fbpx Vaccini e trasparenza: una questione malposta | Scienza in rete

Vaccini e trasparenza: una questione malposta

Primary tabs

“È stato ed è avvilente ascoltare la più larga parte della discussione suscitata nei mesi dalla pandemia di Covid-19 e ora anche dai vaccini in arrivo", scrivono Gilberto Corbellini e Michele De Luca: il sistema di controllo della qualità dei vaccini, messo in piedi negli anni, oggi è diventato ipersensibile verso i rischi, e affermare, per esempio, che non ci si farà vaccinare finché non saranno pubblicati i dati riguardanti il vaccino significa incorrere in almeno due errori.

La sede dell'EMA (European Medicines Agency) ad Amsterdam.

Tempo di lettura: 10 mins

Prologo

Nel febbraio del 1957 un microbiologo di nome Maurice Ralph Hilleman, che dirigeva il Dipartimento di Malattie Respiratorie del Walter Reed Army Medical Center, lesse su un quotidiano statunitense di 20mila morti per influenza a Hong Kong, Capì che era in arrivo una pandemia influenzale, per i primi di settembre di quell’anno predisse, e la chiamò Asiatica. Ottenne un campione del virus (H2N2, un nuovo ceppo pandemico), creò un vaccino e si accordò coi produttori, in primo luogo Merk & Co perché fosse pronto in quattro mesi (un record imbattuto). Grazie a 40 milioni di dosi disponibili nel tempo richiesto, gli Stati Uniti ebbero ‘solo’ 70mila morti, mentre nel mondo l’Asiatica tra il 1958 e il 1959 causò circa 2milioni di decessi. Covid 19 si sta avviando verso questo tragico traguardo. Nel 1957 Hilleman fu assunto da Merk & Co, dove rimase per 47 anni, e quando morì nel 2005 all’età di 85 anni, insieme al suo gruppo aveva creato 40 vaccini per uomini e animali, in parte sperimentali e in parte approvati. Tra questi alcuni ancora in uso che proteggono da morbillo, parotite, rosolia, epatite A e B, polmonite da pneumococco, meningite, influenza pandemica e clamidia. Domanda insensata ma forse utile a riflettere: se il più prolifico inventore di vaccini della storia medica e che ha salvato chissà quanti milioni di vite, vivesse oggi, cosa penserebbe di certe discussioni tra il disinformato e l’ideologico circa i vaccini anti-Covid? Del fatto che per qualcuno il sistema di produzione e controllo della qualità dei vaccini, messo in piedi negli anni e oggi ipersensibile verso i rischi di effetti collaterali, non sarebbe affidabile per mancanza di trasparenza?

Una comunità confusa?

La famosa frase del generale di von Clausewitz, che la “la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai militari”, viene alla mente in questi giorni, e potrebbe essere parafrasata con “la scienza e la medicina sono troppo serie per lasciarle nelle mani degli scienziati e dei medici”. Le biografie di chi scrive non lasciano sospettare che stiamo chiedendo un controllo politico sulla scienza e la medicina. Invece, pensiamo a come evitare che si smantellino dei presidi di razionalità, efficienza e sicurezza, a causa di fraintendimenti e inaspettate forme di populismo che si diffondono, sull’onda dell’emergenza pandemica, anche nella comunità scientifica. Gli scienziati, i quali affermano che non si faranno somministrare il vaccino anti-Covid fino a quando i dati non saranno pubblicati e messi quindi a disposizione della comunità scientifica che potrà vagliarli, ovvero che gettano il sospetto che le agenzie che regolano e approvano lo sviluppo di nuovi farmaci e vaccini siano tenute al guinzaglio da BigPharma, commettono due errori. Il primo è pensare che informazioni che compaiono sulle pubblicazioni scientifiche, vagliati dai revisori, siano più affidabili di quelli controllati e analizzati dagli scienziati e tecnici delle agenzie che approvano i farmaci e quindi anche i vaccini. Ovvero ritengono che i dati analizzati dalle agenzie regolatorie, benché in possesso di agenzie pubbliche, non siano pubblici o che non siano validi, e che una indefinita comunità scientifica saprebbe vagliare i vaccini meglio di tecnici specializzati che sono selezionati e pagati allo scopo. Il secondo errore è una forma di autoinganno per cui chi esprime riserve ritiene di essere in grado di apprezzare e giudicare informazioni e situazioni molto complesse, di cui non è competente e che di norma sono valutate da equipe di esperti altamente specializzati.

