fbpx "L'insegnamento del passato" e la valutazione dell'IPCC | Scienza in rete

"L'insegnamento del passato" e la valutazione dell'IPCC

Ormai è chiaro, ci siamo presi a cuore l'argomento e continuiamo quindi il discorso sui cambiamenti climatici anche grazie all’intervento di Giuseppe Orombelli pubblicato oggi. Ci è sembrato necessario considerare le variazioni climatiche del passato per ottenere una migliore comprensione di quelle del presente.

E per “dipanare la complessa matassa dei fenomeni e degli effetti associati ai cambiamenti climatici e individuare contromisure adeguate” (prendo in prestito le parole dall’autore) abbiamo deciso di farci aiutare da Marco Mazzotti del Politecnico Federale (ETH) di Zurigo, Svizzera. Pubblichiamo qui di seguito l’Editoriale che ha pubblicato sulla rivista Inquinamento, Fiera Milano Editore (1 giugno 2009).

I cambiamenti climatici

È possibile dipanare la complessa matassa dei fenomeni e degli effetti associati ai cambiamenti climatici e individuare contromisure adeguate? Gli scienziati ne sono convinti, e il Comitato Intergovernativo per i Cambiamenti Climatici (IPCC) fa il punto dei loro sforzi nei suoi Rapporti di Valutazione, l’ultimo dei quali è stato pubblicato nel 2007. L’IPCC è un organismo fondato nel 1988 dalla Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) e dal Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP) allo scopo di raccogliere e valutare a beneficio della comunità scientifica, dell’opinione pubblica e delle istituzioni la letteratura scientifica, tecnica e socio-economica rilevante per comprendere il rischio associato ai cambiamenti climatici, gli impatti potenziali e le contromisure possibili. L’IPCC, che nel 2007 ha ricevuto insieme all’ex vice-presidente americano Al Gore il Premio Nobel per la Pace, non fa ricerca, né effettua misurazioni di dati o parametri relativi al clima, ma coordina dal suo piccolo ufficio di Ginevra il lavoro di centinaia di esperti di tutto il mondo per produrre rapporti che sono redatti in modo completo, obiettivo, aperto e trasparente e che raggiungano un’alta qualità scientifica e tecnica e una chiara rilevanza politica.

Quali sono le sfide cruciali per chi fa ricerca? Da una parte è necessario comprendere i cambiamenti e i processi climatici osservati, con le loro relazioni di causa-effetto, e valutare l’attendibilità’ delle previsioni dei cambiamenti climatici futuri. Dall’altra c’è l’esigenza di studiare gli aspetti scientifici, tecnologici, ambientali, economici e sociali della mitigazione dei cambiamenti climatici, o in alternativa dell’adattamento ad essi.

Per quanto riguarda il primo punto, i dati e le misurazioni scientifiche presentate nel Rapporto di Valutazione del 2007 ci dicono che il riscaldamento del nostro pianeta è inequivocabile, e ha riscontro nell’aumento delle temperature medie globali dell’aria e degli oceani, così come nello scioglimento diffuso dei ghiacci perenni e nell’innalzamento del livello degli oceani. È altrettanto inequivocabile che tale riscaldamento sia dovuto in gran parte alle attività umane e alle emissioni di gas serra ad esse associate. In particolare l’anidride carbonica nell’atmosfera, emessa a seguito dell’uso di combustibili fossili, ha raggiunto una concentrazione di 380 parti per milione (ppm), rispetto ad una banda di oscillazione tra 180 e 280 ppm nei seicento mila anni precedenti alla rivoluzione industriale. I modelli climatici sviluppati e utilizzati in numerosi laboratori di tutto il mondo concordano nel mostrare che solo includendo gli effetti antropici si può descrivere il graduale aumento della temperatura terrestre negli ultimi cento anni, mentre i meccanismi naturali da soli porterebbero ad un leggero raffreddamento. Gli stessi modelli climatici sono applicati a diversi scenari socio-economici, i quali determinano l’evoluzione futura per esempio dei consumi energetici e delle emissioni di gas serra. L’aumento di temperatura alla fine di questo secolo previsto da tali modelli varia tra 1.4 e 4 gradi centigradi, a fronte di un aumento massimo considerato accettabile di soli 2 gradi.

Al di là dell’incertezza sui valori finali esatti, il Rapporto di Valutazione dell’IPCC del 2007 ha mostrato che allo scopo di mitigare i cambiamenti climatici e di ridurne gli impatti sulla società e sull’ambiente possono già ora essere prese contromisure diverse in settori quali energia, mobilità, agricoltura, edilizia e ha stimato il corrispondente potenziale di riduzione delle emissioni di gas serra, in particolare di anidride carbonica, nel breve e nel medio termine. Per quanto riguarda ad esempio l’energia elettrica tutti gli scenari futuri indicano che ancora per diversi decenni questa sarà prodotta prevalentemente da combustibili fossili. Si stanno pertanto sviluppando e sperimentando tecnologie per la minimizzazione delle emissioni di anidride carbonica da centrali termoelettriche a gas naturale o carbone, cioè la sua cattura nelle centrali e il suo sequestro in formazioni geologiche adatte.

Le emissioni di anidride carbonica evidenziano bene gli ostacoli, di natura non solo tecnica, ma anche normativa ed economica, che si frappongono alla messa in atto su larga scala di provvedimenti di mitigazione dei cambiamenti climatici. Sia l’Unione Europea che ora gli Stati Uniti sembrano preferire regolarle attraverso un sistema di quote di permessi di emissione negoziabili (cap-and-trade), che ha lo svantaggio di essere complesso, aggirabile, e quindi spesso inefficace. Molto meglio sarebbe una tassa sulle emissioni (carbon tax), che garantirebbe semplicità e chiarezza per le imprese, entrate per lo stato e una vera e sana competizione tra tecnologie diverse per uno sviluppo davvero sostenibile.

Marco Mazzotti, Politecnico Federale (ETH), Zurigo

__________________

Laura Fedrizzi
Biochimica, Università degli Studi di Padova