Qualche giorno fa, il gruppo dell'Osservatorio di Ginevra ha annunciato la scoperta di 30 nuovi pianeti extrasolari. Questo porta il numero totale oltre quota 400. Ma qual è l'importanza di queste osservazioni?
La scoperta di pianeti al di fuori del sistema solare, avvenuta negli anni Novanta, ha rappresentato un fatto epocale. Ad un livello concettuale, dimostrando che esistono molti altri sistemi simili al nostro, essa ha rappresentato un completamento della rivoluzione Copernicana; occorre dire che, da questo punto di vista, il vero completamento di questa rivoluzione sarebbe la scoperta di altre forme di vita fuori della Terra, cosa al momento fuori della nostra capacità tecnologica, ma forse non per molto ancora. A livello scientifico, la scoperta di molti sistemi ha permesso di spostare la descrizione della formazione dei pianeti dal terreno delle pure ipotesi, a quello delle verifiche osservative, tipico della scienza. In questo ambito, l'evoluzione delle idee è stato estremamente rapido ed interessante.
Come spesso accade nella storia delle scoperte scientifiche, un significativo passo in avanti nella nostra comprensione della realtà ha svelato una varietà inaspettata e affascinante. A metà degli anni Novanta il paradigma dominante per la formazione dei sistemi planetari era essenzialmente basato sul sistema solare. In questo ambito, ci si aspettava che i pianeti si formassero per condensazione all'interno del disco di accrescimento protoplanetario, seguendo una evoluzione dell'idea originale di Kant e Laplace della nebulosa solare primigenia. In questo modello, la presenza abbondante di ghiacci al di fuori della cosidetta "snow-line" permette la formazione di pianeti di maggiori dimensioni solo a una certa distanza dalla stella centrale; nelle zone centrali, i nuclei dei pianeti possono essere formati solo a partire da materiale solido che evapora a temperature più elevate. Questi nuclei più piccoli non sono in grado di attrarre quantità significative di gas (idrogeno ed elio) e formare quindi pianeti giganti.
L'osservazione di un pianeta gigante in orbita attorno a 51 Pegasi con un periodo di soli 5 giorni da parte degli astronomi svizzeri Michel Mayor e Didier Queloz nel 1995, seguita da una pletora di nuove scoperte negli anni seguenti e di cui l'annuncio di questi 30 nuovi pianeti rappresenta la tappa più recente, ha rivoluzionato il nostro approccio al problema. Possiamo ora confrontare le previsioni dei modelli non più con un singolo sistema, ma con diverse centinaia. Le scoperte si susseguono a ritmo incalzante e molte tecniche si sono rivelate utili (vedi scheda); il lettore interessato potrà trovare i dati aggiornati sul sito http://exoplanet.eu/, curato da Jean Schneider dell'Observatoire de Paris e che è disponibile anche in italiano.
Questa grande mole di nuovi dati ha completamente rivoluzionato le idee su come si forma un sistema planetario. L'osservazione più sorprendente è certamente stata la presenza di pianeti giganti anche a piccole distanze dalla stella centrale. Benchè si pensi ancora che i pianeti si originano all'interno del disco protoplanetario, si è compreso che la posizione che questi occupano alla fine della fase di formazione può essere molto diversa da quella originale. Sono stati identificati diversi meccanismi di migrazione planetaria, in genere dovuti all'interazione presente tra il proto-pianeta e il disco. Si sono fatte simulazioni di come avvengono queste interazioni, e di quali sistemi ci si deve aspettare di osservare (vedi Figura 1). In realtà, non tutto è ancora spiegato in modo soddisfacente: a esempio, una volta introdotti nelle simulazioni, i meccanismi di migrazioni si rivelano anche troppo efficienti, e nella gran parte dei casi i pianeti dovrebbero terminare a piccolissime distanza dalla stella, o addirittura cadervi dentro. E' necessario assumere in modo un po' arbitrario che questo non accada. Inoltre, la formazione dei pianeti gassosi più esterni, come Urano e Nettuno, rimane poco chiara: i tempi richiesti sono incompatibili con il tempo di vita dei dischi protoplanetari, e non è chiaro come possano essere spiegati dai meccanismi di migrazioni ora noti.
Figura 1
Il pannello di sinistra mostra la distribuzione aspettata dalle simulazioni di pianeti nel piano semiasse maggiore (a, in Unità astronomiche) - massa (M, in masse terrestri), mentre quello di destra mostra i pianeti per cui ci si sarebbe attesa la rivelazione usando il metodo delle velocità radiali, confrontate con i risultati per un campione di stelle limitato in distanza per cui vi sono misure omogenee e complete, e attono a cui sono stati rivelati 32 pianeti. La figura è presa dal lavoro di Mordasini et al., pubblicati su Astronomy and Astrophysics, 501, 1161-1184, 2009.
Nei prossimi anni dobbiamo aspettarci altre grandi novità. E' ormai vicino il momento della rivelazione indiretta di pianeti delle dimensioni della Terra: il pianeta più piccolo finora scoperto è grande solo due volte la Terra! Il satellite KEPLER da alcuni mesi sta acquisendo dati fotometrici di altissima qualità, che potrebbero anche portare alla scoperta di tali pianeti in transito, dopo la scoperta un mese fa di una super-Terra che transita da parte del satellite COROT. Fra un paio di anni, immagini di pianeti di tipo Gioviano dovrebbero essere ottenute in modo sistematico da "Planet Finders" (SPHERE e GPI). Il satellite GAIA, il cui lancio è previsto nel 2012, dovrebbe scoprire centinaia, forse migliaia di nuovi pianeti. Questo senza parlare dei contributi attesi dal prossimo telescopio spaziale (il JWST) e dalle altre tecniche. Tutto ciò permetterà di avere un quadro abbastanza completo delle proprietà dei pianeti.
