Per gli standard di Demeter®, in biodinamica possono essere usati gli ibridi di mais ma non di altri cereali. In foto, un campo coltivato. Crediti: Arcaion/Pixabay. Licenza: CC0 Creative Commons
Analogamente a quanto accade in agricoltura biologica, anche in agricoltura biodinamica le aziende agricole devono uniformarsi a specifici standard di processo se vogliono ottenere la relativa certificazione. A seguire, un’analisi puntuale degli standard redatti in tal senso da Demeter®, il marchio registrato a livello globale
Sebbene l’agricoltura cosiddetta “biologica” sia andata sempre più affermandosi nei mercati agroalimentari degli ultimi trent'anni, essa è di fatto molto più giovane della meno conosciuta agricoltura autoproclamatasi “biodinamica”. Quest’ultima nacque infatti nei primi anni venti del 1900 dagli insegnamenti di Rudolf Steiner, personaggio poliedrico e alquanto bizzarro che solo negli ultimi anni della sua vita decise di occuparsi di qualcosa di assolutamente inedito per lui, ovvero l’agricoltura.
Nei suoi insegnamenti Steiner mescolò ciò che dell’epoca vedeva in campo agrario con i suoi convincimenti più esoterici e spirituali, convinto com’era dell’origine dell’Uomo da esseri superiori e che ogni forma di vita fosse intimamente legata ai fatti del Cosmo. Cosmo dal quale giungevano alla Terra, secondo lui, non meglio precisate energie vivificanti che dovevano però essere canalizzate secondo strumenti e rituali ben precisi atti a beneficiarne. Di fatto, almeno nelle intenzioni dichiarate, l’attuale agricoltura steineriana, o biodinamica, anela quindi a essere qualcosa di molto simile a quella praticata nelle aziende agricole a ciclo chiuso di cento anni fa, ammantando il tutto con rituali che affondano le radici nell’animismo cosmico, nell’esoterismo e dell’astrologia.
Se a prima vista ciò può far sorridere un uomo di scienza, come pure un cittadino dotato di un minimo di senso critico, non va comunque sottovalutato dal punto di vista sociale, psicologico e mediatico. Un’ampia porzione della popolazione mostra infatti un’estrema facilità a credere, un po’ meno a pensare. Lo dimostrano i giri d’affari di astrologi e oroscopisti, oppure di maghi e fattucchiere, per non parlare della categoria più perniciosa di tutte, ovvero quella dei sedicenti guaritori ai quali si affidano persone disperate, magari giocandosi in tal modo ogni residua speranza di salvarsi la vita seguendo la medicina ufficiale.
Uno dei primi errori compiuti con la biodinamica è appunto quella di reputarla innocua. Una sorta di curiosità un po’ bizzarra che tanto non potrà mai svilupparsi più di tanto, né fare chissà quali danni, né ai propri clienti, né alla società in senso lato. Al contrario, è proprio tale percezione di innocuità sociale e mediatica a rendere la biodinamica estremamente pericolosa, anche a causa del suo malvezzo, già ampiamente manifestato dal biologico, di demonizzare ogni tecnologia genetica e chimica utilizzata dall’agricoltura ad alta resa, cioè quella moderna. Il marketing del “contro” fa infatti spesso il paio con quello del “senza”. E così, per attrarre più facilmente la clientela, biologico e biodinamico sommergono da anni la popolazione con reiterati messaggi contro gli odiati “pesticidi” e gli ancor più invisi OGM. Ciò grazie anche alla complicità manifesta di una stampa alla perenne ricerca di articoli a effetto più che di senso compiuto, come pure di enti, università e istituti nei quali operano persone che forniscono continuamente appigli atti ad alimentare tali campagne allarmiste di demonizzazione. Una macchina assolutamente efficiente che conta quindi su una rete integrata di soggetti che possono sostenerla dal punto di vista mediatico e perfino politico, visti gli imprimatur ricevuti recentemente perfino dal Ministero dell’Agricoltura.
Per comprendere quindi cosa sia davvero la biodinamica giova rivolgersi proprio a lei, grazie all’analisi degli aspetti brevettuali e dei propri standard di processo. Quegli standard senza i quali nessuna certificazione può essere fornita alle aziende agricole. Sulla agricoltura si legga anche l'articolo di Dario Bressanini su Le Scienze.
