Ho un nuovo obiettivo: diminuire il mio TTT. E aumentare l'STT. Me l'ha fatto capire Jane, la mia insegnante al corso CLIL. Ma facciamo un passo indietro. La riforma dell’istruzione secondaria prevede l’insegnamento in lingua straniera di una disciplina non linguistica nell’ultimo anno di corso. Ciò dovrebbe accadere tra un paio d'anni. Migliaia di insegnanti in Italia stanno seguendo corsi per apprendere la metodologia CLIL (Content Language Integrated Learning). E io sono una di questi. Non seguo però uno dei corsi organizzati dal Miur, ma uno del British Council. Ed è lì che Jane mi ha detto che in Italia si eccede in TTT (Teacher Talking Time) e si scarseggia in STT (Student Talking Time). Con conseguenti crolli ipnotici degli studenti e afonie degli insegnanti. Perché lo facciamo? Autocompiacimento? Logorrea? Sottovalutazione di ciò che uno studente può dire? Paura di ciò che uno studente ci può chiedere? Inerzia di un vecchio sistema cattedratico basato sulla lezione frontale e sull'annichilimento degli alunni? E' quello che mi sto chiedendo. Vorrei un occhio esterno, un orecchio esterno che mi dica dove sbaglio. Insomma, vorrei un coach. In altre parole, un allenatore. Come gli sportivi, i cantanti, i chirurghi. Sì, anche i chirurghi (almeno uno di loro). L'idea mi è venuta leggendo sul New Yorker la storia di Atul Gawande, un bravo chirurgo statunitense che si è accorto che non stava più migliorando la sua tecnica. Quindi, dopo aver parlato con un coach di tennis, con il violinista Itzhak Perlman e con Jim Knight, direttore del Kansas Coaching Project all'University of Kansas, ha deciso che gli serviva un coach. E l'ha chiesto al suo vecchio professore di chirurgia, il quale ha accettato. Ma prima di accettare di avere qualcuno in sala operatoria che lo guardava mentre operava, Gawande ha fatto un giro per le scuole che partecipano al coaching program di Knight. Ha seguito il coach in classe mentre osservava una bravissima insegnante di matematica. Cosa avrà mai da migliorare? Eppure poi il coach, con tatto e discrezione, senza dare lezioni ex cathedra, ha aiutato la professoressa a capire come poteva coinvolgere anche gli studenti più riottosi. Tornato in sala operatoria, Gawande ha capito grazie al suo coach che avrebbe potuto posizionare meglio le luci, o tenere i gomiti più bassi o aiutare il suo assistente a vedere meglio il paziente. Nel sistema scolastico italiano un blando tentativo in questa direzione era stato fatto con l'istituzione delle SSIS (Scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario) che prevedevano un tutor per i futuri insegnanti, che li monitorasse durante le loro prime lezioni in classe. Ora anche questa figura è scomparsa. Ma l'idea del coach è comunque diversa. L'allenatore non serve solo per le qualificazioni. Serve anche dopo che hai vinto la medaglia d'oro. Voglio un coach. Che mi aiuti a parlare meno.
http://www.newyorker.com/reporting/2011/10/03/111003fa_fact_gawande
http://ec.europa.eu/languages/language-teaching/content-and-language-integrated-learning_en.htm