Sappiamo, nel senso che abbiamo le prove, che le revisioni degli articoli proposti alle riviste scientifiche per la pubblicazione non sono sempre valutati con attenzione, sia perché i revisori non sono pagati sia perché non sono scelti né controllati per essere indipendenti. Chiunque abbia pubblicato su riviste che possono essere anche le più prestigiose si sarà visto respingere lavori con argomenti risibili di reviewers palesemente incompetenti o prevenuti, e i fatti provano che un numero non irrilevante di articoli vengono ritrattati perché i revisori non hanno riconosciuto errori o manipolazioni e truffe nella presentazione e analisi dei dati. Questi inconvenienti, che nel caso di un articolo scientifico non danneggiano quasi nessuno, se non la credibilità pubblica e i budget della scienza o la reputazione di qualche scienziato o laboratorio, sono meno probabili quando si parla del processo di approvazione di nuovi farmaci e vaccini. Per fortuna, perché potrebbero accadere tragedie ai danni di pazienti.

Uno di noi (MDL) può testimoniare la meticolosità e la puntigliosità (a volte addirittura eccessive) nonché il rigore con cui gli enti regolatori analizzano i dati (tutti i dati!) delle diverse fasi di una sperimentazione clinica prima di approvare un farmaco o una terapia avanzata e certificarne la sicurezza e l’efficacia.

Gli errori sono possibili anche nella valutazione dei dati sottomessi per l’approvazione di farmaci e vaccini. Così come episodi di corruzione. Ma scienziati, medici e persone razionali non dovrebbero focalizzarsi su aneddoti, casi eclatanti, etc., ma sulla logica delle procedure e sull’efficacia controllabile delle norme. Perché si usano quelle procedure, cioè da quali esperienze (fallimenti e successi) vengono? In che modi prevengono i bias di giudizio? Se qualcosa nello specifico non va bene, di cosa si tratta e quali prove si possono portare (evitando di esprimere preconcetti ideologici e fare del moralismo inutile o dannoso) circa quei difetti?

Da dove veniamo e dove siamo

All’inizio fu un insabbiamento. Infatti, il primo vaccino umano attenuato artificialmente, quello di Louis Pasteur contro la rabbia, causò (trattandosi di una brodaglia secondo i nostri standard) alcuni morti dopo la prima somministrazione fortunata nel 1885, e l’allievo di Pasteur, Emile Roux, convinse le autorità a non indagare su quelle morti per evitare l’arresto della ricerca di altri vaccini. Malgrado ne fossero stati prodotti contro il vaiolo, la peste, la rabbia, il tifo e il colera, fino a inizi Novecento i vaccini non erano regolati. A causa di diversi incidenti accaduti negli anni, furono introdotte legislazioni di cui quelle del 1902 e del 1944 negli Stati Uniti erano all’avanguardia. I vaccini cominciarono a essere sottoposti a trial clinici randomizzati e in doppio cieco nel 1955, con il vaccino antipolio di Salk. A causa del tragico “Cutter incident” – 200mila dosi di vaccini antipolio distribuite nel 1955 dai Cutter Laboratories contenevano virus non inattivato e causarono 20mila casi di polio in bambini statunitensi – iniziò un processo che in dieci anni avrebbe portato alla rivoluzione organizzativa e funzionale della Food and Drug Administration (FDA, che esisteva con quel nome dal 1930). Sulla scia di un’altra tragedia, cioè i casi di focomelia nei feti e neonati dovuto al farmaco talidomide, tragedia che risparmiò gli Stati Uniti che non accettarono i dati dei produttori del farmaco relativi alla sicurezza, si giunse nel 1962 agli emendamenti alla legge sui farmaci detti “Kafauver-Harris”, voluti da John Fitzgerald Kennedy, che cambiarono definitivamente lo scenario dello sviluppo di medicine introducendo rigidi criteri scientifici (SCIENTIFICI) per stabilire la sicurezza e l’efficacia dei trattamenti.