Il marchio Demeter® è il marchio collettivo di tutela internazionale dei prodotti biodinamici, registrato a Ginevra. Questa avrebbe ottenuto l’esclusiva per l’uso dell’espressione "agricoltura biodinamica", dall’entità depositaria della sua proprietà intellettuale, ovvero l'Università delle Scienze dello spirito del Goethenaeum, in pratica la scuola di antroposofia svizzera. Il brevetto europeo della parola “biodinamica” pare sia invece appannaggio di tal Edilson Sanches Calvo, entità fisica residente in Portogallo per gli aspetti brevettuali, ma proprietario a presidente di una società brasiliana sita nello Stato del Paranà, ovvero la Biodinamica Quimica e Farmaceutica Ltda. L’applicazione di richiesta brevettuale sarebbe stata depositata il 19 settembre 2007 e pubblicata il 6 luglio 2010. Scadrà il 19 settembre 2027. Fino ad allora, chi vorrà utilizzare il termine “biodinamica” dovrà accordarsi col depositario del brevetto e concordare la royalty da versare in cambio della concessione d’uso. Esistono poi altre varie coperture brevettuali a favore del marchio Demeter, vero punto di riferimento per il business biodinamico.
Da quanto sopra si evince come i tanto vituperati brevetti possano essere vissuti in modo completamente opposto. Se un’azienda farmaceutica brevetta una nuova sostanza attiva, o una di biotecnologie un nuovo organismo geneticamente modificato, pare che ciò rappresenti un furto ai danni dell’intera Umanità. Se è per coprire brevettualmente un nome, pare invece che nessuno trovi la cosa esecrabile, tanto meno chi da quella copertura brevettuale tragga ingenti guadagni in termini di royalties per l’uso di un semplice nome e dell’immagine che da esso deriva.
Come detto, se si vuole poter essere considerati aziende agricole “biodinamiche” è necessario seguire un iter di certificazione e assoggettarsi a specifiche regole procedurali. Il tutto è riassunto nei cosiddetti “Standard di Produzione Demeter”.
Nella parte introduttiva viene riportata, fra le tante, una frase di Rudolf Steiner che risulta emblematica, anche se oggi può in effetti risultare imbarazzante per gli attuali biodinamici, visto che nei fatti pare proprio non si comportino più in linea con gli insegnamenti stessi del proprio Maestro:
Un’azienda agricola si realizza nel miglior senso della parola se può venire concepita come una specie di individualità a se stante, come un’individualità chiusa in se stessa. In senso assoluto questo non potrà essere raggiunto, ma l’azienda deve cercare di avvicinarsi il più possibile alla condizione di essere un’individualità conchiusa in se stessa. Rudolf Steiner (Opera Omnia 327, “Corso su l’agricoltura”, II conferenza)
Oggi, tali affermazioni di Steiner vengono spesso bollate dai biodinamici come “decontestualizzate”, quindi da non prendersi per ciò che dicono letteralmente. Una sorta di linguaggio figurato, facilmente comprensibile agli agricoltori, quindi da interpretare. Un atteggiamento, quello dei biodinamici, molto simile a quello di chi difenda un testo sacro dai detrattori che ne usino i contenuti per evidenziarne le fallacie e le palesi contraddizioni. Peccato che proprio sulle esternazioni più imbarazzanti di Rudolf Steiner si fondi in modo diretto e indiretto l’intero impianto comunicativo del seducente business coperto dal marchio Demeter®.
Oltre ai principi generali, incentrati su una non meglio specificata “vivificazione” dei terreni, scorrendo gli Standard Demeter® si può apprendere per esempio (pag. 32) che sono proibiti come sementi e materiali da propagazione non solo gli ogm tal quali, ma perfino ciò che da essi deriva o che derivi comunque dall’applicazione di nanotecnologie. Interessante che proprio a novembre 2018 la biodinamica sia ospite del Politecnico di Milano per il proprio convegno, quando presso il medesimo ateneo è attivo un corso di laurea proprio sull’ingegneria dei materiali e sulle nanotecnologie.
