fbpx Veli di cristallo: donne ricercatrici e Islam | Scienza in rete

Veli di cristallo: donne ricercatrici e Islam

Primary tabs

Copertina del documentario 'Veli di cristallo. Donne e Islam nell'Italia della ricerca scientifica', di Ilaria Ampollini e Alberto Brodesco.

Tempo di lettura: 4 mins

Un video di 8’ minuti racconta le testimonianze di nove ricercatrici, raccolte grazie al Premio Bassoli 2016. Tante le tematiche affrontate: dal soffitto di cristallo alla discriminazione; dalla scelta di fare ricerca al rapporto tra fede islamica e conoscenza.

Veli di cristallo. Donne e Islam nell'Italia della ricerca scientifica from Veli di Cristallo on Vimeo.

Nove donne, di fede islamica, impegnate nel campo della ricerca scientifica nel nostro Paese, che raccontano, con grande generosità, la loro storia: è il progetto che abbiamo realizzato io e il mio collega Alberto Brodesco (Università di Trento), dal titolo Veli di Cristallo: Donne e Islam nell’Italia della Ricerca Scientifica. Lo scorso 9 maggio, in occasione di una giornata interamente dedicata al tema donne e scienza, alla SISSA di Trieste è stato possibile vedere in anteprima il video di una decina di minuti che sintetizza i risultati raccolti da questo lavoro, che ha vinto l’edizione del Premio Bassoli 2016. Il premio, intitolato alla memoria del noto giornalista scientifico Romeo Bassoli, è sostenuto dalla SISSA e dall’INFN e fa parte della più ampia iniziativa Memorie di Scienza, promossa in collaborazione con Zadig e con il Circolo Giovanni Bosio di Roma. Obiettivo: la costruzione di un database di testimonianze orali provenienti dal mondo della scienza.

L’edizione 2016 chiedeva di indagare la prospettiva femminile nella ricerca scientifica in Italia. Noi abbiamo pensato di farlo attraverso una prospettiva inedita, tramite cioè la voce di ricercatrici che lavorano nel nostro Paese, ma che sono di religione o provenienza islamica. La parte più difficile? Trovare i volti che soddisfacessero effettivamente questi requisiti. Una volta stabiliti i primi contatti, però, tutto è stato più semplice e abbiamo avuto la possibilità di ascoltare storie e riflessioni che ci hanno aperto una dopo l’altra affascinanti finestre, su un mondo che per noi restava in gran parte inesplorato.

Le nove donne che hanno dato la propria disponibilità a prendere parte al progetto hanno affrontato con noi diverse tematiche: dal problema del “soffitto di cristallo”, cui anche il titolo allude, alle possibili discriminazioni, in quanto donne, straniere o velate; dai motivi che le hanno spinte a scegliere di dedicarsi alla ricerca al rapporto tra Islam e conoscenza. L’aspetto di maggior fascino che si delinea dalle parole delle intervistate è quello di un’autentica complessità di situazioni, vissuti e punti di vista, che poco prestano il fianco a generalizzazioni o a banali sintesi e che richiedono invece la pazienza e l’attenzione di mantenere acceso lo sguardo su realtà eclettiche e composite, ma proprio per questo profondamente intriganti. Così, a emergere non è certo una figura semplificata e pronta all’uso della “donna islamica che fa ricerca in Italia”, ma piuttosto volti e voci uno diverso dall’altro, capaci di farci vedere nicchie di realtà e sfumature altrimenti taciute.

Nessuna delle intervistate sembra percepire la presenza di un soffitto di cristallo che impedisce loro di procedere nella carriera accademica; e anzi Zahra, iraniana d’origine, dice che se sei una ricercatrice competente e brava nel tuo campo, a nessuno importa se sei uomo o donna. Eppure, nessuna di loro, eccezion fatta per Francesca, ha famiglia o figli: difficile dire perché. Dai loro racconti, sembra molto semplicemente che, per ora, “è andata così” e questioni come la conciliazione tra vita privata e lavoro o maternità e gestione familiare come possibili ostacoli allo sviluppo di una carriera accademica non hanno ancora fatto capolino - e magari non lo faranno mai - nelle loro vite.

In generale, l’ambiente accademico sembra essere libero - anche se non sempre, come riferisce Eriomina parlando di sue conoscenti discriminate da alcune professoresse - da discriminazioni di sorta, probabilmente perché, come osserva Francesca, è un ambiente già abituato per sua stessa natura all’incontro e alla convivenza tra persone dalle più svariate provenienze e in cui il livello culturale è mediamente alto. Le discriminazioni più forti avvengono invece al di fuori dei laboratori universitari, per esempio in strada, dove le donne musulmane, e in particolare ovviamente quelle velate, sono spesso oggetto di sguardi e frasi poco amichevoli. Tuttavia, come acutamente osserva Egesta, se “l’uomo della strada” discrimina alla luce del sole, in ambito accademico, quando ci sono, le discriminazioni sono più sottili, più “intelligenti” e dunque anche più difficili da affrontare.

Intense sono le parole che molte di queste ricercatrici usano per descrivere la loro scelta di dedicarsi alla scienza: spesso si tratta di una passione nata e coltivata durante il percorso universitario, ma per alcune di loro c’è anche un forte legame con il loro essere islamiche. L’Islam, spiegano, spinge e incoraggia il fedele, sia esso uomo o donna, a conoscere il mondo, a farsi delle domande su ciò che lo circonda e a “darsi una risposta”. Il fedele è infatti “colui che conosce”, dice Egesta.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La COP29 delude. Ma quanti soldi servono per fermare il cambiamento climatico?

Il presidente della COP 29 di Baku, Mukhtar Babayev, chiude i lavori con applausi più di sollievo che di entusiasmo. Per fortuna è finita. Il tradizionale tour de force che come d'abitudine è terminato in ritardo, disegna un compromesso che scontenta molti. Promette 300 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare la transizione, rimandando al 2035 la "promessa" di 1.300 miliardi annui richiesti. Passi avanti si sono fatti sull'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, che regola il mercato del carbonio, e sul tema della trasparenza. Quella di Baku si conferma come la COP della finanza. Che ha comunque un ruolo importante da giocare, come spiega un report di cui parla questo articolo.

La COP 29 di Baku si è chiusa un giorno in ritardo con un testo variamente criticato, soprattutto dai paesi in via di sviluppo che hanno poca responsabilità ma molti danni derivanti dai cambiamenti climatici in corso. I 300 miliardi di dollari all'anno invece dei 1.300 miliardi considerati necessari per affrontare la transizione sono stati commentati così da Tina Stege, inviata delle Isole Marshall per il clima: «Ce ne andiamo con una piccola parte dei finanziamenti di cui i paesi vulnerabili al clima hanno urgentemente bisogno. Non è neanche lontanamente sufficiente.