Processo di approvazione del PNACC e collegamento con il Green Deal

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1. Introduzione

Nelle prime pagine del Piano Nazionale per l’Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) si ripercorre la procedura multilivello attraverso cui lo stesso ha avuto origine e si è poi sviluppato, sino a essere approvato dal Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (MASE).

In tale sede si legge che è l’Accordo di Parigi, all’art. 7, che “fissa l’obiettivo globale dell’adattamento e prevede, per il suo conseguimento, che ciascuna Parte si impegni in processi di pianificazione dell’adattamento e nell’attuazione di misure” (p. 4). Il documento richiama poi l’adozione del Green Deal europeo (GDE)1 e la Strategia dell’Unione per l’adattamento ai cambiamenti climatici. Quindi fa riferimento al Reg. (UE) 2021/11192, che rafforza proprio gli obiettivi della strategia citata e, “integrando nell’ordinamento dell’UE l’Accordo di Parigi e l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, prevede che gli Stati membri adottino e attuino strategie e piani nazionali di adattamento” (p. 5). Come si vede da queste prime parole, il PNACC ha uno svolgimento a cascata, organizzato su più livelli tra loro comunicanti e non separati in modo netto, ma con funzioni distinte e, al contempo, obiettivi e approcci condivisi. Questi ultimi, aventi matrice sovranazionale, consistono in: diminuire l’impatto dell’innalzamento delle temperature attraverso azioni in grado di mitigarne l’effetto sulle persone e sui territori, quindi ridurre al minimo possibile i rischi derivanti dai cambiamenti climatici, migliorare la capacità di adattamento dei sistemi socioeconomici e naturali, nonché trarre vantaggio dalle eventuali opportunità che si potranno presentare con le nuove condizioni climatiche.

La definizione del contenuto delle azioni da intraprendere e le varie misure attuative per poter raggiungere gli obiettivi condivisi spettano agli esecutivi nazionali e agli enti del territorio. Seguendo un processo preparatorio che è sia sovranazionale sia domestico, gli Stati redigono documenti come il PNACC, che, pur trovandosi a valle della catena attuativa delle politiche di adattamento, non costituisce l’ultimo step dell’iter procedurale, giacché è prevista anche una fase ulteriore, da concretizzarsi tramite attività e strumenti per porre in essere le misure previste dallo stesso Piano. Con riferimento al processo che ha condotto all’adozione del PNACC, si evidenziano due aspetti: la natura ibrida e multilivello delle politiche pubbliche per la transizione ecologica, con un movimento discendente, top-down (§ 2); le garanzie di apertura e partecipazione che favoriscono il dialogo con gli interessati, quindi un approccio (anche) bottom-up, con il contributo attivo delle collettività e degli stakeholders (§ 3).

2. Una pianificazione ibrida e multilivello

La scelta di dare centralità agli strumenti di adattamento ai cambiamenti climatici è, come detto, portata avanti sia dall’Accordo di Parigi, sia dal Regolamento UE n. 1119/2021. È proprio il PNACC a richiamare il quadro giuridico di riferimento: ricostruendo la cornice normativa internazionale (pp. 8-10); facendo riferimento agli atti dell’UE, segnatamente quelli che compongono il GDE, con l’obiettivo della neutralità climatica del continente entro il 2050 (pp. 11-13); menzionando infine anche le norme interne in tema di adattamento ai cambiamenti climatici3.

Il PNACC, quindi, nasce da un percorso articolato, traducibile in un modello di programmazione ibrida o multilivello, che descrive lo stato dell’arte e le maggiori problematiche ed esigenze, che definisce le azioni da intraprendere e i soggetti da coinvolgere e che prevede una serie di attività, anche a carattere obbligatorio o limitativo, in capo a soggetti pubblici e, indirettamente, anche privati. Questo iter, nondimeno, si compone di più fasi, che interessano diversi ordini giuridici: a livello internazionale si riconosce il bisogno di intervento da parte dei poteri pubblici e si affida tale compito agli Stati nazionali; in ambito europeo si definiscono alcuni vincoli e si fissano gli obiettivi comuni, nonché l’approccio; in ambito nazionale e subnazionale sono finalizzate la strategia, le politiche e le misure concrete per intervenire secondo il disegno comune.

Emerge un quadro giuridico-regolatorio che presenta due caratteri importanti: una struttura multilivello e policentrica e l’utilizzo di programmazioni ibride, per favorire un collegamento e una combinazione tra i livelli di governo e i centri di potere coinvolti.