Inoltre, vi sono alcune tegole che potrebbero cadere sulla testa della biodinamica il giorno in cui l’Unione europea dovesse tramutare in Direttiva o Regolamento la decisione presa in tema di OGM nel luglio 2018 dalla Corte di Giustizia europea, di cui si riporta uno stralcio per semplicità:
Con l’odierna sentenza, la Corte considera, innanzitutto, che gli organismi ottenuti mediante mutagenesi sono OGM ai sensi della direttiva sugli OGM, nei limiti in cui le tecniche e i metodi di mutagenesi modificano il materiale genetico di un organismo secondo modalità che non si realizzano naturalmente. Ne consegue che tali organismi rientrano, in linea di principio, nell’ambito di applicazione della direttiva sugli OGM e sono soggetti agli obblighi previsti da quest’ultima. La Corte constata, tuttavia, che dalla direttiva sugli OGM emerge che quest’ultima non si applica agli organismi ottenuti per mezzo di determinate tecniche di mutagenesi, ossia quelle che sono state utilizzate convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza. La Corte precisa, tuttavia, che gli Stati membri sono liberi di assoggettare siffatti organismi, nel rispetto del diritto dell’Unione (in particolare delle norme relative alla libera circolazione delle merci), agli obblighi di cui alla direttiva sugli OGM o ad altri obblighi. Infatti, la circostanza che tali organismi siano esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva non significa che le persone interessate possano liberamente disseminarli nell’ambiente in modo deliberato o immetterli sul mercato nell’Unione. Gli Stati membri hanno così la facoltà di legiferare in tale settore nel rispetto del diritto dell’Unione, in particolare delle norme relative alla libera circolazione delle merci
In sostanza, se a tale giudizio della Corte farà seguito la necessaria parte normativa, nel grande crogiuolo degli ogm finiranno non solo le più moderne tecniche di manipolazione genetica note come genome editing, bensì anche le molto più attempate tecniche di manipolazione tramite irraggiamento con radiazioni oppure sostanze mutagene. In pratica, agli occhi della normativa diverrebbero ogm anche centinaia di altre varietà oggi considerate “normali”, pur discendendo da tali pratiche mutagene innaturali.
Ora, si provi a immaginare se tale decisione divenisse Legge, dove andrebbero a finire le varie scritte “Non contiene ogm” su grissini, crackers, biscotti e tanti altri prodotti che fino a ora hanno cavalcato il marketing del “senza”. Allo stesso modo, gli agricoltori biologici e biodinamici dovrebbero effettuare una selezione molto più stretta delle varietà coltivabili. In pratica, potrebbero usare serenamente tutto ciò che deriva da epoche ante-guerra, quelle in cui la mutagenesi per radiazioni e agenti mutageni ancora non esisteva. Dovrebbero cioè tornare alle varietà coltivate che esistevano appunto all’epoca di Steiner o di poco successiva.
In attesa di eventuali sviluppi sul tema OGM, si analizzeranno ora altri limiti auto-imposti dallo Standard Demeter®. Per esempio, quello che riguarda gli
Ibridi di cereali, con eccezione del mais (Zea mays) sono esclusi per la produzione di mangimi e alimenti. Sementi e materiale vegetale, prodotti usando tecniche di fusione di protoplasti e citoplasmi, sono vietati (pag. 7)
Sebbene non siano OGM, il solo fatto di essere ibridi pone tali colture al di fuori degli standard Demeter®. Ma non tutte. In sostanza e per somma contraddizione, un orzo ibrido come quelli del brand Hyvido di Syngenta non può essere seminato in biodinamica, mentre i mais ibridi, sempre di Syngenta, invece sì. Ciò perché è molto difficile trovare varietà non ibride di mais, dato che dal secondo dopoguerra gli ibridi hanno progressivamente preso piede cancellando quasi del tutto il mais coltivato ante-guerra. Eppure, alcune di queste varietà impropriamente definite "antiche" sono reperibili in Italia.
