parlamento e il Governo italiano affinché avviino una discussione pubblica sul TPNW e, in parallelo, intensifichino l’impegno per l’attuazione completa della lettera e dello spirito del TNP.

Armi Nucleari Tattiche in Europa

Come risulta dai dati riportati dalla Federation of American Scientists il numero di armi nucleari americane sul territorio europeo è minimo, in totale si tratta di circa 180 armi nucleari (bombe B61 lanciate da aereo) di cui circa 70 installate in Italia (circa 50 ad Aviano (PN) e circa 20 a Ghedi (BS). Sono bombe sottoposte al cosiddetto nuclear sharing (quelle a chiave singola sono bombe americane che saranno lanciate in caso di conflitto da aerei americani, quelle a chiave doppia sono bombe americane che, in caso di conflitto saranno lanciate da aerei del paese ospitante). Le bombe di Aviano sono a chiave singola, mentre le bombe di Ghedi sono a chiave doppia. Il meccanismo del nuclear stationing, definito prima dell'entrata in vigore del TNP (Trattato di Non-Proliferazione), è spesso ritenuto compatibile con il TNP. Ma i dubbi in proposito sono numerosi. Se il nuclear stationing è compatibile con il TNP, nulla vieterebbe ad altri paesi (membri o no del TNP) di installare armi nucleari sul territorio di paesi membri del TNP. La caratteristica di queste testate rende evidente il fatto che, da qualunque punto di vista militare, queste testate non sono uno strumento rilevante per la difesa dell’Europa e, in caso di conflitto, sarebbero più facilmente un obiettivo.

Il ritiro completo delle armi nucleari americane collocate sul territorio europeo sarebbe un elemento importante per: a) contribuire al disarmo nucleare, b) migliorare i rapporti con la Russia, c) ridurre il rischio che l'esempio del nuclear sharing venga seguito da altri paesi in zone più problematiche del mondo, d) ridurre l'enfasi sulle armi nucleari, e) definire meglio le attività che sono compatibili con il TNP. Questo senza ridurre la solidità e la coesione della NATO.

La Federazione Russa, che secondo stime attendibili (Kristensen/Norris sul Bulletin of Atomic Scientists, 2017) disporrebbe complessivamente di circa 2.000 testate nucleari non strategiche, dovrebbe fare la sua parte riducendo, o almeno allontanando le proprie armi nucleari tattiche dall’Europa. Sfortunatamente l’attuale crescente tensione in Europa non favorisce un negoziato e sia Stati Uniti che Russia (si veda la Nuclear Posture Review dell’Amministrazione Trump del 2 febbraio e il discorso del Presidente Putin dell’1 marzo) hanno programmi di ammodernamento dei propri arsenali che gettano un’ombra su queste speranze.

Anche in questo caso i partecipanti alla terza edizione del convegno “Svuotare gli arsenali, costruire la pace” si impegnano a sollecitare il Parlamento e il Governo italiano ad avviare una discussione pubblica e a impegnarsi in concreto per favorire una ripresa del dialogo costruttivo in Europa, che porti anche al ritiro di tutte le Armi Nucleari Tattiche, in particolare quelle installate in Italia e nel resto d’Europa.

Armi cibernetiche, armi autonome e infrastrutture critiche

È stato presentato un caso concreto di arma cibernetica, nota come Stuxnet, utilizzata di recente per un attacco a un impianto di arricchimento dell’uranio tramite centrifughe a Natanz, in Iran. Sono stati evidenziati aspetti peculiari delle armi cibernetiche vere e proprie, e cioè: la loro altissima specializzazione, che richiede un’intensa attività preliminare di intelligence - Stuxnet è stata un’arma diretta a specifici prodotti di una specifica ditta costruttrice; il loro alto grado di sofisticazione - Stuxnet si è interposta fra il sottosistema di controllo e monitoraggio dell’impianto attaccato e il sistema di gestione delle centrifughe, così che le centrifughe si comportavano in modo anomalo, deteriorandosi e rompendosi, mentre agli operatori nella sala di controllo veniva data l’impressione che il sistema funzionasse alla perfezione, rispondendo positivamente alle loro direttive; la loro capacità di diffusione/attacco - l’arma è stata introdotta in un sistema isolato (“air-gapped”) dalle normali reti, come ad esempio Internet.

