È da poco iniziato un trial clinico di fase III dedicato all’uso di un vaccino a mRNA personalizzato per prevenire recidive e metastasi del melanoma. Il meccanismo d’azione non è diverso da quello del vaccino contro SARS-CoV-2: dal tumore del paziente si estrae il DNA, dal quale si ottengono le sequenze su cui è disegnata una molecola di mRNA per la produzione di proteine in grado di attivare il sistema immunitario. Basato sui promettenti risultati degli studi precedenti, questo tipo di approccio potrebbe aiutare la ricerca, già molto attiva, per l’applicazione del vaccino a mRNA su varie altre forme tumorali.
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Quella della ricerca di vaccini contro il cancro è una storia con ormai diversi anni alle spalle. I risultati non sono mai stati però particolarmente incoraggianti – almeno finora. A fine gennaio, infatti, è partito un trial clinico di fase III, che coinvolge anche l’Italia e che si basa sull’uso dell’RNA messaggero (mRNA), secondo lo stesso approccio impiegato per produrre i vaccini anti-Covid. Un trial che inevitabilmente richiederà alcuni anni per dare conferme sicure, ma le cui premesse sembrano realmente promettenti.
Ne parliamo con Paolo Ascierto, oncologo e direttore del dipartimento di Tumori Cutanei, Immunoterapia Oncologica Sperimentale e Terapie Innovative dell’Istituto Nazionale Tumori “Fondazione Pascale”, dove sono state effettuate le prime somministrazioni italiane del vaccino.
L’mRNA come medicina
Che l’mRNA potesse funzionare “come una medicina” non è un’idea nata con la pandemia Covid-19: anzi, era stata proposta già da Robert Malone, ricercatore statunitense che negli anni ’80 dimostrò come fosse possibile introdurre questa molecola nelle cellule in coltura e far produrre loro proteine. In effetti, quella dei vaccini a mRNA è una lunga storia di ricerca di base. Covid-19 ha permesso di impiegarli con efficacia a larga scala, ma continuano gli studi per usarli anche, per esempio, contro HIV… o contro i tumori. L’idea di base è semplice: presentare al sistema immunitario molecole specifiche del cancro e che agiscano come antigeni, cioè lo attivino; nel caso dei vaccini a mRNA, è la molecola iniettata a far produrre alle cellule del paziente gli antigeni da riconoscere.
«Ciò su cui lavoriamo oggi è un vaccino personalizzato, che cerca di stimolare il sistema immunitario ad attivarsi contro le proteine prodotte dal tumore, dette neoantigeni, distinguendole da quelle normali», spiega Ascierto. In altre parole, si individuano delle proteine specifiche del tumore, si disegna ad hoc una molecola di mRNA che fornisca alle cellule le istruzioni per produrle e la si inietta nel paziente, con un adeguato vettore che ne mantenga la stabilità. Le cellule del paziente iniziano a sintetizzare i neoantigeni, attivando il sistema immunitario, che è in grado di mantenerne memoria e aggredire il tumore nel caso si presentasse. «Si parla di vaccino personalizzato perché il vaccino è disegnato proprio sulle caratteristiche del tumore del singolo paziente: il campione tumorale è inviato a un laboratorio centrale che ne estrae il DNA, dalla cui sequenza un algoritmo, che lavora anche grazie a tecniche d’intelligenza artificiale, individua 34 neoantigeni, scelti tra quelli che possono dare una risposta immunitaria più robusta. Sulla base di questi ultimi si sintetizza la molecola di mRNA per il vaccino», specifica Ascierto.
L’intero processo, dalla raccolta del campione alla produzione del vaccino, richiede per ora almeno sei settimane, i produttori, tuttavia, sperano di portare il processo a 30 giorni.
Il trial di fase III V940-001
Dato il meccanismo di funzionamento, diventa evidente che i vaccini anti-cancro mirano ad agire non come prevenzione della formazione di un primo tumore, bensì come trattamento adiuvante, cioè per prevenire eventuali recidive rinforzando l’azione dell’immunoterapia classica. Per la precisione, il trial attuale, denominato V940-001, arruola pazienti che si sono già sottoposti alla chirurgia e non hanno evidenza di malattia. Il vaccino è associato all’immunoterapia basata sulla somministrazione di pembrolizumab, un anticorpo monoclonale attivo contro la proteina PD-L1 delle cellule tumorali, che impedisce il riconoscimento da parte del sistema immunitario. Il trattamento consiste poi in 9 inoculazioni intramuscolari (una ogni sei settimane) e altrettante iniezioni intravena di pembrolizumab; il vaccino non ha mostrato causare particolari effetti collaterali, se si escludono i “classici” associati all’inoculo come il dolore localizzato.
«I dati emersi dal trial clinico di fase II, che si è svolto negli Stati Uniti, sono stati presentati nel 2023 ed erano decisamente promettenti: rispetto al trattamento con il solo pembrolizumab, l’aggiunta del vaccino a mRNA personalizzato riduce il rischio di recidiva del 44% e addirittura del 65% di metastasi a distanza», continua l’oncologo. «L’attuale trial di fase III si svolge invece a livello internazionale, ed è previsto durare fino al 2029. Lo condurremo su 1.500 pazienti con caratteristiche idonee all’arruolamento, con una randomizzazione 2:1, ossia solo la metà dei pazienti prenderà il placebo (ma comunque farà il solo pembrolizumab), proprio perché i primi dati sono davvero incoraggianti».
A livello teorico, spiega Ascierto, la strategia del vaccino a mRNA personalizzato può essere applicata per qualsiasi tipo di tumore. In effetti, la ricerca biomedica in questo campo è molto attiva: sono diversi i trial in corso o in fase di reclutamento, anche per altri tipi di cancro quali quello esofageo e polmonare o alcune forme di cancro endocrino, e sempre nel 2023 sono stati pubblicati i risultati di un trial di fase I – e dunque ancora preliminari - per un vaccino personalizzato a mRNA per il tumore al pancreas. «Il melanoma è uno dei tipi di tumore più studiato per l’applicazione del vaccino perché è una delle forme tumorali più sensibili all’immunoterapia. Tuttavia, gli studi su questo particolare tumore potrebbero aprire le porte per un’applicazione del vaccino anche ad altre forme di cancro», conclude Ascierto. «Inoltre, sebbene appunto ora sia studiato soprattutto come terapia adiuvante, sono in corso anche alcune ricerche per l’uso come neoadiuvante: l’idea in questo caso è di estrarre il DNA tumorale, costruire il vaccino e procedere con l’inoculazione prima della chirurgia, così da rendere l’azione del sistema immunitario ancora più tempestiva».