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Tre domande su Diversità umana e Costituzione italiana

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La Costituzione italiana all’articolo 3 recita: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali"
Motivi di ordine scientifico1, sociale e culturale  rendono necessario valutare se, a 67 anni di distanza dalla sua prima scrittura,  sia ancora fondato mantenere il termine ”razza” nel dettato costituzionale.
A tal fine, la questione complessiva va decostruita attraverso tre distinti punti di domanda.

 1.     Il concetto di razza descrive adeguatamente la distribuzione della diversità umana?

Grazie al rilevante progresso degli studi scientifici è stato chiarito che la gran parte di delle differenze genetiche interindividuali si osservano già all’interno delle singole popolazioni, mentre solo una parte esigua della diversità è riscontrabile tra gruppi umani come definiti dai cataloghi razziali.
Sappiamo, inoltre, che quei tratti fisici che favoriscono la percezione in termini razziali della diversità tra gruppi di differente origine geografica, come il colore della pelle, sono il risultato di processi adattativi a livello di specifici geni rispetto a fattori ambientali: le loro differenze non hanno, invece, nessuna relazione con capacità cognitive, comportamenti sociali o qualità morali.
Quest’ultima considerazione assume una particolare importanza alla luce del fatto che il termine razza viene tuttora usato anche per stigmatizzare differenze culturali, un comportamento che ha importanti implicazioni sociali data la crescente connotazione pluriculturale delle società europee. Pertanto, la parola razza non solo veicola un’idea di strutturazione della diversità genetica umana che non ha base scientifica, ma introduce anche elementi infondati e fuorvianti per la visione comune della diversità culturale.

2.     Quali sono i pro e i contro di un’iniziativa per modificare la Costituzione?

Il primo elemento da considerare riguarda le particolari difficoltà che comporterebbe un’eventuale modificazione della Costituzione, a maggior ragione nei suoi principi fondamentali. Riteniamo, tuttavia, che le motivazioni di ordine scientifico, sociale e culturale debbano prevalere anche rispetto a (giustificate) perplessità riguardanti la fattibilità.
Dobbiamo essere consapevoli del fatto che rimuovere ogni riferimento ad una visione della diversità razziale dal documento che ispira il nostro vivere civile è importante non solo per la sua valenza simbolica ma anche, e soprattutto, per le finalità che tale atto aiuta a perseguire:
(i) togliere forza all’uso di un termine che inevitabilmente evoca pregiudizi e falsi concetti alla base di alcune delle maggiori tragedie dell’umanità;
(ii) dare maggiore sostegno e coerenza ad azioni culturali e formative che ci facciano comprendere i motivi e la reale dimensione della nostra diversità. La rapida evoluzione del quadro demografico e sociale in atto nei nostri paesi rende prioritari entrambi gli obiettivi.

Non bisogna, inoltre, disconoscere il rischio che un’iniziativa per modificare la Costituzione nella parte che concerne l’uso del termine razza possa sembrare limitarsi ad una questione squisitamente terminologica. Inoltre, non è meno potenzialmente negativo il fatto che questa proposta, come  tutte quelle avanzate da un gruppo ristretto di persone con la finalità di incidere su importanti principi condivisi, possa essere vista come prodotto di un atteggiamento elitario ed autoreferenziale. Per dare maggiore forza all’iniziativa, si rende quindi necessario attuare contemporaneamente un’azione sui contenuti in un’ottica davvero inclusiva. Coerentemente, gli aderenti alla presente dichiarazione si impegnano a lavorare con rinnovato impegno per fornire ad una platea sempre più ampia gli strumenti e  le informazioni necessarie per interpretare senza preconcetti la diversità umana.

 3.     Il termine “razza” andrebbe semplicemente abolito o sostituito?

La presenza del termine razza nel dettato costituzionale può essere vista da due angolazioni diverse. Da una parte, essa riafferma de facto la validità dello stesso concetto di razza. Dall’altra, permette di stabilire il principio che la diversità tra gruppi umani non può essere motivo di discriminazione. Per evitare di buttare via il bambino insieme all’acqua sporca, è necessario introdurre termini alternativi che possano esprimere il concetto di diversità rispettandone le diverse declinazioni (biologica e culturale in primis) e che non sembrino evocare in alcun modo gerarchie valoriali.  Per aumentarne l’efficacia, la modificazione deve essere accompagnata da una dichiarazione esplicita dell’insussistenza del concetto stesso di razza e del rifiuto dei comportamenti che ne possono derivare.

In definitiva, la proposta può essere formulata in questi termini:
"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di aspetto fisico e tradizioni culturali, di sesso, di colore della pelle, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. La Repubblica non riconosce l’esistenza di presunte razze e combatte ogni forma di razzismo e xenofobia".

Gli aderenti a questa dichiarazione  esprimono il loro sostegno a iniziative1 che portino queste istanze nelle sedi opportune.

Documento approvato all’unanimità dal Direttivo dell’Istituto Italiano di Antropologia in data 23 Ottobre 2014.
Per adesioni, sia personali che istituzionali, e commenti: [email protected].
Hanno già aderito 

Note
Vedi l’appello di Gianfranco Biondi e Olga Rickards, Scienza in rete, 14 ottobre 2014.

 

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