C’è però un limite molto serio a tali cultivar non ibride: la produttività. Se l’agricoltura biodinamica si privasse degli ibridi di mais moderni salterebbe buona parte della propria efficienza, soprattutto in campo zootecnico. Allevare vacche da latte, per esempio, implica una grande quantità di foraggi, di cui una fetta importante è rappresentata appunto dal mais. Limitarsi a coltivare varietà obsolete in luogo di ibridi moderni potrebbe ridurre la produttività finale anche dell’80%. Una perdita che neanche un biodinamico, evidentemente, è disposto a subire. Con buona pace di Rudolf Steiner, all’epoca del quale gli ibridi ancora non esistevano.
“L’intensificazione della vivificazione del suolo”, si legge a pag. 8, deve derivare soprattutto dal letame prodotto dagli animali domestici, con particolare riguardo a quello bovino. Abbastanza naif il test per verificare poi tali pratiche durante i controlli degli ispettori Demeter®, i quali effettuano la cosiddetta “prova della vanga”, avente il fine di valutare la struttura del suolo e la vitalità del medesimo.
Limiti decisi anche per la quantità totale di azoto apportato con la concimazione. Tale elemento non deve infatti superare come valor medio, in osservanza delle rotazioni colturali, la quantità che verrebbe prodotta dall’azienda in caso questa allevasse il proprio bestiame, basandosi solo sui foraggi prodotti autonomamente. Se invece lo acquista da altre aziende ciò va tenuto in conto, cercando di rispettare un limite massimo di 1,4 unità di concime per ettaro.
E qui già s'intravedono le prime violazioni agli insegnamenti di Steiner, il quale prevedeva un’agricoltura operante in fattorie praticamente a ciclo chiuso: le colture dovevano ricevere come concime solo quello che derivava dai contadini stessi, rendendo poi loro cibo in quantità direttamente proporzionale. In sostanza, quello che accadeva davvero alla sua epoca, quando l’agricoltura era appunto di sussistenza e serviva per lo più a sfamare i contadini stessi.
Dai punti toccati dagli standard Demeter®, invece, pare che oggi siano ritenuti plausibili ingressi di foraggio dall’esterno, come pure di letame e concimi organici in caso non vi siano capi di bestiame all’interno dell’azienda, come per esempio accade in aziende che producano ortaggi e che non abbiamo allevamento annesso. Punto specificatamente previsto da Demeter® la quale, trovato l’inghippo, ha subito studiato la soluzione. Resta da vedere cosa direbbe Steiner nel vedere il suo “organismo azienda”, concepito come avvolto da una pelle immaginaria, scambiare con l’esterno sia i fattori di produzione, come i foraggi, sia i fattori di fertilizzazione, ovvero il letame.
Infatti, risulta possibile per le aziende biodinamiche acquistare fertilizzanti organici fra quelli disponibili in commercio, come prodotti secondari della trasformazione, quali i concimi di pura sostanza cornea, farina di ossa, o farina di carne-ossa, ma anche sangue di bue, scarti di peli, penne e prodotti analoghi seguendo in tal modo qualsiasi altra azienda agricola operante nel settore. Unico limite: devono essere autorizzati da Demeter®. Il loro utilizzo, però, appare “flessibile”, in quanto negli stessi standard Demeter® relativi ai prodotti utilizzabili compare la dicitura “quando possibile da animali certificati Demeter o bio”. Perciò, per deduzione, significa che se non è possibile trovarli certificati, si possono usare anche i prodotti derivanti da agricoltura integrata.
E sono proprio tali forme di flassibilità usate dal biodinamico, ma anche dal biologico, che dovrebbero far comprendere quanto sia sbilanciato un sistema colturale che ripudi alcune pratiche o alcuni prodotti, salvo però tenersi aperta la porta a deroghe o, appunto, “flessibilità” in caso di bisogno. Ciò implica infatti che se l’approccio bio e biodinamico venissero applicati con stretta rigidità, forse non sarebbe stato necessario scrivere questo articolo, in quanto tali forme di agricoltura non esisterebbero più da molto tempo, essendo collassate sui propri stessi limiti oggettivi.
