Un nuovo studio pubblicato su Nature e realizzato dalla Stanford University of Medicine ha scoperto un legame tra una proteina nota per il ruolo di “onco-soppressore” e lo sviluppo di una malattia rara.
CHARGE
è una rara malattia a trasmissione autosomica dominante, il cui nome è
l’acronomo dei sei principali disturbi che presentano le persone affette: difetti alla vista,
malformazioni al cuore, problemi al naso, ritardo della crescita, malformazioni
dei genitali e delle orecchie. Essa colpisce un bambino su 10.000 fin dalla
giovane età. Oggi non esistono cure per la sindrome, ma solo rimedi per
trattare i principali sintomi: in particolare, fin dai primi giorni, sono
necessari interventi chirurgici per correggere le anomalie che si sviluppano già
durante la gravidanza.
Nonostante
la malattia sia nota dal 1979 sono pochi gli studi specifici, per questioni
puramente commerciali.
Sono quindi soprattutto fondazioni come Telethon e
O.M.A.R. (Osservatorio Malattie Rare) che si occupano di trovare fondi e
soluzioni per rendere migliore la vita di questi pazienti.
Qualcosa della
malattia si conosce anche a livello genetico: si sa che difetti nel gene CHD7, che codifica per
una proteina (elicasi), determinano degli errori nello sviluppo embrionale e
nella regolazione del ciclo cellulare. Non si sa però attraverso quale
meccanismo.
Alla Stanford University of Medicine, per motivi completamente diversi, da tempo si sta studiando il ruolo di p53, nota proteina “oncosoppressore”. Si è scoperto nello studio in questione che i topi che esprimevano solo la proteina p53 mutata sopravvivevano, mentre quelli eterozigoti con una copia normale e una mutata morivano in utero. Indagando meglio, i ricercatori si sono accorti che questi topi manifestavano una serie di malformazioni e deficit tipici della malattia CHARGE, come malformazioni dell'orecchio interno ed esterno, difetti nel cuore e difetti cranio-facciali.
"E 'stata una grande sorpresa, molto interessante perché non si era mai dimostrato che p53 potesse avere un ruolo in questa malattia", ha sottolineato Jeanine Van Nostrand, autrice principale del lavoro. P53, infatti, è una proteina regolatrice che in presenza di cellule malate attiva altre cellule per distruggerle o fermare la loro divisione. Per avere un fenomeno controllato che non vada a compromettere la funzione di cellule importanti, p53 deve essere attivata al momento giusto in una zona specifica ed esistono altre proteine che bloccano l’attività di p53 quando non è necessaria. Questo spiega come mai i topi con p53 mutato sopravvivessero.
Quando invece i topi avevano una copia
di un gene p53 mutato e una copia
normale, le proteine risultanti
erano ibride e non potevano essere spente, ma mantenevano la capacità
di innescare la morte cellulare. L’intuizione è stata quindi quella di pensare che p53
potesse avere un legame con CHD7 nello sviluppare la sindrome di CHARGE.
Così i ricercatori hanno scoperto anche che CHD7 può legarsi
al promotore di p53, regolando negativamente la sua espressione. Senza CHD7,
dunque, viene favorita l’attivazione dell’oncosoppressore p53. Il fatto che
topi in eterozigosi mostrassero ancora un parziale fenotipo derivante da CHD7, dimostrava
che un’inadeguata attivazione di p53 contribuiva allo sviluppo della CHARGE.
Questa ricerca è un passo fondamentale per capire il ruolo di CHD7, chiarendo le modalità di sviluppo della malattia rara. Un primo passo per trovare possibili target molecolari e sviluppare terapie efficaci. Infine rappresenta un’ulteriore vittoria della ricerca di base, troppo spesso ritenuta inutile, e invece essenziale per scoprire particolari importanti sui meccanismi cellulari e lo sviluppo (e cura) delle malattie.