fbpx Ultrasuoni focalizzati a bassa intensità: un nuovo studio per la ricerca neurologica | Scienza in rete

Ultrasuoni focalizzati a bassa intensità: un nuovo studio per la ricerca neurologica

Gli ultrasuoni focalizzati a bassa intensità (LIFU) sono una promettente tecnologia che potrebbe consentire di superare la barriera emato-encefalica e migliorare il trattamento di malattie neurologiche. Un nuovo lavoro indaga cosa avvenga nel cervello a seguito del trattamento, per analizzare la ripresa della barriera emato-encefalica dopo l’apertura indotta.

Tempo di lettura: 4 mins

Le malattie neurologiche, come l'Alzheimer, il Parkinson e vari tumori cerebrali, sono tra le condizioni più invalidanti a livello globale. Nonostante i progressi della ricerca, i trattamenti efficaci restano ancora limitati: le ragioni sono varie e vanno dalla complessità del cervello alle difficoltà di una diagnosi precoce. Tra gli elementi che rendono difficile il trattamento delle malattie che interessano il cervello vi sono le difese naturali di quest’organo, in particolare la barriera emato-encefalica.

Possiamo immaginarla come una sorta di "checkpoint" altamente selettivo, un sistema di sicurezza sofisticato. È composta diversi tipi di cellule che collaborano per mantenere l’equilibrio interno del cervello, consentendo il passaggio di nutrienti e ossigeno e proteggendolo allo stesso tempo da potenziali pericoli. Un tempo si pensava che fosse solo una barriera fisica che impediva il passaggio di sostanze dannose. Oggi sappiamo che è molto di più: si tratta di un sistema complesso, che decide con grande precisione quali sostanze possono entrare nel cervello e quali no. E anche l’ingresso di molti farmaci terapeutici, rendendo difficile il trattamento delle malattie neurologiche.

Come superare dunque l’ostacolo della barriera emato-encefalica per un trattamento efficace delle malattie neurologiche? Negli anni, la ricerca scientifica ha lavorato a diverse strategie che permettessero di ovviare a questo passaggio. Tra queste, uno degli approcci più recenti è l'uso di ultrasuoni focalizzati a bassa intensità (LIFU, dall'inglese Low-Intensity Focused Ultrasound): utilizzando onde ultrasoniche e microbolle in circolazione, è possibile creare aperture temporanee e localizzate nella barriera, permettendo il passaggio di molecole terapeutiche. I primi studi condotti su animali ed esseri umani hanno mostrato risultati promettenti per il trattamento di condizioni come la malattia di Alzheimer, di Parkinson e metastasi cerebrali. Tuttavia, restano ancora molte incertezze sugli effetti immediati e a lungo termine di questa tecnologia sulla unità neurovascolare e sui meccanismi di recupero della barriera emato-encefalica.

Come reagisce la barriera emato-encefalica alla LIFU?

Di recente, ho firmato uno studio pubblicato su Journal of Controlled Release che ha fornito nuovi dettagli su come l’unità neurovascolare (cioè l'interazione dinamica tra i diversi tipi di cellule e componenti vascolari nel cervello) risponda all’apertura della barriera emato-encefalica indotta dagli ultrasuoni focalizzati a bassa intensità.

Abbiamo lavorato su otto macachi, nei quali abbiamo esaminato in particolare il putamen, una regione del cervello coinvolta nel controllo motorio e frequentemente interessata nel morbo di Parkinson, monitorando i cambiamenti fisiologici a seguito di trattamenti LIFU in tre fasi temporali distintive. Tre ore dopo il trattamento, abbiamo osservato una reazione infiammatoria acuta, caratterizzata dall’attivazione della microglia (le cellule immunitarie del cervello che rispondono alle lesioni), degli astrociti (cellule di supporto che regolano l'ambiente cerebrale) e dei linfociti (globuli bianchi coinvolti nella risposta immunitaria), oltre a modifiche nei marcatori endoteliali (cellule che rivestono i vasi sanguigni e controllano gli scambi con il cervello) e dei periciti (che avvolgono i capillari e contribuiscono al loro funzionamento). In altre parole, questo stadio iniziale evidenzia i primi segni di un’alterazione temporanea e localizzata della barriera emato-encefalica, con il sistema immunitario che risponde all'apertura della barriera.