Interessante poi il limite posto per l’azoto circa le colture perenni “nei climi tropicali e subtropicali”. A queste aziende è permesso apportare fino a un quantitativo massimo di azoto pari a 170 Kg/ha, ma solo se tale macroelemento venga asportato in ragione maggiore a 96 Kg/ha. A tal proposito vale la pena effettuare una specifica considerazione: una bovina da latte con postazione fissa con lettiera, allevata in modo intensivo, produce circa 16 tonnellate di letame fresco l'anno (Fonte: Crea). Però il letame va lasciato maturare e ciò comporta un calo netto di peso, sia per la perdita di acqua, sia per la perdita di sostanza secca, dovuta per esempio al metabolismo dei microrganismi che “maturano” il letame stesso, consumandolo parzialmente. La sostanza secca, cioè quella che realmente nutre il terreno, passa così dal 20-30% nel letame fresco al 15- 25% in quello maturo. La massa volumica del letame (t/m3) sale infatti da 0,35 nel letame fresco a 0,8 in quello maturo. Alla fine del processo, più o meno lungo a seconda delle condizioni, per ogni tonnellata di peso vivo del bovino si ottengono 53 kg di azoto da restituire al campo in forma di letame maturo. Ma una vacca mediamente pesa 600 chilogrammi, quindi il numero di chili si riduce a soli 32 kg circa di azoto per capo.
Se si pensa che per ogni quintale di granella prodotta da un campo di mais vanno impiegati circa 2 chilogrammi di azoto, per ottenere una produzione intorno ai 150 q/ha servono quindi 300 kg/ha di azoto. Ciò implica l'utilizzo di 652 kg/ha di urea al 46% di azoto (fertilizzante di sintesi), oppure 60 tonnellate di letame maturo, il quale contiene azoto in ragione dello 0,4-0,6%. Usando in agricoltura solamente i sopra citati 170 kg N/ha, la produzione non può che calare vistosamente, nonostante siano applicati quasi 34 tonnellate di letame maturo per ettaro.
Inoltre, considerando che il letame abbonda solo in alcune specifiche province ad alta densità zootecnica, di tipo intensivo, il reperimento stesso del letame sarebbe impresa ardua se un giorno tutta l’agricoltura nazionale diventasse biodinamica. Basti pensare che nelle colture arboree, ovvero piante da frutto e viti, si arriva fino a 60 tonnellate per ettaro di letame, da somministrarsi al momento dell’impianto, alle quali seguono altre 25-35 tonnellate per ettaro ogni 4-5 anni nelle colture in produzione (Cristina Micheloni, "Vita in campagna").
Ben si comprende come presto le aziende biodinamiche sarebbero obbligate a dotarsi di capi di bestiame da allevarsi in proprio, praticamente solo per la produzione di letame. Un assurdo logico, se non fosse che magari tali bovine, se da latte, potrebbero andare a colmare parzialmente la dipendenza italiana dall’estero. Il tutto collidendo però con le istanze ambientaliste e animaliste che vedono i bovini quali nemici numero uno dell’ambiente a causa delle emissioni di gas serra a essi attribuite. L’unica alternativa sarebbe appunto quella usata ai tempi di Steiner nelle aziende a ciclo chiuso, ovvero sacrificare una parte della superficie coltivabile seminando colture da sovescio, come le leguminose, oppure essenze poco coltivate come il grano saraceno o la Phacelia tanacetifolia, pianta mellifera. In tal caso, però, si eviterebbe sì di aumentare il carico carbonico nell’atmosfera dovuto agli animali, ma si sacrificherebbero parti importanti di superfici che dovrebbero invece produrre cibo edibile per l’Uomo, cioè lo scopo stesso dell’agricoltura.
In sostanza, ogni attenzione portata al terreno e all’ambiente si tradurrebbe presto in un calo verticale nella disponibilità di cibo, obbligando l’Italia a moltiplicare le importazioni dall’estero e a ricorrere sempre più di frequente all’odiosa pratica del land grabbing (furto di terra) ai danni dei Paesi in via di sviluppo, pratica da sempre giustamente stigmatizzata proprio da ecologisti, biologici e biodinamici. Un corto circuito logico, quindi, dal quale non pare possibile uscire se non utilizzando nuovamente ogni strumento tecnico utile alla moltiplicazione delle rese: genetiche moderne, fertilizzanti di sintesi e agrofarmaci. Perché anche su quest’ultimo punto la biodinamica si è autoimposta limitazioni molto severe.