Sotto il primo profilo, si deve partire dalla premessa che la globalizzazione della regolazione ambientale è stata, sinora, più lenta di quella avvenuta in altri settori (finanza, commercio, tutela della salute, sicurezza alimentare; internet; ecc.), producendo un’armonizzazione ridotta degli strumenti pubblicistici per la cura di una materia di rilevanza mondiale, con obiettivi di tutela universali. Al contempo, sono stati adottati testi legali, strumenti normativi e approcci comuni per affrontare il problema della salvaguardia ambientale e dei cambiamenti climatici; con uno sviluppo peculiare a livello regionale, segnatamente nell’area europea. Parallelamente, resistono la discrezionalità politico-amministrativa e i poteri di regolazione e attuazione in ambito statale e infra-statuale, rispetto alle dinamiche proprie della global governance. Con un passo in avanti, dovuto al Green Deal, la cui strategia è proprio mantenere distinti l’ambito domestico e quello ultra-statuale, creando però un ponte tra obiettivi comuni, sovranazionali, e l’attuazione di politiche pubbliche tese a risolverli, affidate agli attori nazionali o subnazionali4.

Questo approccio presenta dei limiti: non essendo in grado di uniformare le politiche ambientali a un livello elevato ed efficace di tutela, consente resistenze e inazioni in ambito domestico. Nondimeno, comporta anche dei vantaggi: favorisce la capacità di adattarsi e di adeguare le misure alle esigenze locali e alle loro caratteristiche; migliora l’interazione con la società civile, incrementando il contributo dei privati, nonché l’adesione di questi ultimi al processo di cambiamento; aumenta la diffusione di buone pratiche e la competizione virtuosa tra gli attori del processo, incentivando una race to the top tra le varie politiche pubbliche che non sarebbe possibile se il sistema fosse interamente armonizzato e gestito al centro.

Questi aspetti sono centrali proprio nelle azioni relative all’adattamento climatico perché in tale ambito – più che in altri – le soluzioni devono tener conto del territorio e delle sue esigenze e devono essere organizzate e realizzate in ambito domestico, se non locale, e non imposte da istituzioni esterne e lontane dai luoghi di attuazione.

Al fine di rendere efficace ed efficiente il dialogo tra livello centrale e quelli periferici, si adopera, come detto, un modello ibrido di programmazione. Per questo il PNACC è il portato di una pianificazione cominciata con i Nationally Determined Contributions (artt. 3, 4 e 6, Accordo di Parigi), proseguita con gli obiettivi comuni del GDE e del Reg. n. 1119 e quindi finalizzata con la Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici e il Piano. Come avviene anche in altri ambiti di rilevanza ambientale (agricoltura, trasporti, energia, fondi sociali, NextGenEU, ecc.), la pianificazione è ibrida, perché collega e innesta tra loro le programmazioni della Commissione con quelle degli Stati membri. Ciò, peraltro, è visibile anche in termini di finanziamento, giacché, come si legge nello stesso Piano, “la programmazione economica nazionale si associa a quella europea, contribuendo al co-finanziamento dei programmi con risorse proprie, ma limitandosi a selezionare le priorità di spesa già definite in sede europea” (PNACC, p. 96).

Il sistema di doppia programmazione serve ad anticipare e a co-definire le politiche di regolazione, che sono rese note e organizzate tra Ue e Stati: si instaura quindi un dialogo che prevede un controllo della prima sui secondi, ma anche un margine di decisione ampio in capo a questi ultimi, investiti del potere di definire il contenuto delle programmazioni. Il modello anticipa, internalizza e sottopone al negoziato conflitti e differenze e risulta potenzialmente efficace per realizzare politiche radicali, controverse e ambiziose come il GD. Tuttavia, lo stesso istituto presenta insidie, ostacoli e costi non indifferenti – su tutti quelli relativi alla capacità delle amministrazioni pubbliche di programmare interventi da svolgere secondo un disegno efficace e di successo5 – e ha bisogno di regole chiare e predefinite, segnatamente se articolato su più piani di governo; senza tralasciare il rischio di non ottenere interventi adeguati al livello di impegni previsti per raggiungere gli obiettivi comuni.

3. Il contributo bottom-up e l’apertura agli stakeholders

Il processo di redazione e definizione del PNACC ha un’origine “top-down”, sovranazionale, che poi si sviluppa e si afferma a livello domestico. A ciò va aggiunto il contributo fornito dai privati portatori di interessi, con un approccio che tiene quindi conto di opinioni, proposte e osservazioni mosse dalla società civile e, pertanto, produce un movimento dal basso, di tipo “bottom-up”.

Se ne ha conferma, in primo luogo, dalla predisposizione di uno strumento informativo per consentire ai cittadini di apprendere dati e informazioni sul Piano e sui temi che esso affronta: la “Piattaforma nazionale sull’adattamento ai cambiamenti climatici” (PNACC, p. 5). Si tratta di un portale finalizzato a informare e sensibilizzare sulla tematica dell’adattamento, rendendo altresì disponibili dati e strumenti utili a supportare la pubblica amministrazione nei processi decisionali. In questa fase l’apertura del decision-making pubblico soddisfa la “visione”6, ossia la possibilità di conoscere cosa intende fare la pubblica amministrazione nella materia in oggetto.

