La via dell'inferno è lastricata di buone intenzioni. E' il proverbio che viene in mente leggendo Controvento. Il tesoro che il Sud non sa di avere (Mondadori, 2011), saggio romanzato del giornalista di Repubblica Antonello Caporale in cui si mettono in fila alcuni scandali dell'eolico nel Sud italia. La storia è nota: la green economy prevede l'utilizzo di fotovoltaico ed eolico. Ma qualcosa va storto. O meglio: invece di fare le cose per bene, per esempio destinando ai grandi impianti dell'eolico industriale (pali da 180 metri di altezza) zone da riqualificare sufficientemente ventose, negli anni passati aziende nate dal nulla hanno piantato migliaia di pale nele zone più remote e suggestive d'Italia, sui crinali appenninici emiliani e toscani, "sul massiccio del vulcano dormiente del Vulture e sulle distese cerealicole che scendono in Lucania e in Puglia, nella valle del Sele in Campania, il Fortore verso Benevento, con punte in Molise e in Abruzzo. Più a Sud i promontori del Pollino, le serre della calabria: E poi le isole: Sicilia e Sardegna". Una corsa all'edificazione di parchi eolici che ha portato in pochi anni a istallare 5.000 pale per seimila megawatt di capacità, ha generato profitti immensi anche a pale ferme grazie agli incentivi più generosi del mondo, ha dato qualche briciola ad agricoltori che guadagano di più con pale e pannelli che a seminare grano. E ai Comuni che hanno visto nelle nuove fonti energetiche "pulite" una delle poche entrate per sistemare scuole e marciapiedi. Un sogno ecologico finito male, spesso con l'ombra della mafia. Perché, come ha detto non senza ragione il ministro del tesoro Giulio Tremonti, "Il business dell'eolico è uno degli affari di corruzione più grandi". Il libro è notevole non tanto perché dà le cifre di questo affare, ma perché racconta con sensibilità tante storie di comuni piccoli e grandi caduti nella rete delle "petroliere del vento".