Il disciplinare Demeter per la difesa delle colture appare più restrittivo di quello biologico. Pur ammettendo prodotti come il piretro e l'azadiractina (olio di Neem), a essi aggiungono decotti di Quassia amara, macerati di ortica, decotto di equiseto o infuso di assenzio. Questi preparati servirebbero a stimolare la produzione di difese endogene delle piante contro malattie e parassiti. C’è un solo problema, oltre a quello della valutazione della reale efficacia: calcolare il numero di ettari da coltivare a ortica, equiseto e assenzio per sostenere la domanda di tali estratti e macerati se tutta l’agricoltura italiana divenisse biodinamica. Un ragionamento analogo a quello già effettuato per le bovine da adibire alla produzione di letame.
Al di là però dei decotti e dei macerati d’erbe, fra i prodotti utilizzabili compare anche qualche pesticida. Di origine naturale, ma pur sempre pesticidi sono. Per esempio Spinosad, insetticida commercializzato dalla multinazionale americana Dow AgroScience, ora Corteva dopo la fusione con DuPont Crop Protection. Autorizzato nel biologico per via della sua origine batterica, spinosad è ammesso anche in agricoltura biodinamica, pur essendo necessario all’agricoltore richiedere una specifica autorizzazione da Demeter.
Utilizzabili appaiono anche i pesticidi a base di Bacillus thuringiensis, batterio che vive nel terreno e che produce una tossina letale per le larve dei lepidotteri, le più perniciose fra i diversi insetti che attaccano le colture agrarie. Tali preparati, regolarmente registrati come prodotti fitosanitari (chiamati comunemente “pesticidi”) presso il Ministero della Salute, sono in grado di proteggere le colture tramite la medesima tossina contenuta nelle piante OGM resistenti ai lepidotteri. Il gene che infatti è stato trasferito nel loro DNA è stato appunto ricavato dal Bacillus thuringiensis. In altre parole, in biodinamica si aborrono gli OGM ma si usano i batteri dai quali quei geni sono stati ricavati.
Peraltro, da un punto di vista della contaminazione ambientale, è facile calcolare come un campo di mais GM resistente agli insetti immetta nell’ambiente col polline una dose migliaia di volte inferiore a quella immessa con un trattamento insetticida operato con preparati a base di Bacillus thuringiensis.
Altra sorpresa: l’utilizzabilità in biodinamica di feromoni attrattivi per gli insetti. Queste sostanze sono molto utili perché confondono i maschi di alcune specie fitofaghe e impediscono loro di incontrare le femmine con cui riprodursi. Evitano cioè l’uso a posteriori di insetticidi ovicidi e larvicidi. Peccato che tali feromoni non siano affatto “naturali”, bensì siano i rispettivi analoghi di sintesi. Per produrli, infatti, si ricorre a processi chimici industriali che portano alla sintesi di tali molecole. Per coerenza, data la loro origine sintetica, la biodinamica dovrebbe astenersi dall’utilizzarli. Ma a quanto pare Steiner è ormai lontano nel tempo e, peraltro, alla sua epoca i feromoni non si sapeva nemmeno cosa fossero.
Contro i patogeni fungini può essere ovviamente usato zolfo, ma anche bicarbonato di sodio e silicati di sodio e di potassio. Anche il tanto vituperato rame può essere impiegato contro patogeni quali per esempio la peronospora della vite, ma solo fino a 3 kg/ha per anno, fino a un massimo di 15 kg/ha nei cinque anni. Cioè un chilo in meno di quanto potrebbe ritrovarsi come limite il rame nel 2019, cioè 4 kg/ha per anno, se la normativa europea procedesse nell’iter di riduzione di questo metallo pesante negli usi agricoli. Fra i biodinamici c’è ovviamente chi si vanta di coltivare uva da tavola senza utilizzare rame, ma ciò avviene nei climi caldi del Sud, magari sotto tendone al riparo dalle piogge infettanti. Luoghi e situazioni dove quindi la peronospora poco attecchisce. Si provi invece a non usare rame nelle colline del Prosecco e forse si capirà la differenza fra vincere facile e combattere la Natura quando si palesi sotto forma di miliardi di spore di funghi patogeni affamati di cellule vegetali.
