fbpx Trump non cambierà la politica sul clima | Scienza in rete

Trump non cambierà la politica sul clima

Primary tabs

Trump mostra il cartello "Trump digs coal" durante un comizio elettorale in Pennsylvania. Credits: Dominick Reuter/AFP/Getty Images.

Tempo di lettura: 8 mins

Il 1° giugno, con un breve discorso nel Giardino delle Rose della Casa Bianca, il Presidente USA Donald Trump ha dato seguito a quanto aveva promesso in campagna elettorale: gli Stati Uniti, il secondo maggiore emettitore al mondo di gas a effetto serra, ma per quasi due secoli il primo, abbandonerà il Paris Agreement, l’accordo sul clima approvato a fine 2015 nella capitale francese, al termine della XXI sessione della conferenza ONU sui cambiamenti climatici (COP-21). Il Paris Agreement, tra le altre cose, impegna i Paesi firmatari a contenere l’aumento della temperatura media globale “ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli pre-industriali” e “di proseguire gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura a 1,5 °C” e di giungere progressivamente a un’economia globale a zero emissioni di carbonio, possibilmente nella seconda metà del secolo in corso. Trump ha annunciato che avrebbe fatto annullare tutte le misure decise dagli Stati membri ai sensi della ratifica del trattato di Parigi e ritirare ila partecipazione degli USA al Green Climate Fund.

Scetticismo climatico

Per Trump, l'Accordo di Parigi è un trattato scandaloso imposto agli Stati Uniti. "L'accordo di Parigi non è per il clima—ha detto—ma riguarda il beneficio finanziario che gli altri Paesi avranno rispetto agli Stati Uniti. Il resto del mondo ha applaudito quando abbiamo firmato l'accordo. Erano felici, per il semplice motivo che soffriremo un grande svantaggio economico". Trump ha dipinto un quadro apocalittico delle conseguenze dell'accordo, affermando che avrebbe causato la perdita di 2,7 milioni di posti di lavoro, che sarebbe costato 3.000 miliardi agli Stati Uniti e avrebbe portato ai cittadini degli Stati Uniti una perdita di potere di acquisto fino a 7 mila dollari l’anno. Ha poi riportato dati drammatici sulle riduzioni di attività che avrebbero colpito i settori industriali, tra -86% nel settore del carbone. Dimenticando di citare che il solare fornisce già occupazione a 800.000 lavoratori, contro i 67 000 del carbone e che il primo crea più posti di lavoro di quanti ne perda il carbone.

L'accordo di Parigi

L’accordo di Parigi chiede alle nazioni di tagliare, su base volontaria, le emissioni nazionali di gas serra, contribuendo quindi sulla base delle proprie responsabilità storiche e delle rispettive capacità e circostanze nazionali, al raggiungimento degli obiettivi generali. Ogni Paese deve quindi comunicare ogni cinque anni i contributi nazionali che decide di apportare in termini di riduzione delle emissioni e intraprendere gli sforzi conseguenti, che dovranno aumentare di ambizione nel tempo e impegnarsi a supportare i paesi in via di sviluppo nell’effettiva implementazione dell’ accordo.

La ratifica USA dell’Accordo, prevedendo impegni su base volontaria, era arrivata con un “executive agreement” del Presidente Obama. Il testo dell’Accordo era stato costruito, vocabolo per vocabolo, per evitare un passaggio al Senato, che lo avrebbe impallinato. Insieme alla ratifica, Barack Obama aveva fatto recapitare al segretariato dell’ONU il suo Clean Power Plan, che prevede un taglio delle emissioni federali tra il 26 per cento e il 28 per cento rispetto ai livelli del 2005 entro il 2025 e lo spegnimento delle centrali elettriche a carbone entro il 2020. Il contributo USA alla riduzione delle emissioni clima-alteranti è assolutamente importante per raggiungere i principali obiettivi del Paris Agreement. Alcune analisi hanno stimato che, ammesso che tutti i Paesi rispettino gli impegni finora annunciati, si verificherebbe comunque un riscaldamento del pianeta tra 2,7 e 3,5 °C. Ciò causerebbe una serie di conseguenze ambientali disastrose, tra ondate di calore, aumento del livello del mare, danni alle colture, estinzioni di specie e diffusione di malattie, migrazioni di milioni e milioni di persone. Dall’inizio della rivoluzione industriale a oggi c’è già stato un riscaldamento medio di 1,1 °C.