Attacchi di questo tipo sono pertanto possibili solo se si hanno a disposizione ingenti risorse finanziarie, di conoscenza e competenza e di intelligence e quindi sono prerogativa di stati sovrani avanzati. Deve essere, ed è stato sottolineato, che ad attacchi cibernetici sono vulnerabili, a vari livelli, quelle comunemente note come infrastrutture critiche. Esse comprendono non solo infrastrutture civili, ormai quasi totalmente digitalizzate e, per lo meno negli aspetti di controllo e monitoraggio, connesse a Internet (che vanno dagli impianti di produzione dell’energia, inclusi quelli per l’energia nucleare, alle reti di distribuzione dell’energia - energia elettrica, gas - a quelle dei trasporti, degli ospedali e delle telecomunicazioni, e, più recentemente, all’Internet of Things) ma anche le reti militari, in primis quelle di Command, Control, Communication and Intelligence e anche infrastrutture per gli armamenti nucleari.

Sebbene con vari livelli di gravità, tutte queste infrastrutture sono vulnerabili ad attacchi cibernetici, anche con armi molto meno sofisticate di Stuxnet. Un altro aspetto della costante digitalizzazione militare è rappresentato dall’uso delle tecnologie di intelligenza artificiale (IA) nelle armi “convenzionali”. Molti prodotti tipici dell’IA, come ad esempio i robot, possono essere equipaggiati con sistemi esplosivi o, viceversa, sistemi di attacco convenzionali, come i veicoli privi di pilota (droni) possono essere dotati di capacità di riconoscimento di immagini, orientamento e pianificazione tipici dei sistemi di IA, fino a sistemi che possano prendere decisioni, incluse quelle di attaccare o di uccidere, in modo completamente autonomo, senza alcun intervento umano. Durante la tavola rotonda, sono stati illustrati alcuni esempi di sistemi di IA, inclusi robot, droni e sciami, sono stati discussi vari problemi di natura legale ed etica che il potenziale uso di questi sistemi pongono e sono state presentate iniziative anche a livello ONU per la proibizione delle armi letali autonome.

I partecipanti alla terza edizione del convegno “Svuotare gli arsenali, costruire la pace” si impegnano dunque a sollecitare il Parlamento e il Governo italiano affinché avviino una discussione pubblica sulle Armi cibernetiche, armi autonome e infrastrutture critiche e, in parallelo, si impegnino a lavorare per il controllo delle armi cibernetiche, con la messa al bando in particolare delle armi autonome.

I partecipanti alla terza edizione del convegno “Svuotare gli arsenali, costruire la pace” si impegnano inoltre ad avviare in prima persona un momento di riflessione sull’etica in informatica e Intelligenza Artificiale, con particolare riferimento all’informatica e all’Intelligenza Artificiale applicate agli armamenti.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Il soffocamento delle università e l’impoverimento del Paese continuano

laboratorio tagliato in due

Le riduzioni nel Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) limitano gli investimenti essenziali per università e ricerca di base: è una situazione che rischia di spingere i giovani ricercatori a cercare opportunità all'estero, penalizzando ulteriormente il sistema accademico e la competitività scientifica del paese.

In queste settimane, sul tema del finanziamento delle università e della ricerca, assistiamo a un rimpallo di numeri nei comunicati della CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) e del MUR (Ministero della Università e della Ricerca). Vorremmo provare a fare chiarezza sui numeri e aggiungere alcune considerazioni sugli effetti che la riduzione potrà avere sui nostri atenei ma anche sul paese in generale.