Un pensatore non accademico americano, Peter Sandman, ha escogitato una formuletta che spiega bene i danni della cattiva comunicazione del rischio: R = H + O, dove R è il rischio percepito, H il rischio misurabile (hazard) e O è l'outrage, cioè il senso di offesa, oltraggio, ingiustizia patita che il pubblico prova ogniqualvolta non viene informato adeguatamente di un rischio.
La formula gli serve per rendere consapevoli le autorità pubbliche dell'importanza di una buona comunicazione sui rischi di varia specie e natura con i quali quotidianamente ci troviamo a vivere – dalla pandemia al terremoto, dall'inquinamento all'alea dei voli aerei e dei ben più pericolosi viaggi in auto.
Viviamo nella “società del rischio”, secondo l'ormai celebre libro del sociologo Ulrich Beck. Nel senso che la nostra società – sicuramente meno “pericolosa” di quella di un secolo fa – è ossessionata dai rischi, li ha matematizzati con il calcolo delle probabilità, si è inventata il risk assessment e il risk management. Ma tutta questa impalcatura concettuale non è servita a correggere i bias che ci fanno spesso percepire come grandi minacce inezie e come inezie grandi minacce.
Per tornare alla formula di Sandman, l'esperienza insegna che l'outrage va alle stelle – e con esse il rischio percepito – quando non si danno le informazioni. Ancora peggio se si negano informazioni che un tempo si davano, magari per paura di “allarmare” la popolazione. Il primo giorno di qualsiasi corso di comunicazione insegnano che nulla è peggio di dare l'idea di nascondere informazioni importanti; scatta immediatamente la sindrome “censura”, e l'allarme, anziché ridursi, esplode.
Stupisce quindi che il direttore dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia Enzo Boschi abbia minacciato di bloccare i dati sulle scosse sismiche che quasi ogni giorno si verificano in Italia, e che da tempo vengono pubblicati sul sito dell'INGV. Subito le reazioni sono state di sospetto e allarme. Proprio quello che Boschi voleva evitare “coprendo” le informazioni. Reazioni tali che hanno indotto l'Istituto a ricredersi e a mantenere l'utile servizio. D'altra parte lo stesso istituto svolge meritoriamente un programma di educazione al rischio sismico nelle scuole, e in questi giorni ha prodotto un efficace docufilm che si spera verrà visto da molti.
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Probabilmente non è piaciuto anche che alcuni, a partire da quelle serie sismiche pubblicate sul sito, abbiano contestato la gestione del terremoto dell'Aquila del 6 aprile 2009 da parte della Commissione grandi rischi, e che la Procura della Repubblica dell'Aquila abbia addirittura inquisito la commissione per presunto “mancato allarme”.
Scienza in Rete ha già commentato negativamente la tendenza a portare le dispute scientifiche in tribunale (vedi articolo1 e articolo 2), per non parlare del solito malcostume giornalistico di inseguire falsi scoop come le "previsioni" di Giuliani. E' invece interessante chiedersi, come ha fatto Giuseppe Grandori con un altro articolo su questo sito, se – viste le scosse interpretabili come “premonitrici” dei mesi precedenti, una probabilità di “falso allarme” del 98% e di “vero allarme” del 2% – non fosse il caso di prendere alcune preliminari misure preventive e dare alcune pacate comunicazioni alla popolazione, mettendola in grado di prendere eventuali decisioni, come dormire fuori casa. Tanto, come ricorda Grandori nel suo saggio pubblicato su Ingegneria sismisca (Anno XXVI - 3 - Luglio-settembre 2009),
«i disagi provocati dalla sequenza sismica non sarebbero praticamente aumentati in seguito a una pacata spiegazione dell'effettivo aumento temporaneo del rischio di un forte terremoto. L'apprestamento ordinato delle misure di prevenzione (come la selezione dei luoghi di raccolta, l'organizzazione dell'evacuazione degli ospedali e del trasporto delle persone disabili, il raduno di mezzi di soccorso provenienti da zone non esposte, eventuali consigli di abbandonare le case danneggiate) rende la popolazione più consapevole e fiduciosa. Se poi, come è molto probabile, il terremoto non viene, il comportamento del Decisore verrà giudicato prudente ma non ingiustificato da chi era già in ansia anche senza l'intervento degli esperti. Per contro, se l'opzione è allerta-no e il terremoto pur essendo poco probabile si verifica, il costo in termini di vite umane è incommensurabile con il costo sociale del falso allerta.»
Ciò che è davvero inspiegabile – conclude Grandori – è la tendenza della Protezione civile in quei tragici giorni non solo a non allertare la popolazione, ma a “scoraggiare le iniziative di prevenzione che molti cittadini suggerivano o autonomamente assumevano”. E' successo davvero questo? Sarebbe interessante accertarlo.
In ogni caso, la rinuncia a esercitare la capacità di modulare appropriatamente la comunicazione sulla reale entità del rischio facendo invece valere un rigido schema binario (comunicare sì/comunicare no) per paura di allarmare è stato un grave errore, figlio di una sottovalutazione paternalista delle capacità di risposta e decisione razionali da parte del pubblico in situazioni di incertezza, e di una arretratezza nella comunicazione del rischio.
Il sito di Peter Sandman: http://www.psandman.com/