In secondo luogo, ha avuto luogo il momento della “voce”7, con il coinvolgimento diretto degli stakeholders: il MASE ha ritenuto che la redazione del Piano dovesse avvenire nell’ambito di un processo partecipativo strutturato, quale quello incluso nel procedimento di Valutazione Ambientale Strategica, e ha quindi avviato una fase di consultazione pubblica sulla proposta di Piano e sul Rapporto Ambientale con la pubblicazione dell’avviso sul portale delle valutazioni ambientali del Ministero. Con la chiusura della consultazione sono pervenute osservazioni e contributi da vari enti e da privati cittadini, per un totale di 84 documenti.

Il momento propriamente partecipativo consta a sua volta di due fasi: una consultazione pubblica tramite questionario, diretta a indagare la percezione dei diversi portatori di interesse nei confronti della tematica dell’adattamento ai cambiamenti climatici e a valutare le possibili azioni da intraprendere per favorirlo; la raccolta di interventi in seguito alla pubblicazione della prima bozza di Piano, al fine di ricevere osservazioni e suggerimenti da tutti i soggetti interessati con riferimento alle politiche pubbliche da porre in essere (PNACC, p. 7).

Il meccanismo descritto mette in luce alcuni elementi di interesse, con risvolti positivi e negativi. In primo luogo, rispetto alla partecipazione nel procedimento amministrativo – non necessaria in caso di pianificazione e programmazione ai sensi dell’art. 13, l. n. 241/1990 – si ampliano gli strumenti di intervento e la loro applicazione alle attività svolte dai poteri pubblici, con l’obiettivo di rafforzare il consenso e aumentare la democraticità delle decisioni. Il PNACC, infatti, avviene in un momento antecedente a quello di amministrazione diretta e non riguarda l’attuazione di misure provvedimentali, ma la formazione dei contenuti delle politiche.

In secondo luogo, la consultazione viene adoperata per tre finalità determinanti e coerenti con il disegno della reazione ai cambiamenti climatici: condividere e rendere note in via anticipata le decisioni e le politiche sulla transizione ecologica; ottenere consenso sugli strumenti da porre in essere per raggiungere gli obiettivi stabiliti; diffondere informazioni su temi poco conosciuti e sulle opportunità economiche a disposizione.

Infine, a fronte degli aspetti positivi, sussiste una problematica legata al peso decisionale delle varie sollecitazioni cui è esposto il PNACC: quali regole definiscono quando e come questo traduce obiettivi e direttive sovranazionali, indicazioni e linee guide del Ministero proponente o istanze provenienti da esperti, stakeholders o dalla collettività? Nella definizione di un modello plurale e partecipato, infatti, non è chiaro – giacché la disciplina non lo specifica – quanto peso decisionale abbiano i vari poteri o soggetti coinvolti nella stesura, negoziazione e approvazione del piano. Inoltre, non vi sono obblighi, in capo ai soggetti competenti, di rendere conto degli esiti della consultazione. Questo aspetto ha un peso rilevante sul giudizio in merito ai sistemi partecipativi che da strumenti di apertura, incremento del pluralismo e allargamento del consenso possono divenire adempimenti meramente formali dai contorni confusi, difficili da valutare e di scarsa efficacia concreta8.

Note

1. Commissione europea, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni. Il Green Deal europeo, Bruxelles, 11.12.2019 COM(2019) 640 final.
2. Per un’analisi del Reg. come norma sovranazionale di indirizzo delle politiche nazionali sul clima, D. Bevilacqua, La normativa europea sul clima e il Green New Deal: una regolazione strategica di indirizzo, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, n. 3/2022.
3. Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (SNAC), adottata con Decreto Direttoriale del 16 giugno 2015, n. 86.
4. In tal senso, D. Bevilacqua, Il Green New Deal, Milano, Giuffré, 2024, p. 101 ss.
5. In tema di “capacità amministrativa” si vedano i contributi contenuti di F. Di Mascio e A. Natalini, M. Macchia, M. Bevilacqua e A. Sandulli, in Giornale di diritto amministrativo, n. 4/2023, pp. 436 – 469.
6. La partecipazione pubblica all’attività amministrativa si articola in due momenti: uno appartenente alla “visione”, come accesso alle informazioni in possesso delle amministrazioni, l’altro relativo alla “voce”, in cui i cittadini manifestano le loro opinioni alle stesse amministrazioni: M. D’Alberti, La ‘visione’ e la ‘voce’: le garanzie di partecipazione ai procedimenti amministrativi, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, n. 4, 2000.
7. Ibidem.
8. Sui diversi risvolti, in chiave positiva e negativa, della partecipazione alle decisioni pubbliche la letteratura è piuttosto ampia. Con riferimento alla materia ambientale, si richiamano, ex pluribus: M. Carducci, Natura, cambiamento climatico, democrazia locale, in Diritto Costituzionale. Rivista Quadrimestrale, 3/2020, p. 93; H. Stevenson & J. Dryzek, Democratizing Global Climate Governance, Cambridge, Cambridge University Press, 2014, p. 13 ss.; W.D. Ruckelshaus, The Citizen and the Environmental Regulatory Process, in IND. L.J., 47, 1972, p. 637.