L’accordo di Parigi era entrato ufficialmente in vigore lo scorso 4 novembre poiché—come recitano le regole della Convenzione ONU sul clima—era stata pienamente superata la doppia dei 55 Paesi responsabili complessivamente d’almeno il 55% delle emissioni mondiali di gas serra ad aver depositato la loro ratifica sul tavolo delle Nazioni Unite. La svolta era avvenuta con l’annuncio simultaneo, lo scorso mese di settembre, da parte di Cina e USA (insieme responsabili del 39 percento delle emissioni globali) di aver ratificato l’Accordo. Le ratifiche delle due superpotenze avevano generato un impeto e un contagio positivo che avevano consentito di superare le doppia soglia 55/55. Ad oggi sono 147 le nazioni ad aver ratificato l’Accordo di Parigi.

Era importante che l’Accordo di Parigi entrasse in vigore prima della COP-22, tenuta a fine 2016 a Marrakesh, e comunque prima dell’insediamento di Donald Trump, per scongiurare il rischio che egli potesse dare seguito alla promessa fatta in campagna elettorale e ritirare gli USA dall’accordo di Parigi qualora eletto. Cosa che è puntualmente avvenuta (anche se l’uscita dall’Accordo non sarà agevole e richiederà qualche anno). Qui una interessante ricostruzione dell'accordo di Parigi da parte del New York Times.

Ragioni sbagliate

Il dietro-front dell’Amministrazione USA non è stato motivato dunque dalle convinzioni del Presidente e del suo entourage sulla non veridicità del riscaldamento globale o sulle cause alla base di esso (su questo pochi hanno dubbi e sarebbe da irresponsabili averne, visti gli effetti e gli scenari dei cambiamenti climatici se non si pone un freno alle emissioni di gas-sera), bensì da motivazioni politico-economiche e geo-politiche. In uno dei passaggi del suo intervento in cui ha comunicato la sua scelta, Trump ha detto di esser “stato eletto per rappresentare i cittadini Pittsburgh, non di quelli di Parigi”, dimostrando di confondere la sede dell'accordo sul clima delle Nazioni Unite con l'argomento effettivo dell'accordo. E ignorando che in Pennsylvania (il cui capoluogo è Pittsburgh) oltre 65 mila persone lavorano nel settore dell'energia rinnovabile, molte di più che nell'estrazione delle fonti fossili e mineraria in generale. Inoltre, come ha fatto notare lo stesso sindaco Bill Peduto, Pittsburgh ha aderito a un patto tra sindaci per implementare l'accordo di Parigi.

Ad ogni modo la decisione di Trump rischia di destabilizzare l'Accordo di Parigi. I Paesi che l’hanno ratificato si trovano di fronte al dilemma di cercare di compensare la mancanza di riduzioni delle emissioni USA o di seguire la decisione di Trump e abbandonare l'Accordo.

Le reazioni

Fortunatamente c’è stata una reazione immediata di Italia, Francia e Germania (dichiarazione congiunta), poi della Cina e della Russia, poi dell’India e del Canada, infine del Vaticano. E anche gli stessi Stati Uniti hanno marcato la differnza da trump con l'iniziativa dell'ex sindaco di New York Michael Bloomberg che ha annunciato di voler donare 15 milioni di euro al Fondo delle nazioni Unite per il clima, impoto pari alla quota statunitense. L'ex vicepresidente Al Gore ha definito la mossa del presidente in carica "sconsiderata e indifendibile", mentre tra i leader dell’industria USA è uscito allo scoperto anche Jeff Immelt, presidente e CEO di General Electric, il quale ha dichiarato che "il cambiamento climatico è reale" e "l'industria è chiamata ora a guidare il processo di decarbonizzazione".

