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Transizione ecologica: per l’UNFCCC meglio ma non troppo, serve agire tutti insieme

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Secondo un aggiornamento dell'UNFCCC, gli obiettivi NDCs dei paesi aderenti all'Accordo di Parigi migliorano ma non sono ancora sufficienti. In particolare, considerando i soli 113 paesi su 191 aderenti all’Accordo di Parigi che hanno aggiornato i loro obiettivi nazionali, entro il 2030 le emissioni di gas serra dovrebbero diminuire del 12% rispetto al 2010. Tuttavia, tutti gli NDCs – anche quelli non aggiornati – danno complessivamente ancora un aumento delle emissioni del 16% nel 2030 rispetto al 2010.

Tempo di lettura: 6 mins

Si sono conclusi da poco gli eventi preparatori della COP26, la Youth4Climate e la pre-COP26, con dei risultati importanti. Tra tutti, la richiesta dei 400 giovani partecipanti dalla quasi totalità dei paesi del mondo: chiudere tutta l’industria basata sui combustibili fossili entro il 2030. Ma a che punto sono i vari paesi che parteciperanno alla COP26 a Glasgow nelle prime due settimane di novembre? A rispondere è il recente aggiornamento pubblicato il 17 settembre dalla Convenzione quadro sul clima, la UNFCCC. In poche parole: ci sono miglioramenti importanti che però ancora non bastano.

In particolare, considerando i soli 113 paesi su 191 aderenti all’Accordo di Parigi che hanno aggiornato i loro obiettivi nazionali (gli NDCs, Nationally Determined Contributions), entro il 2030 le emissioni di gas serra dovrebbero diminuire del 12% rispetto al 2010. Se si tiene conto anche che settanta paesi hanno dichiarato che raggiungeranno la neutralità climatica entro metà secolo, si arriverebbe a circa il 26% di riduzione delle emissioni. E questi risultati sono incoraggianti, se si pensa che a livello globale dovremmo diminuire le emissioni secondo l’IPCC del 25% per restare sotto la soglia dei 2°C – e del 45% per 1,5°C.

Di seguito il grafico in cui è evidente il miglioramento, tanto quanto la sua persistente inadeguatezza, purtroppo.

unfccc

Fonte: UNFCCC.

Chi ha aggiornato i propri obiettivi nazionali?

Il rapporto è stato espressamente richiesto dai 191 paesi che sono nell'Accordo di Parigi per essere assistiti nella transizione, soprattutto in vista della COP26.

Al 30 luglio 2021, hanno aggiornato i propri NDCs i seguenti paesi:

Andorra, Angola, Argentina, Armenia, Australia, Bangladesh, Barbados, Bhutan, Bosnia e Erzegovina, Brasile, Brunei Darussalam, Capo Verde, Cambogia, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Repubblica Democratica Popolare di Corea, Repubblica Dominicana, Ecuador, Etiopia, Unione Europea (e i suoi 27 Stati membri), Fiji, Georgia, Grenada, Guinea, Honduras, Islanda, Indonesia, Israele, Giamaica, Giappone, Kenya, Repubblica Democratica Popolare del Laos, Libano, Malawi, Malaysia, Maldive, Isole Marshall, Messico, Monaco, Mongolia, Montenegro, Marocco, Namibia, Nepal, Nuova Zelanda, Nicaragua, Nigeria, Macedonia del Nord, Norvegia, Oman, Panama, Papua Nuova Guinea, Paraguay, Perù, Filippine, Repubblica di Corea, Repubblica di Moldavia, Federazione Russa, Ruanda, Santa Lucia, Samoa, Sao Tome e Principe, Senegal, Seychelles, Sierra Leone, Singapore, Isole Salomone, Somalia, Sri Lanka, Sudan, Suriname, Svizzera, Thailandia, Tonga, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, Ucraina, Repubblica Unita di Tanzania, Stati Uniti d'America, Uruguay, Vanuatu, Vietnam e Zambia.

Insieme coprono circa il 59% degli aderenti all'Accordo di Parigi e rappresentano circa il 49% delle emissioni globali di gas serra.

Qui è possibile accedere ai singoli NDCs presenti nel registro ufficiale della Convenzione.

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Fonte: UNFCCC. Rappresentazione grafica di chi ha aggiornato i propri NDCs.

Bene la qualità dell’informazione, l’integrazione di genere e le azioni di mitigazione e adattamento

L’UNFCCC scrive che i «NDC nuovi o aggiornati mostrano un netto miglioramento nella qualità delle informazioni presentate, sia per la mitigazione che per l'adattamento, e tendono a essere allineati con i più ampi obiettivi di sviluppo a lungo termine e a basse emissioni, con il raggiungimento della neutralità carbonica» e con i vari quadri normativi internazionali più o meno vincolanti, come i noti obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Contestualmente, il rapporto rileva anche un maggiore coinvolgimento degli attori “non statali” e di altri stakeholder nella stesura e applicazione degli obiettivi climatici nazionali.

Allo stesso modo è rimarcata la sempre maggiore integrazione di genere «come un mezzo per migliorare l'ambizione e l'efficacia dell’azione per il clima», riconosciuta da parte degli stati, come pure, in alcuni casi, la maggiore attenzione verso le comunità locali e le popolazioni indigene. Quest’ultima, per altro, tra le richieste fortemente volute dai giovani partecipanti alla Youth4Climate che abbiamo menzionato all’inizio.

