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Troppi ricercatori in Cina?

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Le università cinesi stanno avendo troppo successo. Dite loro di smetterla. Abbiamo bisogno più di operai, che di ricercatori col PhD. Gli operai mancano, mentre i dottori di ricerca non trovano lavoro. Il commento – quasi un appello – che Qiang Wang, direttore del Western Research Center for Energy and Eco-Environmental Policy presso lo Xinjiang Institute of Ecology and Geography dell’Accademia Cinese delle Scienze di Urumqi ha pubblicato nei giorni scorsi su Nature, con il titolo China needs workers more than academics, sembra un fulmine a ciel sereno. Un contraddizione nell’ambito di quella economia della conoscenza in cui la Cina è potenza emergente. La domanda di una politica che sembra speculare e opposta a quella di paesi vicini, come la Corea del Sud o il Giappone, dove i i laureati rappresentano ormai il 60% dell’intera popolazione di età compresa tra i 25 e i 34 anni.

È, il commento/appello di Qiang Wang, il segnale di ritirata dell’economia fondata sulla conoscenza? Hanno, dunque, ragione coloro che, anche in Italia (dove i giovani con un titolo di studio universitario sono sotto il 20%) sostengono che i laureati sono troppi?
Non è semplice rispondere. La Cina rappresenta un mondo a sé. Anche se è così voluminoso da influenzare non poco il resto del mondo. Per cui conviene tentare di leggere tra le righe di quel che succede da quelle parti.

L’economia del Dragone è quella che è cresciuta di più al mondo negli ultimi trent’anni. E ancora oggi, sebbene il ritmo sia rallentato, vanta il maggiore aumento del Pil del pianeta. L’industria manifatturiera è la locomotiva dell’economia cinese. Il mercato estero lo sbocco della produzione industriale. Ma, nel corso di questi trent’anni, la natura dei beni prodotti dalle industrie cinesi è largamente cambiato. Il low-tech prodotto da operai con bassa qualifica è sempre più sostituito dall’hi-tech, frutto del lavoro di persone sempre più qualificate. Tanto che oggi la Cina è il primo esportatore al mondo di beni ad alta tecnologia e, dopo gli Stati Uniti, il massimo produttore mondiale.

In questa rapidissima trasformazione, sostengono gli analisti francesi Guilhem Fabre e Stéphane Grumbach, proprioi lavoratori altamente qualificati, magari con una laurea in tasca, hanno avuto un ruolo decisivo.

Ma allora perché i giovani con un’alta qualifica (laurea o PhD) stentano a trovare lavoro? Un motivo, probabilmente, risiede nella considerazione che i cinesi hanno per i titoli di studio più alti. La conoscenza, per i cinesi, non è solo un valore in sé. Laurea e PhD sono considerati i più veloci e arditi ascensori sociali. Entrare in un’università come docente o in un centro di studi come ricercatore, il segno di un cambiamento di status (verrebbe da dire di cambiamento di classe in un paese in cui, teoricamente, le classi sociali non dovrebbero esistere).  

Inoltre il desiderio dei giovani è stato enormemente favorito dallo stato. Sia in termini quantitativi: le nuove iscrizioni all’università sono passate da un milione nel 2000 a 7 milioni nel 2012 e l’obiettivo del governo è quello di raggiungere, anche mediante generosi finanziamenti, standard di qualità paragonabili a quelli americani; gli investimenti in ricerca scientifica crescono da oltre vent’anni al fantastico ritmo del 20% annuo, così la Cina è già oggi il maggior investitore al mondo in ricerca e sviluppo dopo gli Stati Uniti; oggi la spesa rappresenta l’1,6% del Prodotto interno Lordo, ma il governo si è posto l’obiettivo di raggiungere almeno il 2,5% entro il 2020; i ricercatori sono passati da 0,4 milioni del 1990 agli 0,7 milioni del 2000 agli 1,5 milioni del 2012. Oggi la comunità scientifica cinese è la più grande al mondo. Anche la produzione scientifica ha avuto un boom. Secondo i dati della Thomson Reuters, gli articoli scientifici firmati ogni anno da scienziati cinesi sono passati da poche centinaia del 1981, ai 30.000 del 2001 a oltre 150.000 del 2011. Cresce anche la qualità e la stima internazionale. Lo stesso Qiang Wang riconosce che su Nature, rivista altamente selettiva, ancora nel 2000 gli articoli firmati da cinesi erano solo 12, nel 2012 sono stati 303.

Con questa formidabile accelerazione, è facile comprendere come il mercato cinese faccia, malgrado tutto, difficoltà ad assorbire tanti giovani laureati e tanti giovani che desiderano laurearsi per entrare nelle università. Mentre nella sola provincia del Guangdong mancano oggi un milione di lavoratori qualificati. 

Non è il numero di laureati, dunque, a essere sbilanciato. Ma sono le aspettative dei giovani con la laurea e il PhD e non essere in equilibrio con la domanda di mercato. Che è una domanda crescente di gente qualificata nell’industria.

I giovani cinesi devono rivedere le loro aspettative, non il loro livello di studi.

D’altra parte, anche il recente rapporto dell’OECD, Education at a glance 2013  parla chiaro. I giovani in tutto il mondo fanno fatica a trovare lavoro. La crisi morde un po’ dappertutto. Ma chi ha una laurea ha, ovunque, una chance in più.

Nel 2008 i giovani senza lavoro in tutti i paese OECD erano il 13,6% del totale. Mentre i giovani laureati senza lavoro erano appena il 4,6%.  Una differenza di nove punti. Nel 2011 la disoccupazione è aumentata: i giovani senza laurea e senza lavoro sono aumentati fino al 18,1% del totale (aumento di 4,5 punti). I giovani con la laurea ma senza lavoro sono passati al 6,8% del totale (aumento di 2,2 punti). La differenza tra non laureati e laureati è aumentata e ha superato gli 11 punti. Insomma, laurearsi conviene ancora. In Cina come nel resto del mondo.

 

Bibliografia

-       Qiang Wang, China needs workers more than academics, Nature, vol. 499, pag. 381, 23 luglio 2013, http://www.nature.com/news/china-needs-workers-more-than-academics-1.13428 

-       2013 Global R&D Funding Forecast, R&D Magazine, http://www.rdmag.com/digital-editions/2012/12/2013-r-d-magazine-global-funding-forecast

-       Jonathan Adams, David Pendlebury, Bob Stembridge, Building BRICKs, Thomson Reuters,  http://sciencewatch.com/sites/sw/files/sw-article/media/grr-brick.pdf

-    Guilhem Fabre & Stéphane Grumbach, The World upside down, China’s R&D and innovation strategy,   Fondation Maison des sciences de l’homme,  http://hal.inria.fr/docs/00/68/63/89/PDF/FMSH-WP-2012-07_Fabre-Grumbach.pdf


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