Da quel momento sono proliferate nel mondo le agenzie regolatorie (in Italia AIFA che nasce solo nel 2003), che grosso modo funzionano come FDA ed esercitano anche un attento controllo interno per prevenire i conflitti di interesse nel reclutamento dei consulenti tecnico-scientifici. I criteri scientifici ed etici adottati da queste agenzie, e costantemente aggiornati a fronte di difetti che vengono alla luce, sono anche oggetto di costanti riflessioni e analisi da parte dell’OMS e dell’International Council for Harmonisation of Technical Requirements for Pharmaceuticals for Human Use (ICH).

Come funziona il processo? In un paese civile qualunque cittadino maggiorenne, cioè col diritto di voto, dovrebbe saperlo.

In sintesi, dato il problema di una malattia infettiva, si studia innanzitutto il patogeno (virus, batterio, protozoo, etc.) per identificare potenziali bersagli antigenici. Un lavoro che di norma dura da 2 a 4 anni, prima di entrare in una seconda fase, detta preclinica, dove lavorando su modelli animali e sistemi in vitro o in silico, si studia l’immunogenicità e si cerca di capire la dinamica della risposta immunitaria protettiva. Altri 2 anni circa di lavoro e se non si rientra nel 90% che fallisce nelle prime due fasi, si può cercare uno sponsor, cioè qualcuno che mette i soldi (a meno che le ricerche non siano state fatte in un laboratorio privato) per fabbricare il vaccino. Lo sponsor sottomette, in Europa, un Investigational Medicinal Product Dossier (IMPD) alla European Medicine Agency (EMA, o un documento simile all’FDA) e nella domanda mette tutti (TUTTI) i dati di laboratorio, pronto a fornirne altri se richiesti, insieme all’approvazione del protocollo di sperimentazione clinica da parte del comitato etico dell’ente disposto a ospitare la sperimentazione. Se l’IMPD è approvato, si entra nelle tre fasi di test per stabilire sicurezza (fase I), immunogenicità (efficacia), dosi, piano di immunizzazione e metodo di somministrazione (fase II), controllo con studi randomizzati in doppio cieco e con placebo ancora sicurezza ed efficacia su gruppi più ampi. Dopo la fase III il vaccino viene approvato (licenziato), e l’agenzia ispeziona la fabbrica che lo produce continuando in seguito a monitorare sia la produzione del vaccino con regolari ispezioni sia gli effetti sulla popolazione (farmacovigilanza). Le tre fasi sono state condotte anche per il vaccino contro COVID. L’accorciamento dei tempi è stato possibile per l’enorme investimento di risorse finanziare ed umane (impensabili per un tradizionale farmaco o vaccino), senza inficiare le valutazioni di sicurezza ed efficacia. L’agenzia ha peraltro il diritto di effettuare dei propri test sul vaccino. Diverse agenzie dagli anni Novanta hanno sviluppato piattaforme per rilevare per possibili segnali, cioè prove, di eventi avversi associati ai vaccini. 
Quando si invoca la trasparenza dei dati, bisognerebbe sapere che gli enti regolatori (EMA, FDA), a fronte di una approvazione di un farmaco o di un vaccino, mettono a disposizione tutti (TUTTI) i dati che hanno minuziosamente esaminato prima di dare una qualunque approvazione. Questo non avviene per i dati pubblicati nelle riviste scientifiche. I vaccini sono testati in modo ancora più approfondito rispetto ai farmaci non vaccinali perché il numero di soggetti umani negli studi clinici sui vaccini è solitamente maggiore. Inoltre, il monitoraggio post-autorizzazione dei vaccini è attentamente esaminato negli USA dai Centers for Disease Control e dalla FDA, e in Italia da ISS e AIFA.