Degna di nota è la maggiore attenzione alla pianificazione di azioni di mitigazione e di adattamento climatici. Tra le politiche di adattamento, alla luce anche di nuove formulazioni dei Piani di adattamento nazionali (i PAN), troviamo infatti: «afforestazione e riforestazione, agricoltura intelligente per il clima, riduzione dei rifiuti alimentari, agricoltura verticale, adattamento degli ecosistemi costieri, piani di conservazione delle aree protette, soluzioni basate sulla natura, aumento della quota di fonti rinnovabili nella produzione di energia, miglioramento dell'efficienza energetica, cattura e stoccaggio dell'anidride carbonica, cambio di carburante e riforme del prezzo del carburante nel settore dei trasporti, e passaggio all'economia circolare per una migliore gestione dei rifiuti».

Allo stesso modo, quasi tutti i paesi si sono dati obiettivi di mitigazione del cambiamento climatico, dall’energia ai trasporti, dagli edifici all’industria, dall’agricoltura all’uso del suolo e ai rifiuti. Tra i paesi che si sono dati obiettivi quantitativi, per esempio per quanto riguarda la quota di energia rinnovabile al 2030, in molti casi si rientra o addirittura si supera «l'intervallo IPCC del 47-65% coerente con percorsi di 1,5 °C», dice il rapporto. Tra queste azioni l’UNFCCC segnala l’eliminazione del carbone entro il 2025, il divieto di nuove immatricolazioni di auto a benzina o diesel entro il 2030, la richiesta che edifici costruiti dal 2020 consumino “quasi zero energia”, oppure anche l’aumento della copertura forestale al 60% del territorio nazionale (senza intaccare le aree agricole).

Bene ma non benissimo

Il problema principale è che tutte queste buone pratiche non sono ancora sufficienti, soprattutto perché non sono state adottate da tutti i paesi. Infatti, tutti gli NDCs – anche quelli non aggiornati (e che quindi sono in ritardo, secondo quanto previsto dall’Accordo di Parigi) – danno ancora un aumento delle emissioni del 16% nel 2030 rispetto al 2010. Dice l’UNFCCC: «Secondo gli ultimi risultati dell'IPCC, un tale aumento, a meno che non vengano prese azioni immediate, potrebbe portare ad un aumento della temperatura di circa 2,7 C entro la fine del secolo». Ben al di sopra di 1,5°C così come di 2°C. Anche se, c’è da dire, l’ultimo Emission Gap Report dell’UNEP stimava un aumento di 3,2°C, senza considerare le possibili future politiche climatiche degli Stati Uniti di Biden-Harris, che avrebbero appunto agevolato la transizione.

Di seguito è possibile osservare come l’aumento delle emissioni nel 2030 rispetto ai vari anni di riferimento sia, secondo le stime, minore rispetto ai vecchi obiettivi del 2016.

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Fonte: UNFCCC.

Dare atto dei seppur insufficienti miglioramenti è importante, perché dimostra che la possibilità di fare la transizione ecologica c’è concretamente e dipende dalla volontà di farla. Anche a dimostrazione dell’utilità dei vari consessi internazionali che si tengono durante l’anno, come l’essenziale G20 (i paesi che sono in assoluto i maggiori responsabili delle emissioni di gas serra).

Quanto ci resta?

Come anche segnalato dai ragazzi che hanno partecipato agli eventi preparatori a Milano, è importante rispettare e confermare l’impegno di mobilitare 100 miliardi di dollari all'anno (entro il 2020, secondo gli accordi iniziali) verso i paesi poveri e in via di sviluppo. Interessante da questo punto di vista la dichiarazione di Mario Draghi alla pre-COP26 davanti ai giovani: «not loans, grants», non prestiti, ma sovvenzioni. Si conferma in questo senso la presa d’atto di un inevitabile “ritorno dello Stato” (come ha anche titolato il Festival dell’economia di Trento di quest’anno) e, in particolare, della necessità di fare debito pubblico per finanziare massicci investimenti per evitare di pagare ben di più – e senza possibilità di negoziare – i danni futuri della crisi climatica in corso.

Secondo il rapporto UNFCCC, inoltre, gli attuali obiettivi climatici nazionali farebbero utilizzare l’89% del bilancio di carbonio rimanente nel decennio 2020-2030, nello scenario a 1,5°C, ovvero circa 55 giga tonnellate di biossido di carbonio equivalente. Nello scenario a 2°C, la percentuale di emissioni sarebbe del 39%.

Insomma, il concetto dovrebbe essere chiaro: la capacità di elaborare obiettivi climatici strutturati è dimostrata dagli NDCs nazionali aggiornati, serve però agire tutti e in modo coordinato, come hanno sottolineato la Presidente della COP25 Carolina Schmidt, la Segretaria esecutiva dell’UNFCCC Patricia Espinosa e la Presidente entrante della COP26 Alok Sharma. Anche perché, come stiamo osservando con la pandemia, è piuttosto difficile riuscire a vincere le pressioni delle multinazionali (come le grandi case produttrici di petrolio, carbone e gas) se si agisce con una logica nazionalista e competitiva invece che globale e cooperativa.

 

Per approfondire, qui la sessione conclusiva della Youth4Climate:

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