Molecola poliedrica, giunge infine il polisolfuro di calcio, dotato di proprietà insetticide e anticrittogamiche. Presenta una maggiore causticità rispetto al polisolfuro di bario per la sua maggiore alcalinità. Deve essere pertanto usato con precauzione per trattamenti su specie e cultivar sensibili, come per esempio il pesco, sulle quali può provocare ustioni sui rametti e accecamento di gemme. L'efficacia insetticida si limita però all'azione anticoccidica contro diversi diaspini (tipi di cocciniglie) mentre l'azione fungicida si esplica sulle forme svernanti di ticchiolatura, bolla, corineo e oidio. Alti risultano i suoi dosaggi per ettaro: dai 12 ai 39 chilogrammi per l’unico formulato attualmente registrato e in regola con le leggi italiane. Tale pesticida, oltre a sviluppare uno sgradevole odore di uovo marcio, ha peraltro un profilo tossicologico tutt’altro che favorevole dal punto di vista della tossicità acuta. Per ingestione nello stomaco si forma H2S, ovvero l’acido sulfidrico. La LD50 su ratto (dose letale per il 50% delle cavie oggetto di prova) è infatti di 820 mg/kg di peso corporeo. In sostanza il polisolfuro di calcio è quasi sette volte più tossico del vituperato glifosato, erbicida commercializzato per circa quarant'anni da Monsanto, prima di essere assorbita da Bayer.
I sintomi da intossicazione acuta da polisolfuro di calcio sono mal di testa, nausea, vomito, tremori, amnesia e difficoltà respiratorie, convulsioni, cianosi e anche paralisi respiratoria, con conseguente arresto cardiaco. L’ingestione può causare inoltre irritazioni anche gravi all’apparato gastrointestinale. In caso di inalazione dei vapori si verifica irritazione delle vie respiratorie, potendo avere effetti anche irreversibili in caso di contatto con gli occhi. Una sostanza la quale richiede quindi molta attenzione da parte degli utilizzatori, come pure nei confronti di eventuali astanti e confinanti. Chi quindi si è persuaso di poter risolvere i propri problemi con i vicini viticoltori, inducendoli a convertirsi al biologico o a biodinamico, rischia di restare molto deluso.
Un paragrafo a sé lo meritano infine le colture protette, in serre di vetro o di plastica. Perché anche la plastica pare consentita dagli standard Demeter® pur essendo un derivato del petrolio, nonché uno degli inquinanti ambientali sui quali si sono concentrate ultimamente le maggiori attenzioni della ricerca, visti i danni prodotti all’ecosistema acquatico, sia con i frammenti di grandi dimensioni, sia con le microplastiche che entrano nella catena alimentare, giungendo fino all’uomo. Anche il riscaldamento artificiale delle serre è concesso, usando quindi anche combustibili fossili si presume, ma con l’invito a minimizzarlo. Ammessi, ma solo dopo concessione di deroga da parte di Demeter®, i trattamenti del terreno con il vapore, necessari alla sua igienizzazione dai patogeni terricoli.
Allevamenti e medicinali
Rudolf Steiner era ormai scomparso da quattro anni quando nel 1928 Alexander Fleming scoprì quella sostanza che noi avremmo poi chiamato penicillina. All’epoca di Steiner gli antibiotici negli allevamenti erano quindi assenti. Ma tutto si evolve e quindi anche l’uso degli antibiotici è oggi contemplato negli standard Demeter® su “bovini grandi e piccoli, camelidi, equini, cervi e scrofe”. Sebbene infatti l’uso di antibiotici sia tendenzialmente vietato in biodinamica, quel “tendenzialmente” lascia come al solito aperta la porta al loro utilizzo in caso di necessità. Esattamente come avviene in zootecnia intensiva, nella quale l’uso degli antibiotici come promotori della crescita è ormai proibito da anni e le loro applicazioni vengono decise solo dopo visita veterinaria, venendo poi riportate in appositi registri aziendali. L’avvento prossimo della cosiddetta “ricetta elettronica” migliorerà ulteriormente il monitoraggio degli usi di tali sostanze negli allevamenti. Bio e non.