Dove vogliamo andare?

Nel corso del processo sopra descritto i ricercatori e i clinici producono pubblicazioni per validare anche all’esterno i dati prodotti e trattati. Ma le agenzie di controllo non si basano su queste pubblicazioni per approvare l’uso e la commercializzazione di un vaccino. Fanno ricontrollare da specialisti tutti i dati (i dati originali) e ne chiedono eventualmente di nuovi. Inoltre, in quanto queste agenzie dipendono dai governi e non come le riviste da privati, la loro indipendenza è indiscutibilmente superiore: insomma le analisi delle agenzie per loro natura sono più complesse e complete (riguardano anche il processo di manifattura) e si estendono su tutti i dati pertinenti e non solo su quelli scelti dai ricercatori al fine di pubblicarli. Infine, troviamo singolare dire che si aspetti la pubblicazione dei dati per fare un vaccino, perché se esiste una minaccia seria di trasmissione e un acuirsi della malattia, il vaccino potrebbe essere reso obbligatorio. In quel caso, come si comporterebbero gli scettici (non antivaccinisti)? Che dovrebbero anche riflettere sul fatto che ritardando di vaccinarsi per motivi capziosi rischiano di infettarsi, e questo poco conta, ma potrebbero infettare persone a rischio di morire.

Se fossimi cittadini di un paese con più senso civico, ci aspetteremmo che il governo, rispettando la libertà indviduale, non rendesse obbligatorio il vaccino (serve a poco), tranne forse per quelle categorie di persone che operano in strutture sanitarie. Tuttavia, si dovrebbe stabilire  che chi avesse rifiutato, in modo documentabile, il vaccino certificato ed approvato dagli enti regolatori (del mondo libero e democratico) e si ammalasse di Covid, sarebbe certamente curato e assistito nelle strutture pubbliche. Ma a SUE spese.

È stato ed è avvilente ascoltare la più larga parte della discussione suscitata nei mesi dalla pandemia di Covid-19 e ora anche dai vaccini in arrivo. Si prova un senso di pena, anche se conoscendo la natura umana non siamo sorpresi, per la totale mancanza di rispetto tutte le persone che nei secoli e decenni scorsi non avevano gli strumenti scientifici e medici che noi abbiamo, e che per questo morivano a frotte. Ma mettiamo anche da parte un argomento che può apparire retorico. Siamo più fortunati di chi ci precedeva, eppure non lo capiamo e ci impegniamo nel segare il ramo dell’albero sul quale siamo seduti. Non ci si rende conto che in gioco non è solo o tanto la nostra vita personale, ma anche quella dei nostri figli, messa a rischio dai modi improvvisati, impulsivi, capricciosi e superficiali con cui si parla di questioni maledettamente serie.

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Allarme AIFA sull’antibioticoresistenza, rischia di diventare la prima causa di morte in Italia

Immagini e testi della campagna dell'ECDC sull'uso corretto di antibiotici

In occasione della Giornata europea degli antibiotici, il 18 novembre, l’AIFA ha reso pubblico un dossier che denuncia nuovamente il grave rischio dell’antibioticoresistenza, che ci lascia privi di armi per combattere infezioni pericolose. Tra le cause il consumo improprio ed eccessivo di antibiotici, che vede l’Italia messa tra i peggiori in UE: oggi consumiamo più antibiotici e abbiamo più decessi legati a infezioni da batteri resistenti di qualsiasi altro paese europeo. E nell’ultimo anno il consumo di antimicrobici è aumentato del 6,3%. Nell'immagine: campagna ECDC sull'uso corretto di antibiotici.

Iniziamo dai numeri, tratti dal dossier sull'antibioticoresistenza pubblicato da AIFA nella giornata mondiale degli antibiotici, che si celebra il 18 novembre di ogni anno (puoi leggere in calce all'articolo la versione completa del rapporto, mentre nel sito Epicentro dell'Istituto Superiore di Sanità trovi le iniziative relative alla giornata e settimana mondiale d