fbpx Tutti su, tranne l'Italia | Scienza in rete

Tutti su, tranne l'Italia

Primary tabs

Tempo di lettura: 3 mins

Nel 2008 gli investimenti mondiali in ricerca e sviluppo (R&S) hanno raggiunto la cifra di 1.108,0 miliardi di dollari, con un incremento del 3,4% rispetto all'anno precedente. Malgrado la crisi, nel 2009 la spesa mondiale in ricerca aumenterà ancora a ritmo immutato e, al netto dell'inflazione, giungerà a 1143,2 miliardi di dollari: il 3,4% in più rispetto al 1938.
Sono queste, in buona sostanza, l'analisi e la previsione del 2009 Global R&D Funding Forecast, il rapporto sullo stato della ricerca mondiale pubblicato di recente dalla rivista americana R&D Magazine sulla base di dati forniti da Battelle, dalla US National Science Foundation e dall'OECD.

Il R&D Magazine elabora ogni anno un rapporto sui finanziamenti globali alla ricerca. Con un lavoro soggetto a molti errori, sia perché le fonti dei dati (i singoli paesi) sono diversi, sia perché è difficile valutare l'effettiva spesa di un paese: dato che il rapporto di cambio ufficiale delle monete non è un indicatore esatto e non esiste alcun metodo univoco e rigoroso per valutare il potere di acquisto reale delle monete nazionali. Ciò spiega perché il R&D Magazine ha rivisto leggermente al ribasso la spesa di alcuni paesi asiatici, soprattutto di Cina e India. In pratica, nell'ultimo rapporto la Cina ritorna al terzo posto nella classifica dei paesi che investono di più in R&S, dopo essere stata promossa al secondo posto nei due precedenti rapporti. Nella stessa situazione si trova l'India, retrocessa dal settimo al decimo posto.

Ma, al netto di queste variazioni, il 2009 Global R&D Funding Forecast descrive una stato della ricerca nel mondo piuttosto stabile, riconfermando i trend degli anni precedenti. Malgrado la crisi, gli investimenti in R&S crescono con un ritmo sostenuto. L'Asia è il continente dove questo ritmo è più vivace. Il mondo della ricerca è, sempre più, un mondo multipolare.
Non tutti i paesi, tuttavia, stanno adottando la medesima politica di investimento. Nella Tabella 1 è possibile verificare che tra i primi 12 paesi per spesa in R&S, ce ne sono alcuni dove gli investimenti crescono a ritmi molto sostenuti: il 3,9% negli Usa, il 5,6% in Brasile, il 6,6% in Russia, il 9,7% in India, addirittura il 22,7% in Cina. E paesi - come il Giappone, la Francia o il Canada - dove la crescita è contenuta. In uno solo la spesa è diminuita lo scorso anno: l'Italia.

Ma il nuovo rapporto del R&D magazine mette a fuoco un'altra caratteristica degli investimenti in R&S: la globalizzazione. Riguarda, ovviamente, gli investimenti delle imprese (che rappresentano i due terzi degli investimenti globali). Ma non è affatto raro che imprese europee investano in laboratori americani e asiatici. E viceversa, che imprese americane o asiatiche investano in laboratori localizzati in Europa. Ciò ha dato luogo a un flusso di finanziamenti che gli esperti della rivista hanno provato a valutare.

Le imprese europee nel 2007 hanno investito 28,9 miliardi di dollari in laboratori ri ricerca e sviluppo localizzati in America. Imprese americane hanno investito 46,4 miliardi di dollari in Europa. Con un flusso netto a vantaggio dell'Europa di 17,5 miliardi di dollari.

Le imprese europee hanno investito 22,1 miliardi di dollari in laboratori localizzati in Asia. Imprese asiatiche hanno investito in Europa 14,5 miliardi di dollari. Con un flusso netto a svantaggio dell'Europa di 7,6 miliardi di dollari.

Le imprese americane, infine, hanno investito 27,8 miliardi di dollari in Asia. Viceversa, imprese asiatiche hanno investito 19,2 miliardi di dollari in America. Lo squilibrio a favore dell'Asia è stato di 8,6 miliardi.

Nel complesso la mobilità o - se si vuole - la globalizzazione degli investimenti in R&S è ammontata a 158,9 miliardi di dollari. Pari al 15% della spesa mondiale assoluta in R&S e al 23% della spesa mondiale delle imprese. La domanda è: questa marcata globalizzazione della spesa in ricerca resisterà alla crisi finanziaria ed economica che il mondo sta attraversando?

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La contraccezione di emergenza e il mistero dei “criptoaborti”

Il comitato anti-aborto denominato Osservatorio permanente sull’aborto sostiene che i contraccettivi di emergenza come la pillola del giorno dopo causino "criptoaborti" e insiste su una presunta azione abortiva non riconosciuta dalla comunità scientifica, che afferma chiaramente la natura contraccettiva di questi farmaci. È un movimento, sostenuto anche dall'Associazione ProVita e Famiglia, che porta avanti una campagna più ampia contro tutti i contraccettivi ormonali.

Sono 65.703 le interruzioni volontarie di gravidanza registrate dall’ISTAT nel 2022 in Italia. Il numero è calato progressivamente dal 1978, quando è entrata in vigore la legge 194, che regolamenta l’aborto nel nostro Paese. Un comitato di ginecologi e attivisti dell’Associazione ProVita e Famiglia, però, non è d’accordo: sostiene che sono molte di più, perché aggiunge al computo 38.140 fantomatici “criptoaborti” provocati dall’assunzione dei contraccettivi ormonali di emergenza, la pillola del giorno dopo e quella dei cinque giorni dopo.