Al settimo giorno dopo il trattamento, il quadro cambia. I processi di riparazione dei vasi sanguigni sono ben avviati, grazie all’aumento di specifici fattori, come PDGFR-β e VEGF-A, che stimolano la crescita di nuovi capillari. È ancora presente una lieve infiammazione, ma limitata a piccole aree, indicando che la barriera che protegge il cervello sta iniziando a riprendersi.

Infine, dopo trenta giorni, l’integrità dell'unità neurovascolare è stata completamente restaurata, senza lasciare tracce di danni permanenti come edema, emorragie o altre anomalie.

I nostri risultati suggeriscono che, sebbene l'apertura della barriera emato-encefalica possa provocare inizialmente un'infiammazione temporanea, il recupero della struttura vascolare può essere completo e non compromettere la funzionalità cerebrale a lungo termine.

Le implicazioni per il trattamento neurologico

Il nostro studio offre alcune importanti indicazioni sulla sicurezza e l'efficacia del LIFU nell’aprire temporaneamente la barriera emato-encefalica, suggerendo che possa offrire nuove opportunità per il trattamento di malattie come Alzheimer, Parkinson e i tumori cerebrali senza provocare danni permanenti. In particolare, oltre a fornire una cronologia delle modifiche che si verifica nell’unità neurovascolare in seguito al trattamento, abbiamo evidenziato gli elementi cui prestare maggior attenzione per ridurre al minimo i rischi di effetti indesiderati (come infiammazioni croniche): tra questi, controllare con precisione i livelli di energia ultrasonica e i protocolli per le microbolle, per ridurre al minimo i rischi di effetti indesiderati, come danni ai tessuti o infiammazioni croniche.

Certo, la ricerca sull'uso degli ultrasuoni focalizzati a bassa intensità è ancora in una fase preliminare. E sebbene studi come il nostro suggeriscano che la barriera possa recuperare completamente dopo l'apertura temporanea indotta, permangono incertezze riguardo agli effetti a lungo termine, in particolare per quanto riguarda la possibilità di infiammazioni croniche o alterazioni microstrutturali. Inoltre, sarà fondamentale ottimizzare i parametri di trattamento per garantirne la massima sicurezza. Tuttavia, il LIFU rappresenta una strada innovativa e promettente: con ulteriori ricerche e sviluppi, potrebbe un giorno diventare uno strumento importante per il trattamento mirato di malattie neurologiche complesse, aprendo nuove prospettive terapeutiche oggi inaccessibili.

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Diagnosi di HIV in crescita dopo il COVID: i numeri del 2023

Dopo la pandemia di Covid-19, per la prima volta da quasi dieci anni, sono aumentate in Italia le infezioni da HIV, molte delle quali diagnosticate in fase già avanzata (AIDS), soprattutto tra le persone eterosessuali. Sono alcuni dai dati che emergono dal report del Centro Operativo AIDS (COA) dell’Istituto Superiore di Sanità e che, in occasione della Giornata mondiale contro l'AIDS che si celebra il 1 dicembre, riportiamo in questo articolo.

Le diagnosi di infezione da HIV continuano ad aumentare, invertendo la decrescita che, prima della pandemia di Covid-19, durava da quasi dieci anni. Secondo i dati pubblicati dal Centro Operativo AIDS (COA) dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 2023 sono stati registrati 2.349 nuovi casi, che arrivano a circa 2.500 tenendo conto delle segnalazioni ancora da registrare.