Il che fa ben sperare. Come ha dichiarato Christiana Figueres, ex segreatario generale della Convenzione ONU sul clima, il dietro-front di Trump non produrrà un effetto significativo sul destino dell’Accordo. Aggiungendo che "gli Stati, le città, le aziende, gli investitori sono ormai orientati nella direzione della decarbonizzaizone e il calo dei prezzi delle energie rinnovabili rispetto agli elevati costi sulla salute e agli impatti sul clima dei combustibili fossili garantisce la prosecuzione verso la transizione energetica a basso tenore di carbonio".

Un boomerang

L’uscita dall’accordo di Parigi rischia ora di diventare un boomerang per gli USA. A rischio è la loro leadership, reputazione, credibilità, posizione diplomatica e fiducia che gli altri stati avranno nei loro confronti. La Cina già da tempo medita la possibilità di rafforzare la partnership con l'Europa come strategia di riequilibrio geo-politico contro gli Stati Uniti. Ora che il Presidente Trump mette in discussione le relazioni con l’UE, dalla NATO agli accordi commerciali, ai cinesi viene lasciato libero il terreno delle politiche multilaterali sul clima per consolidare la partnership con l'Europa. Come ha dichiarato John Schellnhuber, scienziato del clima e ex consigliere dell'UE e ghost writer dell’enciclica papale Laudato sì, gli Stati Uniti non potranno che perdere da questa uscita dall’Accordo, "Non ostacolerà sostanzialmente le iniziative per contrastare il cambiamento climatico globale, ma colpirà allo stesso modo l'economia americana e la società", ha affermato. "La Cina e l'Europa—ha proseguito Schellnhuber—sono diventati leader mondiali sulla strada della crescita verde e rafforzeranno la loro posizione se gli Stati Uniti decideranno di abbandonare l’Accordo di Parigi e ancor peggio la Convenzione ONU sul clima. I consiglieri di Trump non riescono a riconoscere che le guerre climatiche sono finite, mentre è in corso la corsa per una prosperità sostenibile".

In uno dei momenti cruciali della storia del suo Paese, il leader dei diritti civili Martin Luther King ebbe a dire: “The arc of the moral universe is long, but it bends toward justice” [L’arco dell’universo morale è ampio, ma comunque tende verso la giustizia]. Dopo gli esiti della consultazione elettorale negli USA e le ultime decisioni di Donald Trump di voler abbandonare l’Accordo di Parigi, questa fondamentale verità rimane immutata. L’arco è diventato un po’ più lungo, come pure il tragitto per trovare le soluzioni al riscaldamento climatico e alla giustizia climatica. Ma ormai la strada è avviata. Le interferenze trumpiane potranno solo rallentare il cammino ormai avviato. Non ci sarà governo o capo di stato che potrà arrestare il momentum globale per contrastare il cambiamenti climatico, implementare il Paris Agreement e avviare la strada verso l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale sotto il limite indicato dalla scienza.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Una voce dall’interno dei Pronto Soccorso: ecco perché i medici oggi se ne vogliono andare

Ingresso di un Pronto Soccorso con la scritta EMERGENCY in rosso

Sovraffollamento, carenze di organico, personale oppresso dal lavoro che scappa dalla medicina di emergenza. Intervista a Daniele Coen, medico di Pronto Soccorso per quarant’anni, che nel suo ultimo saggio Corsia d’emergenza racconta e aiuta a capire i problemi connessi alla gestione di queste cruciali strutture sanitarie, strette tra i tagli ai posti letto ospedalieri e le carenze della medicina territoriale. Eppure capaci di ottenere risultati impensabili anche solo pochi anni fa. E offre qualche proposta (e sogno) su come si può migliorare la situazione.
Crediti immagine: Paul Brennan/Pixabay

Se c’è una struttura sanitaria per eccellenza che il cittadino vede soprattutto dall’esterno, da tutti i punti di vista, questa è il Pronto Soccorso: con regole di accesso severe e a volte imperscrutabili; che si frequenta (o piuttosto si spera di non frequentare) solo in caso di emergenza, desiderando uscirne al più presto; per non parlare di quando si è costretti ad aspettare fuori i propri cari, anche per lunghe ore o giorni, scrutando l’interno attraverso gli oblò di porte automatiche (se gli oblò ci sono), tentando (spesso invano) di intercettare qualche figura di sanitario che passa f