La caccia ai pianeti che ospitano la vita continuerà: un grande passo intermedio potrà essere ottenuto se verrà costruito l'E-ELT, il grande telescopio da 42 metri progettato dall'ESO e attualmente previsto per il 2018. Gli strumenti estremamente potenti (spettrografi, "Planet Finders") di cui questo telescopio sarà dotato permetteranno per la prima volta di avere dati completi (massa, spettri, raggi) per pianeti simili a quelli che possono ospitare la vita. Sarà allora il momento del grande salto, una missione spaziale, certo costosa, che potrà cercare i segnali della vita in alcuni di questi mondi. E questo sarà davvero il completamento della rivoluzione copernicana.
Le tecniche per scoprire i pianeti extra-solari
Le prime scoperte di pianeti extrasolari erano basate sulle variazioni nella velocità della stella lungo la linea di vista (velocità radiale) misurabili con l'effetto Doppler, e dovute al moto della stella attorno al baricentro del sistema stella-pianeta. Questo metodo è ancora di gran lunga il più produttivo, con 376 pianeti scoperti. Dalle velocità radiali si può ricavare il periodo e il prodotto della massa del pianeta per il seno dell'inclinazione del piano della sua orbita rispetto alla linea di vista (M sin i), ma non direttamente la massa del pianeta M.
Nel 1999, David Charbonneau e collaboratori ottennero le prime misure di transiti planetari. I transiti (ad oggi transiti sono stati osservati per 62 pianeti extrasolari) hanno un ruolo particolarmente importante, perché permettono di risolvere l'indeterminazione dovuta all'inclinazione dell'orbita e di determinare il raggio del pianeta. Inoltre, se si osserva anche la diminuzione di luce che avviene quando il pianeta si trova dietro alla stella (transito secondario), è possibile misurare anche la temperatura alla superficie del pianeta e la distribuzione della luce che questo emette; questo permette di fare un vero studio fisico dei pianeti. Per motivi pratici, questo si fa meglio nell'infrarosso: le prime osservazioni di transiti secondari sono del 2005, da parte di Charbonneau ecc.
Pianeti extrasolari sono stati scoperti anche con altre tecniche: dal moto astrometrico, alle microlenti gravitazionali, alle immagini dirette. Queste ultime sono particolarmente difficili, a causa del grande contrasto di luminosità fra la stella e il pianeta, e dalla piccolissima separazione angolare. Ad oggi, si sono ottenute immagini per 11 pianeti in 9 sistemi: esempi di queste immagini sono illustrati nella Figura 2.
Figura 2
Immagine dei tre pianeti (b, c, e d) scoperti da Marois et al. (Science, 322, 1348, 2008) attorno alla stella HR8799. Le osservazioni sonostate ottenute con i telescopi Gemini e Keck usando sia ottica adattiva che tecniche coronografiche.
Nomenclatura
COROT: satellite realizzato
dall'agenzia spaziale francese in collaborazione con ESA; monta un telescopio
da 27 cm, specializzato per l'osservazione di transiti planetari. E'
funzionante dal la fine del 2006 (smsc.cnes.fr/COROT/GP_satellite.htm)
E-ELT: European Extremely Large
Telescope, telescopio da 42 metri progettato dall'ESO; potrebbe diventare
operativo nel 2018 (www.eso.org/public/astronomy/projects/e-elt.html)
ESA: European Space Agency
(Agenzia spaziale europea) (www.esa.int)
ESO: European Southern
Observatory (organizzazione europea che opera grandi telescopi da Terra in
Cile) (www.eso.org )
GAIA: Missione astrometrica
dell'ESA, il cui lancio è previsto per il 2012 (www.esa.int/esaSC/120377_index_0_m.html)
GPI: Planet Finder in corso di realizzazione per il telescopio
americano Gemini. Il completamento è previsto per il 2011 (gpi.berkeley.edu)
JWST: James Webb Space
Telescope, telescopio spaziale NASA-ESA da 6 metri, il cui lancio è previsto
per il 2014 (www.jwst.nasa.gov/)
KEPLER: satellite realizzato
dalla NASA; monta un telescopio da 60 cm, specializzato per l'osservazione di
transiti planetari. Lanciato ad aprile 2009, fornirà i primi dati tra alcuni
anni (www.kepler.nasa.gov/ )
Planet Finders: strumenti
specializzati per immagini ad altissimo contrasto, necessarie per visualizzare
pianeti
Snow-line: letteralmente "linea
della neve". La superficie che delimita la regione dove l'acqua e altri
minerali volatili all'interno del disco protoplanetario possono condensare in
grani. Al di fuori della snow-line, la frazione solida all'interno dei dischi
protoplanetari aumenta notevolmente, permettendo la formazione di nuclei
proto-planetari di dimensioni tali da accrescere il gas del disco, e generare
quindi grandi pianeti gassosi.
SPHERE: Planet Finder per il VLT
dell'ESO in corso di realizzazione da parte di un consorzio europeo in cui
hanno un ruolo importante anche astronomi italiani. Il completamento è previsto
per il 2011 (www.eso.org/projects/aot/vltpf/)
Unità Astronomica: unità di
lunghezza, pari al semiasse maggiore dell'orbita della Terra attorno al Sole
(circa 149 milioni di chilometri).
VLT: Very Large Telescope
(complesso di 4 telescopio da 8 metri operati dall'ESO (www.eso.org/projects/vlt/)
Raffaele Gratton
Astronomia, Osservatorio Astronomico di Padova, INAF, Padova
Silvano Desidera
Astronomia, Osservatorio Astronomico di Padova, INAF, Padova