Lo diceva già Victor Lebow, analista del mercato americano nel 1950: "La nostra economia, immensamente produttiva, esige che facciamo del consumo il nostro stile di vita. Abbiamo bisogno che i nostri oggetti si logorino, si brucino, e siano sostituiti e gettati a ritmo sempre più rapido".
Nasce in quegli anni l'idea della obsolescenza programmata degli oggetti. Ed è di questo che parla il libretto scritto da Serge Latouche, "Usa e getta" (Bollati Boringhieri, 2013). L'obsolescenza è una delle figure della trinità del consumismo dispiegato, insieme alla pubblicità e il credito al consumo. Ma mentre alla pubblicità e al credito si può in qualche modo sottrarsi, non altrettanto si può fare con la deperibilità voluta delle merci (anche se qualche "obiettore alla crescita" ci sta rocambolescamente provando…). Nato come testo di accompagnamento al film di Cosima Donniritzer "Pret a jeter/The light bulb cospiracy", il libro del massimo teorico della descrescita è un utile bigino su questo aspetto meno noto della società dei consumi, benché su questo tema si siano già esercitati stuoli di sociologi ed economisti come Vance Packard ("The waste makers") e John Kenneth Galbraith ("The affluent society) a partire dagli anni Cinquanta.
La società industriale - ci ricorda Latuouche - una volta saturati i mercati, entrerebbe in crisi se gli oggetti non dovessero essere sostituiti con una certa frequenza. Ecco perché, già dagli albori della industrializzazione di massa, teorici e imprenditori si pongono il problema del tasso di sostituzione degli oggetti. La risposta è, appunto, la obsolescenza programmata. Bisogna smettere di produrre merci durevoli, che rasentano l'indistruttibilità - o che sono comunque facilmente riparabili - come la mitica Ford T o la lampadina a filamento di carbonio di Edison accorciando in qualche modo la loro durata.
Ecco allora che fra i produttori di lampadine nasce il club delle mille ore (durata dopo la quale le lampadine sono programmate per andare fuori uso). L'obsolescenza quindi rapidamente si fa strada fra le automobili, gli elettrodomestici, i computer. Potremmo dire che a mano a mano che l'elettronica e i circuiti stampati si impongono, questi oggetti diventano irreparabili. Peraltro da un lato la moda e il design (opportunamente manipolati dalla pubblicità) e dall'altro l'avvicendarsi sempre più rapido dei progressi tecnici (le memoria dei computer, le nuove edizioni dei sistemi operativi, ecc.), inducono i consumatori a cambiare i prodotti per restare aggiornati.
Stesso discorso vale per i prodotti alimentari, per i quali si inventa la data di scadenza (fonte di un incredibile spreco di derrate ancora consumabili). E chissà, un domani potrebbe riguardare anche la natura stessa della vita umana, una sorta di "obsolescenza dell'onore" - per usare le parole di Alexis de Tocqueville - "che potrebbe rapidamente portarci a pensare che i matrimoni, la cittadinanza e le altre relazioni personali o sociali sono anch'essi articoli usa e getta" chiosa Latouche.
La crescita si alimenta dell'avvicendamento degli oggetti, va bene. Ma in fondo che male c'è? Non è questo il portato della società di massa e della stesso processo di distruzione creatrice dell'innovazione e dello sviluppo, come sosteneva Schumpeter? Il problema si pone in realtà a diversi livelli: antropologico, simbolico, ma anche e più concretamente a livello ambientale. Si ha oggi la consapevolezza che questo tipo di crescita si scontra con la limitatezza delle risorse (combustibili fossili e materie prime) ed è alla radice di impatti ambientali, dalle emissioni crescente di gas serra alle discariche di computer e telefonini che avvelenano le periferie africane (Ghana e Nigeria soprattutto). Che facciamo allora: decresciamo? Ci prepariamo a uno stato stazionario (come propone Tim Jackson nel suo fondamentale "Prosperità senza crescita", Edizione Ambiente, 2011)? Sono realistiche queste prospettive?
In attesa di scoprirlo, torniamo alle soluzioni che Latouche propone in "Usa e getta":
- Bandire l'obsolescenza programmata: i beni devono essere durevoli, smontabili e riparabili
- Fare un uso collettivo dei beni durevoli (lavatrice di condominio, per esempio)
- Stabilire democraticamente dei tetti ai consumi
- Decolonizzare l'immaginario consumistico, riscoprire i valori della sobrietà e della convivialità.
Non più Homo economicus, ma frugalis. E ludens.
(luca carra)