Tanto per non dimenticarsi delle vecchie questioni, mi pare il caso di rinfrescare per un momento il discorso riguardo agli alberi italiani utilizzati per azzerare la CO2. L'articolo di Anfodillo e Dalla Valle è stato molto seguito, ora il mio invito è quello di dare uno sguardo a questo editoriale pubblicato sulla rivista Sherwood (n.155 luglio-agosto 2009). E' un'analisi chiara e attenta del mercato volontario italiano per l'immagazzinamento della CO2 che completa i temi già affrontati su questo sito. Questa volta si cominciano a fare nomi, si tirano in causa i più attivi “venditori” italiani in tema di stoccaggio: Impatto Zero e AzzeroCO2. Anche i commenti che seguono l'articolo aiutano a chiarire eventuali punti che possono risultare ancora oscuri. Leggete, leggete e cominciate a diffidare...
Secondo punto, insieme a Tommaso (Anfodillo), sto cercando di capire se la stra-citata foresta ungherese sponsorizzata dal Vaticano (si fa per dire, è stata donata al Vaticano dalle due aziende che si dovevano occupare della sua realizzazione) è stata realizzata oppure no. Per chi non lo sapesse, il progetto è del 2007. Già Wired nel marzo scorso aveva sollevato la questione. Riporto citando: "Non un'erbaccia è stata estirpata, non un alberello è stato piantato. Nessun operaio, nessuna recinzione, nessun cartello. Al momento, la Foresta climatica vaticana è una landa piatta di fango e sterpaglie al margine del paesino di Tiszakeszi, 170 chilometri a est di Budapest." Ho rovistato tra siti, blog, fonti più o meno ufficiali ma in rete poco si trova. A parte scoprire che una delle due aziende sponsor, la statunitense Planktos, ancora prima di prendere accordi col Vaticano aveva dimostrato molto interesse per il guadagno e poco per l'ambiente, come denuncia il WWF. E che anche altri si erano accorti che qualcosa non tornava, ad esempio qui. Speriamo di riuscire a fare un pò di luce sulla faccenda al più presto.
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Laura Fedrizzi
Biochimica, Università degli Studi di Padova