Analogamente a quanto visto in precedenza per i pesticidi, anche in biodinamica gli antibiotici sono quindi ammessi “in casi di comprovata emergenza”, prevedendo per i singoli animali un massimo di tre cicli di trattamenti l'anno e solo sotto controllo veterinario. Tutt’altro che un uso simbolico, quindi. Ancora una volta si deve registrare come la biodinamica, ufficialmente contraria a ogni “diavoleria” chimica e genetica moderna da agricoltura intensiva, quando si tratta di affrontare patologie vegetali o animali a quelle stesse “diavolerie” ricorre, seppur ammantando tali usi con un crisma di eccezionalità, vincolandoli a specifiche deroghe concesse da Demeter®. Deroghe che si dubita possano mai esser negate a fronte di animali malati e da curare. Cioè quello che succede ogni volta che ci sia bisogno di un antibiotico in qualsiasi allevamento civile.
Oltre ai patogeni vi sono però anche i cosiddetti ectoparassiti, ovvero quegli animali di ridotte dimensioni che possono generare problemi e disagi ai capi allevati, come per esempio l’acaro Sarcoptes scabiei, agente della scabbia, oppure le larve di mosche, molto abbondanti negli allevamenti. Per fronteggiarli, agli animali colpiti possono essere somministrati una volta all’anno specifici formulati a base di ivermectina oppure doramectina, sostanze attive atte a uccidere tali parassiti, ma non solo. La loro applicazione è consentita in biodinamica anche contro i cosiddetti “elminti”, ovvero dei vermi parassiti intestinali. Ovviamente dopo diagnosi veterinaria, cioè quello che accade anche in ogni allevamento intensivo condotto in modo razionale.
Contro zecche e mosconi sono infine ammesse applicazioni locali con piretroidi, ovvero le versioni modificate delle piretrine naturali. Quindi, molecole di sintesi inventate dall’Uomo. Anche il già citato Spinosad può essere applicato in zootecnia per il controllo dei pidocchi e delle mosche negli allevamenti di pecore e capre.
In sostanza, non solo la biodinamica usa abitualmente strumenti chimici per la cura di piante e animali, fatto che non trapela mai a favore del consumatore, ma ricorre perfino a sostanze attive che appartengono a famiglie chimiche solitamente criminalizzate proprio da biologico e biodinamico, ovvero pesticidi di sintesi e antibiotici. Una mancanza di coerenza che caratterizza da sempre tali forme di business agroalimentare.
L'acqua da irrigazione è fattore fondamentale per il mantenimento in vita delle colture e per la produttività finale delle medesime. Vi è però un problema: l’acqua normalmente utilizzata per irrigare i campi deriva da canali che a loro volta l’hanno attinta dai fiumi. In essi è però presente un mix alquanto eterogeneo di sostanze inquinanti, di sintesi o meno. A parte la presenza di agrofarmaci, molto diffusa spazialmente seppur irrisoria in termini di concentrazioni, nelle acque superficiali sono presenti altre molecole che con gli agrofarmaci nulla hanno a che fare. Perché così come gli agricoltori usano diserbanti, fungicidi e insetticidi, i cittadini inurbati usano - e talvolta ne abusano – antibiotici, antinfiammatori, analgesici, ormoni, prodotti per la cura della persona e perfino sostanze psicotrope. Per esempio, l’Istituto Mario Negri di Milano ha trovato cocaina nel fiume Po . Negli Stati Uniti sono stati trovati ormoni in fiumi e laghi. Infine, in Spagna ben 43 differenti farmaci sarebbero stati rinvenuti nel fiume Ebro che scorre lungo la Catalogna. Ed è normale che sia così, perché nelle urine dei cittadini finiscono farmaci e prodotti per la cura della persona così come nelle acque reflue dei campi finiscono gli agrofarmaci.
Chiarito quindi quanto appaia difficile trovare una fonte di acqua irrigua esente da qualsivoglia contaminazione, ci si deve interrogare sul divieto di utilizzo in biodinamica di acqua “contaminata da residui di pesticidi, batteri o parassiti, i quali possono causare malattie o contaminare il prodotto finale”. Quasi una chimera, in un mondo che quanto a contaminazione antropica è ormai giunto a livelli quasi totalizzanti.
Da quanto emerso dallo studio degli standard Demeter® per l’agricoltura biodinamica si può concludere che: