Questa sezione contiene le descrizioni delle esperienze realizzate dagli insegnanti e dagli allievi delle scuole elementari che hanno partecipato al progetto didattico proposto.
Le esperienze descritte hanno alcune caratteristiche comuni: uso di materiali poveri e di facile reperibilità, individuazione dei concetti scientifici o pro-scientifici su cui lavorare, documentazione visiva (fotografie, video, disegni).
Le due classi riunite di 41 allievi sono state divise in 4 gruppi (A, B, C, D), con il compito di studiare l'aria sulla base di un percorso tracciato attraverso delle schede guidate.
Per le fasi sperimentali del lavoro (pomeridiano) sono stati impiegati 3 pomeriggi da due ore l'uno, a distanza di diverse settimane tra una unità e l'altra. Per la realizzazione dei test, delle riflessioni e delle verbalizzazioni necessarie, le insegnanti di scienze, nelle proprie classi, hanno utilizzato altro tempo.
1° GIORNO
Dalla beuta è stata tolta metà dell’aria. Ovviamente non è possibile vedere l’aria, ma si può sentire, ad esempio, il soffio che essa produce rientrando nella beuta.
Immaginiamo ugualmente di possedere degli occhiali “magici” che consentano di vedere l’aria e di ingrandirla. Se questa è la situazione prima di aspirare, quale parte della beuta rimane senza aria?
L'esperimento è stato condotto con una campana di vetro e pompa a vuoto manuale. Le discussioni di gruppo hanno prodotto questi disegni e descrizioni.
Gruppo A: L'aria occupa tutto lo spazio a disposizione |
Gruppo B: 1. aria spinta da forze di coesione; 2. agitazione termica, cioè l'aria è sparsa |
Gruppo B1: 1. L'aria è molto stretta, molto compressa, in quanto è parecchia (molta forza di coesione); 2. L'aria non è presente completamente, ma solo in modo parziale. L'aria è in movimento in quanto è poca (poca forza di coesione) |
Gruppo B2 |
Gruppo C |
Gruppo D1 |
Gruppo D2: 1. L'aria è distribuita regolarmente; 2. L'aria è rimasta ai lati |
Gruppo D3 |
L'ipotesi del gruppo A rispecchia la situazione macroscopica. I suoi punti deboli sono che non risponde alla domanda "dove manca l'aria", ma tiene conto del fatto che l'aria tende sempre a occupare tutto il volume a disposizione.
Le ipotesi del gruppo B sono accomunate dal fatto che l'aria residua lascia dei vuoti localizzati, in certa misura dispersi. I domini in cui è suddivisa l'aria residua sono immaginati cangianti in forma e mobili. Un punto debole dell'ipotesi, che comunque spiega dove manca l'aria, è che restano intere regioni senza aria. Si noti che le conoscenze puramente scolastiche pregresse, sulle forze di coesione e sull'agitazione termica, sono completamente inutili nel fornire una rappresentazione corretta dell'aria, poiché esse non sono state né costruite né integrate autonomamente in una rete concettuale coerente e significativa. La forza di coesione è associata al grado di compattezza dell'aria anziché a una forza interna. Questa errata concezione dovrà essere corretta.
L'ipotesi del gruppo C è sostanzialmente corpuscolare. I punti di forza sono che l'aria occupa tutte le regioni dello spazio e nello stesso tempo si riconoscono gli spazi vuoti.
Le ipotesi del gruppo D localizzano l'aria residua in una parte del recipiente. In basso D1 ed esternamente gli altri due gruppi. Non sono date giustificazioni per queste ipotesi, anche se la D1 può essere sostenuta dal fatto che l'aria residua ha un peso; oppure il fatto che si concentri in basso spiega la difficoltà a sollevare la cupola di vetro.
Rispondere alle seguenti domande:
a. Come fa l’aria che si trova in fondo alla siringa ad accogliere altra aria, quando premiamo il pistone?
b. Quale ipotesi disegnata nelle beute spiega meglio come si possa comprimere l’aria?
c. Che cosa ha di speciale la struttura dell’aria che ne permette la compressione?
Rispondere alle seguenti domande:
d. Nell'aria è maggiore lo spazio vuoto o lo spazio occupato dalle particelle?
e. Perché non si può raggiungere un volume nullo anche comprimendo con una forza tremenda?
2° GIORNO
f. Come fa il profumo a raggiungere il naso?
Si sono avute 2 risposte per l'opzione 1 e 5 risposte per l'opzione 2.
g. Come fa l’ammoniaca a muoversi se il tubo è chiuso e pieno d’aria?
Si sono avute 3 risposte per l'opzione 2, 1 risposta per l'opzione 3 e 5 risposte per l'opzione 4; 2 gruppi hanno dato 2 risposte.
h. Il pistone si mette in moto perché:
Si sono avute 1 risposta per l'opzione 3, 7 risposte per l'opzione 4; 1 gruppo ha dato 2 risposte.
i. Quali aggiunte bisogna fare al modello di gas finora ricavato (particelle e spazio vuoto)?
C'è stata 1 risposta: bisogna aggiungere il movimento delle particelle.
7° Dimostrazione: un palloncino di gomma chiuso con poca aria viene introdotto nella beuta, e da questa si aspira l’aria.
j. Cosa accadrà al palloncino?
Si sono avute 3 risposte per l'opzione 1, 2 risposte per l'opzione 3; 2 gruppi non hanno risposto.
Disegna gli ingrandimenti prima e dopo l’aspirazione dell’aria | La dimostrazione è stata realmente effettuata col seguente risultato | |
Nessun disegno |
prima |
dopo (vuoto) |
k. Perché non si formano bolle d’aria lasciando la bottiglia da sola?
l. Qual è l’effetto della temperatura sull’aria e sulle sue particelle?
Non è stata data alcuna risposta a queste domande.
3° GIORNO
m. Come si origina l’odore?
3 gruppi hanno scelto l'opzione 3, 1 gruppo ha scelto le risposte 2 e 3.
n. Come si può estendere ai solidi e ai liquidi il modello particellare?
o. Cosa tiene unite le particelle nei liquidi e nei solidi?
p. Come spiega il modello particellare il fatto che il colorante si diffonde più velocemente nell’acqua calda?
Un gruppo ha scelto la risposta 4; 3 gruppi hanno scelto la risposta 3.
q. Perché, secondo il modello particellare, le due gocce si sono unite?
3 gruppi hanno scelto la risposta 2; 1 gruppo ha scelto la risposta 4.
r. C’è un ultimo tassello da aggiungere al modello particellare per completare il quadro della materia solida e liquida (stati condensati). Quale?
3 gruppi hanno risposto: forze di coesione; 1 gruppo non ha risposto.
s. Cosa succede all’alcol mentre si raffredda (due risposte esatte)?
Si sono avute 3 risposte per l'opzione 1, 1 risposta per l'opzione 2, 4 risposte per l'opzione 4; 1 gruppo ha dato una sola risposta.
t. Cosa succede alle particelle dell’alcol mentre scompare dalla mano?
Si sono avute 2 risposte per l'opzione 1, 2 risposte per l'opzione 2, 1 risposta per l'opzione 3; 1 gruppo ha dato 2 risposte.
u. In base al modello particellare, perché l’alcol evapora?
Si sono avute 2 risposte per l'opzione 1, 2 risposte per l'opzione 2.
v. I cristalli di antitarme col tempo si rimpiccioliscono. A sinistra delle frecce c'è un piccolissimo cristallo fatto da poche particelle. Quale disegno, tra A, B e C, spiega meglio la riduzione delle dimensioni del cristallo?
Non è stata data alcuna risposta.
Per ogni fenomeno, riconoscere la spiegazione data dal modello particellare (risposte corrette in corsivo)
1. Alla luce del modello particellare dell’aria, perché un pallone gonfiato d’aria diventa duro?
Risultati: 10 risposte per l'opzione 1; 4 per l'opzione 2; 3 per l'opzione 3 e 24 per l'opzione 4.
2. Un pallone viene forato da un chiodo e si sgonfia. Qual è la spiegazione data dal modello particellare?
Risultati: 12 risposte per l'opzione 1; 4 per l'opzione 2; 4 per l'opzione 3 e 20 per l'opzione 4.
3. Quando si aspira il succo di frutta da una busta di cartone, questa si schiaccia. Lo stesso non succede se il foro è più largo della cannuccia. Come si spiega il fenomeno in base al modello particellare?
Risultati: 7 risposte per l'opzione 1; 20 per l'opzione 2; 0 per l'opzione 3 14 per l'opzione 4.
4. Cosa succede se si cerca di aspirare la bibita da un recipiente rigido (bottiglia di vetro), se la cannuccia aderisce perfettamente al foro sul tappo?
Risultati: 8 risposte per l'opzione 1; 7 per l'opzione 2; 12 per l'opzione 3 e 13 per l'opzione 4.
5. Copia nel cerchio vuoto l’ingrandimento che ritieni più verosimile per una piccola porzione d’aria compressa, secondo il modello particellare.
La risposta corretta è la D.
Risultati: 19 risposte per l'opzione A; 0 per la B; 2 per la C e 18 per la D.
Riepilogo delle risposte al questionario finale (in verde le risposte corrette; in rosso quelle errate ma scelte da molti allievi)
Totale alunni = 41 | 1 | 2 | 3 | 4 | nessuna risposta |
Domanda 1 | 10 | 4 | 3 | 24 | |
Domanda 2 | 12 | 4 | 4 | 20 | 1 |
Domanda 3 | 7 | 20 | 14 | ||
Domanda 4 | 8 | 7 | 12 | 13 | 1 |
Domanda 5 | 19 | 2 | 18 | 2 |
Conclusioni delle insegnanti
Dall’analisi delle risposte, risulta che il concetto di pressione non è stato ben assimilato e che gli alunni, come era prevedibile, non hanno ancora raggiunto una capacità di astrazione sufficiente a spiegare i fenomeni naturali applicando il modello. E’ possibile ripartire da tali considerazioni per sviluppare le future attività del progetto.
Osservazioni in itinere e conclusioni del tutor
Difficoltà riscontrate:
Gli allievi presentano resistenze nell’usare il modello particellare per spiegare i fenomeni e i fatti sperimentali. Queste resistenze sono in parte fisiologiche per l’età, ma anche dovute alle difficoltà sopra citate.
Gli allievi tendono ad attribuire caratteristiche del mondo macroscopico alle particelle: sono solide le particelle dei solidi, liquide quelle dei liquidi e gassose quelle degli aeriformi. Che non si tratti di un problema linguistico è dimostrato dal fatto che diversi allievi affermano che le stesse particelle si trasformano da solide a gassose nella sublimazione, cioè attribuiscono a esse dei cambiamenti e non riescono a immaginare particelle che non siano né solide né liquide né gassose. Occorre costruire delle attività che li aiutino a pensare agli stati della materia come derivanti dal modo di stare insieme di molte particelle.
Le loro conoscenze sulle forze di coesione, precedenti all'unità didattica, hanno interferito con lo sviluppo di un concetto di pressione adeguato e basato sul moto molecolare.
Esperienza realizzata dagli allievi delle classi 1ª B e 1ª C dell'I.C. "Luca della Robbia" di Appignano (MC), nell'anno scolastico 2001-2002.
Insegnanti: Michela Rossetti, Luigina Castelli; Valeria Bellucci, al secondo anno di sperimentazione, ha seguito autonomamente un percorso parallelo nella propria classe 1ª A
Tutor: Alfredo Tifi
La classe è stata invitata a osservare il materiale che ogni coppia di bambini aveva a disposizione sui banchi singoli uniti a due a due:
I bambini dovevano provare a far accendere la lampadina con ciò che avevano a disposizione.
Alcuni bambini hanno riconosciuto nel materiale oggetti familiari perché usati per far funzionare dei giochi e uno di loro si è ricordato che una volta per far accendere un game boy, non avendo le pile giuste, ha visto fare dei “collegamenti" da altri bambini più grandi con pile diverse da quelle necessarie e fili elettrici.
Ai bambini è stato detto di fare attenzione alle “estremità” degli oggetti che hanno e soprattutto alla lampadina e alle sue parti metalliche (punta e avvitatura).
I bambini sono riusciti un po’ alla volta a far accendere la lampadina, con grande entusiasmo e, su richiesta della maestra, hanno osservato quali erano le parti venute a contatto e quante erano le coppie individuate (tre).
I bambini hanno provato diverse possibilità di contatti, variando anche il numero di materiali (per esempio 2 pile - 1 filo - 1 lampadina o 2 lampadine - 1 pila - 1 filo).
E' stato effettuato un semplice test disegnando alla lavagna varie possibilità di contatti e in una tabella le possibili interazioni e le evidenze di queste interazioni, cioè la luce o il calore.
La maestra ha disegnato le varie posizioni di pila, filo e lampadina alla lavagna; i bambini hanno cercato di prevedere se ci sarebbe stata interazione o meno.
Per ogni disposizione, due bambini sono andati davanti a tutti e hanno verificato sperimentalmente se le previsioni erano giuste o meno.
In alcune combinazioni l’interazione è evidenziata solo dal riscaldamento del filo, ma non dall’accensione della lampadina. In questo modo i bambini hanno capito che ci sono diverse evidenze per l’interazione e, in questo modo, non si identifica l’interazione con una evidenza predefinita.
Esperienza realizzata il 18-11-2004 dai bambini della classe 4° B della scuola Le Grazie di Recanati, con la maestra Pina Feliciotti
I bambini hanno svolto la seguente verifica sui concetti scientifici generali sui quali hanno lavorato durante tutto il percorso.
Collega con delle linee colorate gli esempi alle GRANDI PAROLE della scienza
Risultato del test
I bambini hanno scelto di colorare in modo diverso ciascuna parola al centro e di assegnare i colori corrispondenti ai diversi esempi che le circondano. A rotazione ogni bambino ha proposto, per ciascun esempio, la parola della scienza che secondo lui era adeguata, motivando la proposta. Gli altri bambini potevano intervenire con controproposte, alzando la mano e la discussione si interrompeva quando si raggiungeva l’accordo unanime. Il sole e l’estintore sono stati visti sia come sottosistemi che come sistemi. Il sole come facente parte del sistema solare, l’estintore come componente del sistema di sicurezza della scuola. Tutti gli altri esempi sono stati correttamente classificati senza grandi difficoltà.
Lo stesso test è stato effettuato anche in classe 3ªA a Castelnuovo, in versione semplificata (senza il concetto di modello e i relativi esempi) con analoghi risultati positivi.
Il seguente test degli specchi è un problema sulla costruzione di un modello mentale completamente diverso da quelli sperimentati durante il percorso, e ha impegnato i bambini il 30 maggio 2005.
Risultato del test
La maggior parte dei bambini ha trovato abbastanza facilmente la soluzione, mentre per altri sarebbe stato necessario sperimentare nella realtà. Alcuni percettivamente si sono rifatti alle loro esperienze, che vanno dai giochi al computer ai giochetti con la luce che si rifletteva a mensa sui coltelli.
1. Quale messaggio secondo voi ha voluto comunicarvi il tutor lavorando con noi?
2. Ma allora quale sarà stato il filo che teneva unite tutte queste cose nuove?
Sono rimasto molto soddisfatto delle riflessioni dei bambini e naturalmente del lavoro fatto da Pina durante tutto il percorso. I bambini hanno colto esattamente ciò che speravamo catturassero del processo scientifico. Sfido chiunque a ottenere lo stesso risultato seguendo il sussidiario e con lezioni esclusivamente “teoriche”. Sono convinto che questa esperienza lascerà un’impronta indelebile nella loro formazione e che sia della massima importanza che nel passaggio alla scuola secondaria sia preso in seria considerazione questo portfolio e si prosegua nella direzione di fornire strumenti cognitivi adeguati a pensare come scienziati e non a imparare a memoria piccoli pezzi di enciclopedie, nonché occasioni di affrontare ancora indagini sperimentali e ad elaborare modelli in un’ottica costruttivista. Tutto ciò nel rispetto dei bambini e con la finalità di ravvivarne spontaneità e curiosità, spirito di inquiring, contribuendo a costruire una corretta concezione della scienza e del suo ruolo per l'uomo.
Verifica di fine percorso didattico realizzata dalla maestra Pina Feliciotti e dal tutor Alfredo Tifi con i bambini della 4ªB del Plesso Le Grazie, nel maggio 2005
In questa sezione sono presentate alcune esperienze che introducono e approfondiscono il concetto di modello nella scuola elementare, attraverso lo studio di alcuni marchingegni e l'applicazione dello strumento delle macchine operatrici.
Le macchine operatrici sono degli "elaboratori" che acquisiscono dei
dati (input) e li trasformano in un risultato (output) seguendo un
algoritmo invariante e "nascosto", analogamente ai marchingegni. Ai
bambini si richiede di ideare un'operazione o una sequenza di operazioni
(modello) che riproduca il comportamento della macchina (sistema
sperimentale).
Per ora abbiamo messo delle operazioni aritmetiche
nel "motore" delle nostre macchine operatrici, che si alimentano di
numeri naturali e danno numeri naturali in uscita.
Un obiettivo
importante di queste macchine operatrici "aritmetiche" è che con esse si
può migliorare l'abilità di calcolo a mente e la comprensione delle
operazioni aritmetiche divertendosi. Per questa ragione si possono usare
le macchine operatrici fin dalla seconda elementare (limitandosi ai
livelli di difficoltà più bassi).
Ma la ragione per cui è statoscelto di utilizzare questo strumento nel percorso didattico è per applicare il concetto di modello
in situazioni più astratte.
Il "motore" delle macchine operatrici
può inizialmente essere fornito da un alunno che, alla lavagna, pensa
l'operazione o la sequenza di operazioni aritmetiche. Poi ripete invariate
tali operazioni sui dati in ingresso, forniti dai compagni di classe,
scrivendo i risultati, finché questi non saranno in grado di prevedere i
risultati.
Il parallelo con il modello scientifico è evidente: il
calcolo nascosto è il "meccanismo" o "motore sconosciuto" che produce i
fenomeni; l'input sono le condizioni e le variabili sperimentali scelte
dagli scienziati (il resto della classe); dopo pochi tentativi
(esperimenti preliminari) i bambini cercano spontaneamente un modello di
calcolo che dia conto del comportamento della macchina. Quindi ripetono
gli esperimenti per convalidare i vari modelli. Se le loro previsioni
corrispondono con l'output (risultato dell'esperimento), procedono a
ulteriori conferme.
I modelli si sforzano di riprodurre fedelmente la
realtà osservabile. Invece la realtà nascosta nella macchina, come per i marchingegni, non esce mai allo scoperto. Quando gli scienziati
ottengono previsioni corrette considerano valido il loro modello, ma
non possono mai essere definitivamente certi che la natura complessa si
comporti veramente secondo tali modelli.
Oltre alle esperienze descritte in questa sezione, i report di alcune attività di esplorazione condotte dalle classi delle scuole del 1° Circolo di Novi Ligure (AL) sono riportati a questo link:
IL CONCETTO DI MODELLO ALLE ELEMENTARI - I MARCHINGEGNI: Le macchine per pensare
Il tutor ha disegnato una specie di scatola avente a sinistra due caselle e delle frecce e a destra un’altra casella. Sulle caselle di sinistra ha scritto INPUT e su quella di destra OUTPUT. Nella scatola ha disegnato qualcosa di simile a un ingranaggio e scritto "MECCANISMO 1".
Inizialmente la maestra, di fronte alla lavagna, ha svolto la funzione di “scienziato” che proponeva i due numeri in input, mentre il tutor “faceva eseguire” il calcolo alla macchina operatrice disegnata alla lavagna e scriveva l’output, costituito da un singolo valore.
I bambini sono stati subito coinvolti in questo modo: “come il marchingegno, anche questa macchina ha al suo interno un meccanismo. Ancora una volta siete voi gli scienziati e dovete sforzarvi di pensare un modello delle operazioni che questa macchina compie. Ancora una volta avete solo un modo per valutare se il vostro modello funziona: effettuare altre prove, altri esperimenti, e verificare se le previsioni sono giuste.”
Dopo due tentativi proposti dai bambini e output scritti dalla macchina i bambini hanno subito compreso cosa dovevano fare e hanno iniziato a proporre delle ipotesi e chiesto se tali ipotesi fossero giuste. Il tutor ha ribattuto che la macchina non può rispondere direttamente alle domande, ma può solo essere usata per ripetere il calcolo su nuovi input, per produrre nuovi output che si confrontano con le nostre previsioni. Come non si poteva aprire marchingegno per vedere il suo contenuto, così non si poteva sapere cosa effettivamente faceva la macchina. Una volta capito il gioco, i bambini si sono proposti per fungere da macchine operatrici.
L’idea della macchine operatrici ha dato frutti. Dopo circa un mese i bambini, lasciati liberi dalla maestra, giocavano alle macchine operatrici: uno di loro alla lavagna fungeva da “meccanismo di calcolo” della macchina, con due input e due output, mentre gli altri bambini fornivano gli input e ipotizzavano modelli per i meccanismi (in figura un esempio).
Secondouna bambina questa macchina operava con il seguente modello: al primo numero si addiziona 7 per dare il primo output; il risultato si moltiplica per l’altro termine in input per dare il secondo output. Il modello scritto alla lavagna è stato cerchiato dal bambino che fungeva da “macchina operatrice” dopo due conferme sperimentali successive.
I bambini sono stati divisi in 5 gruppi, con il compito di trovare delle regolarità, delle relazioni come quelle delle macchine operatrici tra una variabile in input e una in output.
1. Tappi a corona, prima esperienza
Si dovevano realizzare degli schieramenti quadrati di tappi a corona. L’input era il numero di tappi del lato e l’output il numero di tappi totale del quadrato.
I bambini hanno individuato la relazione nascosta dopo pochi minuti e alla fine non contavano più i tappi, poiché sapevano già quanti ne servivano per completare i quadrati.
1. Tappi a corona, seconda esperienza
Il compito era lo stesso, solo che lo schieramento era a triangolo equilatero.
3. Cerchi
L’input era il diametro di oggetti rotondi, l’output era la circonferenza. Entrambe le variabili sono state misurate con un metro di stoffa precedentemente autocostruito dai bambini.
4. Molla
L’input era il numero di spire libere, l’output il numero di oscillazioni in 20 secondi. I bambini avevano a disposizione anche un cronometro.
5. Dado nella scatola
Una scatola conteneva un dado con facce di vari colori. Attraverso una finestra traslucida si poteva vedere solo una faccia del dado alla volta. In questo caso l’input era il numero di lanci e gli output erano i numeri di uscite di ciascun colore.
In questo caso si doveva ricostruire un modello concreto, anziché matematico, del dado.
Per i casi difficili (2,3,4) la regolarità cercata può essere un semplice grafico X-Y delle due variabili correlate. In effetti il grafico può essere usato per fare delle previsioni, come un qualsiasi modello.
Un'esperienza simile sulle regolarità nascoste è descritta in questa pagina.
Esperienze realizzate il 29-04 e il 27-05-2004 dai bambini della classe 4^ della scuola elementare di Appignano, con la maestra Daniela Governatori e il tutor Alfredo Tifi
In questa serie di esperienze sul concetto di modello e nelle indagini da esse stimolate è contenuto il nocciolo della scienza come impresa dell’intelletto. Questa percezione della scienza e la capacità di sentirsi protagonista di successo in tale impresa influenzerà certamente lo sviluppo cognitivo e affettivo del bambino più quanto non possa fare l’acquisizione di qualsivoglia nozione mnemonica e disciplinare sull’ambiente o sul corpo umano.
Il primo marchingegno
Il marchingegno che i bambini potevano vedere aveva un tappino e una penna infilati verticalmente a circa 5 cm di distanza su una scatolina di cartone.
Guarda il video
Inizialmente ai bambini è stato mostrato che ruotando il tappino anche la penna ruota, e lo fa nella stessa direzione. I bambini hanno affermato subito che c’è qualcosa che collega il tappino alla penna, dentro la scatola. Questo è quanto si richiede loro: “siete degli scienziati, fate le ipotesi e disegnate le ipotesi”.
E' stato utilizzato il seguente schema.
Le ipotesi disegnate sono chiamate modelli.
I modelli devono “funzionare” riproducendo il più possibile quanto accade nel sistema reale.
I bambini hanno ipotizzato vari meccanismi per il marchingegno e alcuni li hanno disegnati.
I modelli si mettono alla prova facendo esperimenti.
Perciò ai bambini è stato richiesto di proporre esperimenti.
1. I bambini hanno chiesto se il tappino si poteva togliere.
Il prof. ha verificato che si può togliere e rimettere il tappino senza problemi sul funzionamento.
I bambini hanno dedotto la presenza di un ingranaggio dove alloggiare il tappino che, infatti, presenta sei denti all’estremità infilata. Nei disegni sono apparsi ingranaggi.
2. È stato chiesto di invertire il verso di rotazione del tappino e vedere cosa accadeva.
Ruotando il tappo in senso antiorario, la penna non si metteva in rotazione. Un bambino è riuscito a spiegare tale asimmetria con un modello in cui un anello elastico, passante intorno al perno del tappino, va a toccare la penna solo da un lato, proseguendo poi verso un terzo perno rotante, interno alla scatola, disallineato rispetto agli altri due. In tal modo l’elastico si sarebbe allentato e non avrebbe fatto più presa sulla penna, ruotandolo in senso antiorario e mettendo in tensione il tratto che non è a contatto con l’asse della penna. Il bello è che il bambino era già al terzo modello disegnato in pochi minuti e che lui stesso ha spiegato alla classe il principio di funzionamento.
Diversi bambini chiedevano di aprire la scatola per vedere. Si è risposto loro che gli scienziati inventano dei modelli proprio perché non possono aprire i sistemi che studiano, ma possono solo fare esperimenti più o meno approfonditi su di essi.
Per esempio, come facciamo a sapere dove va il panino che ha mangiato un compagno? Non lo possiamo aprire! Siccome entra dalla bocca si potrebbe pensare che va nella testa. Ma se uno mangia troppo gli fanno male i piedi, la testa o la pancia? Il mal di pancia è un esperimento che conferma un modello in cui le cose che mangiamo vanno nella pancia. I bambini hanno detto che si può fare l’ecografia della pancia e vedere cosa c’è e che potremmo farla anche alla scatola. Ma a scuola non abbiamo la macchina per l’ecografia e gli scienziati avevano elaborato il modello secondo cui i panini vanno nella pancia anche prima dell’invenzione dell’ecografia.
Per sapere cosa c’è nel nucleo della Terra gli scienziati possono fare solo modelli e ipotesi. Si basano su ciò che si può osservare nella lava che esce dai vulcani e da esperimenti simili all’ecografia. L’ecografia della Terra si fa con delle esplosioni in certi punti della superficie. Le onde dell’esplosione si propagano e si registrano come delle piccolissime scosse di terremoto in altri punti molto lontani. Queste scosse non sono pericolose: solo le apparecchiature sensibili le registrano. Siccome le mini-onde di terremoto non vanno dritte, ma rimbalzano, gli scienziati capiscono che ci sono delle superfici in profondità che le riflettono, e in questo modo possono disegnare un modello dell’interno della Terra che somiglia a una pesca col nocciolo.
Nella classe 5ª abbiamo riproposto lo stesso “modello” di lezione, e i bambini hanno chiesto di effettuare più esperimenti e soprattutto hanno iniziato spontaneamente a costruire dei modelli concreti, oltre che disegnarli, usando penne, gomme, elastici, nastri di carta ecc.
Il “correttore”, a sinistra, è un esempio di “marchingegno” che può aver ispirato qualche bambino. |
Due gruppi hanno proposto, indipendentemente l’uno dall’altro, che nella scatola ci fosse qualcosa di similGuarda il videoe a una cassetta audio e ne hanno richiesta una alla maestra per fare le prove in simulazione.
Questo è un altro modo usato dagli scienziati per mettere alla prova i modelli: facendo esperimenti su sistemi artificiali anziché sui sistemi reali o naturali. Per esempio, per vedere quali alimenti preferiscono i pesci possiamo metterli in un acquario e fornire tali alimenti, anziché buttare i mangimi in acqua e correre dietro a ogni pesce per vedere quale mangia. Il difetto delle simulazioni è che non possiamo mai essere certi che nel sistema artificiale (acquario) succedano proprio le stesse cose del sistema naturale (mare). Per provare le medicine nuove si usano i topi: il loro organismo è usato come modello artificiale dell’organismo umano. Una medicina che fa bene al topo, però, non è detto che farà bene anche all’uomo.
I bambini di quinta hanno richiesto anche altri esperimenti e costruito i loro modelli (anche concretamente, come dei prototipi) sulla base dei risultati di tali esperimenti. Hanno pensato a soluzioni completamente originali: ingranaggi formati da ruote dentate con i denti solo su metà circonferenza e altri marchingegni con gomme forate ed elastici.
Gli esperimenti richiesti sono:
La classe ha concluso che il modello migliore è il meccanismo di un’audiocassetta e che se il sistema reale non contiene un’audiocassetta, deve somigliarle molto.
Ci sono altri esperimenti che si sarebbero potuti fare. Per esempio, se la penna viene fatta ruotare manualmente nella stessa direzione in cui era stata messa in moto dall’azione del tappino, questo rimane fermo. Se si ruota la penna dalla posizione iniziale questa risulta bloccata in senso antiorario mentre in senso orario non trasmette il moto al tappino. Dalla posizione iniziale solo il tappino è libero di ruotare in entrambe le direzioni, trascinando sempre la penna in senso orario.
Come applicazione del concetto di modello gli stessi gruppi di bambini hanno ricevuto un barattolo di caldo–caldo (cioccolato autoriscaldante) e una fotocopia dello spaccato vuoto entro il quale disegnare il “modello” di funzionamento del dispositivo di auto-riscaldamento. I bambini potevano anche vedere il cloruro di calcio e sentire il rumore derivante dal suo scuotimento, da un sacchetto di ricarica per deumidificatori. E' stata asportata dalle etichette dei barattoli la parte dove il “modello” era già disegnato. In questo caso è stato detto ai bambini che alla fine i loro modelli sarebbero stati verificati aprendo il barattolo col taglierino.
I bambini hanno ascoltato la provenienza del rumore del liquido (dal basso) e dei granelli di cloruro di calcio (dal centro). Un gruppo ha constatato la presenza di acqua sul fondo osservando controluce. Dopo aver disegnato la disposizione dell’acqua, della bevanda e del cloruro di calcio e stabilito la presenza di intercapedini e membrane da forare, hanno seguito le istruzioni per riscaldare il cioccolato e infine hanno assaggiato il prodotto.
altri marchingegni
Il marchingegno 1 è composto da un tappino e una penna.
Guarda il video
I bambini hanno notato che i due perni sono molto più vicini e hanno chiesto di ruotare il tappino: la penna ruota in senso contrario. Hanno poi chiesto di ruotarlo in senso opposto: la penna si mette subito in rotazione, ancora una volta nel verso contrario a quello del tappino. I bambini hanno concluso che i due perni ruotano sempre in direzioni opposte.
Un bambino ha proposto di agire sul perno alto. Ruotandolo, in ambedue le direzioni, il tappino si mette ugualmente in rotazione in senso opposto e in nessun caso “gira a vuoto”. I bambini hanno iniziato a ipotizzare la presenza di un elastico che avvolge due rotelle, interne alla scatola, in cui sono infilati i due perni. Hanno disegnato alla lavagna tale modello e sono stati invitati dal tutor a simularne il funzionamento, per verificarne la validità. Il tutor, per aiutarli, ha disegnato delle frecce lungo l’elastico (Modello a).
modello a modello b
modello c modello d
I bambini hanno notato che tale modello a prevede un moto concorde dei due perni, cosa che si scontra con i risultati sperimentali. Un bambino ha trovato subito la correzione appropriata al modello, disponendo l’elastico a “8” (Modello b). In effetti questo modello fornisce previsioni più vicine al comportamento reale.
Ma i bambini erano ormai abituati e non hanno concluso frettolosamente che tale modello coincidesse con la realtà. Infatti un altro bambino ha proposto un modello con due ruote dentate (Modello d).
Il tutor ha quindi proposto un altro esperimento, segnando col bianchetto un punto sul tappino, rivolto verso di loro. I bambini hanno notato che con un giro completo del tappino la matita fissata all’asta lunga compiva solo mezzo giro. Viceversa, un giro completo della penna causava due rotazioni del tappino. Dopo una breve discussione i bambini hanno modificato il modello introducendo una ruota più grande e una più piccola e, riflettendo sul meccanismo di trasmissione della bicicletta, hanno dedotto che la ruota più grande si deve trovare in corrispondenza della penna (Modello c).
Il tutor ha poi proposto il marchingegno 2, con due cannucce infilate come sempre parallele l’una all’altra, con l’estremità ricurva, come due L rovesciate, una gialla l’altra rossa.
Guarda il video
Dopo poche prove i bambini hanno notato che le parti alte delle due L rovesciate puntavano sempre nella stessa direzione anche dopo diversi giri, senza nessuno sfasamento. Immediatamente alcuni bambini si sono ricordati del Modello a del marchingegno precedente, che era perfettamente valido (cinghia elastica disposta ad anello su due rotelle di uguali dimensioni).
Questo è un esempio di come anche i modelli imperfetti non vadano mai “buttati”, poiché potrebbero tornare utili in altre situazioni.
Esperienze condotte l'11 e il 27-05 dai bambini delle classi 4^ e 5^ della scuola elementare di Appignano, con le maestre Verena Temperini e Daniela Governatori e dal tutor Alfredo Tifi
E' stato studiato un marchingegno così composto:
Per comprenderne il funzionamento e la struttura interna sono stati svolti i seguenti esperimenti:
Fase ideativa o sperimentale
Nei gruppi si è avviata una vivace discussione in cui si sono scambiate le idee e condivise le ipotesi. Quando si è raggiunto un accordo di massima, sono stati disegnati e illustrati i modelli che potessero funzionare come il marchingegno.
CONDIVISIONE DELLE ESPERIENZE
Ogni gruppo ha illustrato il modello prodotto, spiegandone il funzionamento.
La calamita gira e fa girare l’altra calamita. Il giro, però, sarebbe lento e a scatti. | All’interno della scatola c’è un piccolo ingranaggio simile a quello della bicicletta con una catena che si incrocia ma non si tocca. |
Ingranaggi presi da una cassetta musicale e da una vecchia cassetta per telecamera che è un po’ più grande con un elastico a forma di otto. | Sono stati usati quattro blocchi triangolari per costruire due ingranaggi a forma di stella. Al centro di ogni stella c’è un foro per inserire il tappo o la penna. Quando una stella gira, le punte toccano l’altra stella e la fanno girare in senso inverso.[1] |
Nella scatola ci sono 3 perni su cui gira uno spago. Nei due perni laterali si infilano la penna e il tappo, mentre quello centrale serve a far cambiare direzione al filo. Il limite di questo modello è che lo spago finisce e la macchina non gira più nello stesso verso. | I due ingranaggi interni assomigliano a quelli di un orologio. |
Fase conclusiva
Tutti i modelli avrebbero potuto funzionare, ma il più semplice era il n° 6, che usava gli ingranaggi di un correttore.
E' stato studiato un marchingegno così composto:
Per comprenderne il funzionamento e la struttura interna sono stati svolti i seguenti esperimenti:
MODELLI PRODOTTI
Due rulli ruotanti della stessa dimensione e fissati al centro con un perno sono collegati da un elastico che li fa girare nella stessa direzione. | |
Si usano tre rotelline dentate della stessa misura e fissate al centro con un perno. Se la prima ruota gira in senso orario, la seconda gira in senso antiorario e la terza in senso orario. In questo modo le due ruote esterne, dove si infilano le cannucce, girano sempre nello stesso verso. La rotellina centrale ha la funzione di far cambiare direzione al giro. |
Esperienze condotte il 30-04 dai bambini della classe 4^ della scuola elementare di Appignano, con la maestra Daniela Governatori e il tutor Alfredo Tifi
L'obiettivo era scoprire la relazione tra il numero di tappi del lato e il numero dei tappi che occorrono per costruire un quadrato.
N. TAPPI LATO | N. TOT. TAPPI | ESEMPIO |
3 | 9 | |
5 | 25 | |
7 | 49 | |
8 | 64 | |
9 | 81 | |
10 | 100 | |
11 | 121 | CONCLUSIONE
Abbiamo scoperto che per trovare il n. totale di tappi basta moltiplicare il lato per se stesso (l 2) |
12 | 144 | |
13 | 169 | |
14 | 196 | Gruppo costituito da:
Valeria, Vanessa, Cristiana, Massimiliano |
L'obiettivo era formare con i tappi tanti triangoli, per capire la relazione che c’era tra il numero di tappi della base e il numero totale dei tappi che servono per costruire il triangolo.
N. TAPPI BASE | N. TOT. TAPPI |
10 | 55 |
13 | 91 |
14 | 105 |
5 | 15 |
6 | 21 |
2 | 3 |
3 | 6 |
4 | 10 |
Un bambino ha notato che aggiungendo al numero di base un numero ogni volta inferiore fino a uno, si ottiene il numero totale dei tappi.
Questa regola, però, si può applicare solo a numeri piccoli, quindi bisognerebbe trovarne un’altra che si possa applicare anche a numeri più grandi. Una bambina ha scoperto che sommando al numero della base il totale del triangolo precedente si ottiene il numero di tappi occorrenti. Anche questa regola presenta un limite: è ricorsiva e occorre scrivere in ordine tutti i numeri altrimenti non funziona. |
N. BASE | N. TOT |
9 | 45 |
8 | 36 |
11 | 66 |
2 | 3 |
10 | 55 |
12 | 78 |
15 | 120 |
A partire da un'osservazione della maestra (combinazione 9 -> 45 = 9 x 10 :2) e seguendo l'intuizione di un bambino, la classe ha scoperto che moltiplicando il numero di base per un numero superiore di una unità e dividendo il risultato per 2 si ottiene il numero dei tappi necessari.
È stato difficile scoprire questa regola, ma essa si può applicare a tutti i numeri.
Nota: Il lavoro è stato iniziato da: Enrico, Dalila, Marianna, Mauro e completato da tutta la classe.
L'obiettivo era scoprire di che colore erano le facce di un cubo nascosto nel barattolo.
Dai lanci già effettuati sono usciti i seguenti colori:
I bambini hanno effettuato altri lanci per capire meglio com’era il modello del cubo. Le uscite sono state:
Sulla base delle uscite la maggior parte degli alunni ha correttamente disegnato tre facce bianche, due rosse e una gialla
Nota: Lavoro avviato da Martina, Mirko, Gioele, Nico e completato da tutta la classe.
L'obiettivo era contare il numero delle oscillazioni compiute dalla molla in dieci secondi, cambiando il numero delle spire, per scoprirne la relazione.
COSTANTE: TEMPO (10 sec) | |
N. SPIRE | N: OSCILLAZIONI |
5 | 17 |
7 | 16 |
10 | 14 |
15 | 11 |
20 | 9 |
25 | 8 |
30 | 7 |
35 | 6 |
40 | 5 |
I bambini hanno osservato che più spire si aggiungevano e più le oscillazioni diventavano lente e quindi il loro numero diminuiva.
Aiutandosi con la tabella hanno fatto una previsione approssimativa. Per esempio hanno dedotto che con 12 spire si potevano ottenere 12 o 13 oscillazioni e lo hanno verificato trovando che la previsione era esatta (12 oscillazioni).
Nota: Lavoro avviato da Riccardo, Maria, Jacopo, Maria Chiara e completato da tutta la classe.
Nota dell'insegnante: In questo caso trovare una relazione matematica tra numero di spire e numero di oscillazioni è un compito impossibile per i bambini. Il modello che consente di fare previsioni può comunque essere una semplice tabella o un grafico in un diagramma cartesiano. Dai dati della tabella dei dati sperimentali si ottiene il seguente grafico.
L'obiettivo era misurare la circonferenza e il diametro di vari oggetti circolari per capirne la relazione. La misura è stata effettuata con una fettuccia di cotone su cui erano tracciate a penna le linee dei centimetri e dei mezzi centimetri.
CIRCONFERENZA | DIAMETRO | |
BOTTIGLIA | 24 | 7 |
MISURINO | 23 | 6,5 |
ROTOLO NASTRO ADESIVO | 32 | 10 |
BARATTOLO DECOUPAGE | 22 | 6 |
B. VERNICE | 34,5 | 11 |
Dall’osservazione della tabella i bambini hanno fatto le seguenti riflessioni:
Quindi i bambini hanno diviso ciascuna circonferenza per il proprio diametro per scoprire se esiste un rapporto costante.
Nota del tutor: In questo caso sarebbe stato semplice fare una previsione, trovando un oggetto rotondo più grande degli altri, e verificare tale previsione, cosa che non è stata possibile per mancanza di tempo.
Questi i risultati:
24 : 7 = 3,48
23 : 6,5 = 3,53
32 : 10 = 3,2
22 : 6 = 3,66
34,5 : 11 = 3,14
Nota del tutor: La cifra dei centesimi non è significativa in questi calcoli; i dati andrebbero arrotondati al decimo.
I bambini hanno osservato che il numero intero di ogni risultato è sempre 3: il rapporto tra circonferenza e diametro è 3 virgola qualcosa. La maestra ha spiegato che i matematici facendo tante, tantissime operazioni di questo genere e calcolando la media aritmetica hanno scoperto che questo rapporto è 3,14.
Nota: Lavoro avviato da Nicola, Carlotta, Simone, Giulia e completato da tutta la classe.
Esperienza realizzata il 27-05-2004 dai bambini della classe 4° della scuola di Appignano, con la maestra Daniela Governatori
I bambini-scienziati della classe hanno osservato l'esistenza di molte muffe diverse, trasportate forse dalle cose che hanno appoggiato sulle piastre di "gelatina" incontaminata.
Questi i risultati:
Capelli (Federico e Riccardo) - Funghetti appassiti secchi (Asmba e Mattia) - Pane (Simone e Mattia)
Polvere (Martina e Leonardo) - Unghie varie (Matteo e Davide) - Sopracciglia (Matteo B. e Federica)
Le piastre contengono una gelatina nutriente (tecnicamente “terreno Sabourod agarizzato”) adatta alla crescita di tutte le muffe. Finché le piastre restano chiuse non si sviluppa in esse nessuna muffa né altro, così come dalla terra non cresce nulla se non si mette un seme o se un seme non si trova lì per caso. Quindi occorre mettere dentro qualcosa che possa contenere piccole spore, come quelle che si trovano sotto il cappello dei funghi.
Per questa esperienza basta aprire la piastra per il breve tempo sufficiente a inserire l’oggetto, richiuderla e lasciarla per qualche giorno in un luogo buio. Ogni cosa ha prodotto delle muffe, perciò si capisce che le muffe stanno un po’ dappertutto.
Constatata la crescita di una gran varietà di muffe, gli allievi hanno notato che ogni cosa aveva prodotto una muffa differente per aspetto, forma, colori. Perciò si sono chiesti se potesse esserci una relazione tra il tipo di muffa e l’oggetto che l’ha generata, cioè se ciascun oggetto fosse “contaminato” con un tipo preciso di muffa, oppure se la muffa si formasse casualmente.
Per rispondere a questa domanda ogni oggetto (per esempio la mollica di pane) è stato diviso e posto su due piastre uguali. Qui sotto i risultati.
Due metà di uno stesso spicchio di mela: le due muffe differiscono solo per l’estensione della zona grigia vellutata.
Due metà di uno stesso spicchio di mandarino: anche in questo caso si hanno le stesse colorazioni, ma con uno sviluppo molto diverso della peluria bianca.
Anche per la buccia di mandarino si ha una sostanziale corrispondenza nelle due piastre.
Si può concludere che le muffe sono nelle cose scelte per gli esperimenti.
Mentre si svolgeva l'esperimento gli allievi si sono accorti che nei barattoli delle pesche sciroppate che avevano mangiato c'era della muffa che galleggiava sul liquido. La maestra ha chiesto cosa fosse cambiato dal momento che avevano preparato le pesche a quello successivo all'aver aperto e richiuso il barattolo.
I bambini hanno risposto che era entrata l'aria e che le muffe potevano stare anche nell'aria. Allora i bambini hanno " raccolto" l'aria della classe per 5 minuti su una piastra e per altrettanti quella del giardino. E' risultato che l’aria del giardino contiene tanti tipi di muffe diverse, mentre l’aria della classe ne ha prodotto solo uno.
Questa ricerca sperimentale sulle muffe, che lascia aperte ancora varie domande, è stata utile alla nostra ricerca sulla conservazione degli alimenti, della quale si riporta una mappa concettuale.
Esperienza realizzata nel novembre 2004 dagli allievi della classe 4ªB del plesso Le Grazie, 2° Circolo di Recanati.
Il Materiale
La maestra ha portato a scuola questi materiali e oggetti:
L'Esperienza
I bambini hanno formato quattro gruppi. Ogni gruppo aveva un vassoio di alluminio con dei bicchieri di plastica trasparenti vuoti ed altri di plastica bianca. I bambini hanno abbinato i materiali a coppie, usandone solo una parte ogni volta.
Dovevano scoprire più cambiamenti possibili.
In ogni gruppo è stato scelto un responsabile della registrazione dei dati.
I bambini avevano a disposizione anche un secchio con acqua pulita e uno vuoto per scaricare i risultati delle prove e sciacquare i contenitori.
La maestra e il tutor hanno costruito alla lavagna una tabella a doppia entrata con i 5 materiali in riga e in colonna nello stesso ordine; hanno poi numerato le caselle corrispondenti a ogni diverso abbinamento da 1 a 10.
Legenda: G=guscio; A=aceto; R=radicchio; F=lana di ferro; B=bicarbonato
Infine sono state registrati le osservazioni e i cambiamenti ottenuti:
I bambini hanno osservato che si sono verificati casi in cui c’è stata azione tra l’uno e l’altro materiale. C’è stata quindi una interazione cioè una azione tra due cose, oggetti o materiali.
Hanno osservato anche che ci sono stati casi di non interazione (non si sono verificati cambiamenti rilevanti).
Dopo aver capito il concetto di interazione il tutor ha fatto altri esempi, chiedendo ogni volta se c’era interazione e perché.
Gli Esempi
Non c’era stata nessuna interazione tra i due materiali, ma c’era stata interazione tra calamita e ferro.
Il temperino ha trasformato la matita, la matita non ha cambiato il temperino; ma il temperino dopo tanto uso si consuma, quindi ci sarà interazione.
Ci sono tanti altri esempi di interazione: forbici-carta, gesso-lavagna, termosifone-aria, cibo-corpo, sega-legno, coltello-carne…
Il diario di bordo: i disegni dei bambini
Altre interazioni proposte dai bambini
Esperienza realizzata dai bambini della classe 3° della scuola elementare Castelnuovo (Recanati), con l'insegnante Maria Teresa Piattoni e il tutor Alfredo Tifi
L’aria e i polmoni, il fiato e il BTB, la lampadina, il filo e la pila, sono tutti esempi di sistema. Qualsiasi cosa che può interagire con un’altra forma un sistema. I bambini channo detto che sono sistemi anche il gessetto e la lavagna, il temperino e la matita, ecc. Non deve esserci per forza un’interazione, gli scienziati chiamano sistema un’unione di oggetti tra i quali si pensa ci possa essere una qualsiasi relazione o influenza reciproca.
Per queste esperienze i bambini sono stati divisi in gruppi di tre e ogni gruppo ha ricevuto i componenti di un sistema:
il tutto su un piatto grande di plastica.
Interazione Bicarbonato-aceto
L'obiettivo è vedere cosa accade in un sistema formato da aceto, bicarbonato e due bicchieri trasparenti su un piattino.
I bambini hanno proposto di versare l’aceto sul bicarbonato. Il risultato è che si forma una bella schiuma, come quando si versa la birra, che sale fino a uscire dal bicchiere. Qualche bambino ha detto che il liquido giallino che rimane con le bollicine sembra spumante, anche per l’odore.
Quindi il tutor ha spiegato ai bambini che i sistemi possono essere chiusi o aperti, a seconda se il materiale può liberamente entrare e uscire oppure no. Poi ha chiesto se quello appena visto era un sistema aperto o chiuso e i bambini hanno risposto, a ragione, che era aperto.
Il tutor ha poi chiesto se la bottiglia chiusa dell’aceto fosse un sistema aperto o chiuso, e i bambini hanno risposto che è chiuso, perché non può entrare né uscire nulla. La bottiglia aperta è stata invece definita un sistema aperto, perché esce l'odore. La risposta è corretta, poiché anche l’odore è fatto di materiale! Inoltre anche l’aria può entrare e interagire con l'aceto, e per questo si rovina se rimane aperto a lungo.
Ora l'obiettivo era far avvenire l'interazione tra bicarbonato e aceto in un sistema chiuso.
I bambini dicono che utilizzeranno il sacchetto, e aiutati dal tutor lo chiudono strettamente, attorcigliandolo prima di legarlo con il laccio. Questa la discussione nel corso dell'esperienza:
Vediamo un po’, secondo voi se il sistema è chiuso, l’interazione potrà avvenire lo stesso come nel sistema aperto?
I bambini hanno risposto di sì.
Bravi, e dove andrà a finire tutto il gas delle bollicine?
I bambini hanno risposto: nel sacchetto!
Allora vediamo chi riuscirà a far scoppiare il sacchetto.
A questo punto alcuni bambini hanno chiesto: “Come facciamo a farli interagire se prima dobbiamo chiudere il sacchetto?” Il tutor ha risposto che potevano usare gli stessi bicchieri e il sacchetto per tenere separati l’aceto dal bicarbonato finché non l’avranno chiuso bene. Alcuni hanno messo il bicarbonato nel sacchetto, altri hanno versato l’aceto nel sacchetto ehanno lasciato il bicarbonato nel bicchiere, altri ancora hanno messo entrambi i bicchieri in piedi nel sacchetto. Quindi hanno sigillato il sacchetto togliendo più aria possibile e poi hanno mescolato i materiali provocando l’interazione nei loro sistemi chiusi. Fortunatamente nessun sacchetto è scoppiato, anche se due di essi si sono gonfiati tanto da da aprirsi lungo una saldatura e far uscire un po’ di aceto.
Una volta riempiti i sistemi di gas, i bambini hanno provato a vedere come interagivano con il BTB. Per farlo, un po’ di bicarbonato è stato messo in una bottiglia vuota, e mezzo bicchiere di aceto è stato versato nel palloncino sgonfio. Il palloncino è stato posizionato sul collo della bottiglia e, solo quando il sistema era chiuso, l'aceto è stato versato nella bottiglia.
Il palloncino si è gonfiato molto, come si può vedere nella sequenza di foto qui sotto.
Quindi i bambini hanno preso la siringa con la cannuccia con l’ovatta “blocca liquidi”, l'hanno applicata all’uscita del palloncino e hanno immesso il gas all’interno del BTB, che dopo un po’ è diventato giallo-verde.
Ma nel palloncino c'erano ancora molte gocce di aceto: dopo un po’ una di queste ha superato la barriera del cotone ed è finita nel bicchiere con il BTB, che ha cambiato colore istantaneamente, passando da quasi giallo a giallo oro.
Esperienza realizzata dai bambini della classe 3° della scuola Castelnuovo di Recanati, con il tutor Alfredo Tifi
Questo è un esperimento semplice e significativo sul concetto di variabile, realizzato da ragazzi di seconda media.
Nell’ambito di un progetto di studio sulla fisica dei suoni, l'insegnante ha guidato i suoi allievi alla costruzione di uno strumento in legno con sei corde di nylon, il suonometro.
Lo strumento è stato costruito per rispondere al seguente problema sperimentale: da cosa dipende l’altezza del suono prodotto dalle vibrazioni di una corda tesa?
Sono state considerate tre variabili indipendenti (tensione, spessore e lunghezza delle corde) e una variabile dipendente (l’altezza del suono prodotto quando si pizzicano tali corde).
Le corde sono state realizzate con fili da pesca di due sezioni diverse.
Come si vede dalla foto qui sotto, le prime due corde da sinistra differiscono per la diversa tensione (ottenuta applicando dei pesi che agiscono verticalmente sulla parte libera): quella più tesa produce un suono più acuto. La seconda e la terza hanno lo stesso peso e la stessa lunghezza, ma differiscono in spessore: quella più spessa produce un suono più grave. Le altre tre corde, di identica sezione e con lo stesso peso applicato, hanno lunghezza decrescente e producono suoni di altezza crescente.
Foto del”suonometro” durante la mostra del 6 maggio
Si conclude che l’altezza del suono (rivelatrice della frequenza di vibrazione) è correlata positivamente alla tensione delle corde e inversamente alla loro lunghezza e al loro spessore.
Diagramma per lo studio dei fattori che influenzano l’altezza del suono prodotto dalle corde del suonometro
La mappa concettuale di questa esperienza realizzata dagli allievi
La teoria delle oscillazioni prevede, per una corda fissata a due estremità, una frequenza di oscillazione fondamentale pari a (espressa in hertz, cioè oscillazioni complete al secondo).
In questa formula L è la lunghezza della corda, r è la densità lineare, cioè la massa di una sua lunghezza unitaria (ci dice quanto è pesante la corda e a parità di materiale è proporzionale all’area della sezione) e T è la tensione della corda a riposo, pari al peso che la tiene tesa.
I risultati trovati rispecchiano la formula perché:
Innanzitutto occorrerebbe mettere un “ponticello" sottile in corrispondenza della piegatura delle corde (come in una chitarra).
Inoltre il suono diverrebbe più udibile costruendo una cassa di risonanza.
Si potrebbe quindi realizzare un ponticello mobile in modo che la lunghezza della corda possa variare con continuità.
Sarebbe eccezionale poter misurare le frequenze di vibrazione con un apparecchio accordatore digitale e le tensioni con una bilancia sensibile al grammo. Si potrebbe verificare così la formula.
Le tensioni dell’apparecchio erano piuttosto basse e le corde piuttosto lente: occorrono quindi pesi maggiori.
La formula può essere verificata anche così: una corda di metà lunghezza dovrebbe oscillare con la stessa altezza di una avente lunghezza doppia ma con una tensione quattro volte maggiore. In questo caso si deve considerare che una tensione quattro volte maggiore comporterà una lieve diminuzione della densità lineare rispetto alla corda corta, e quindi un’altezza leggermente maggiore (si avranno battimenti?).
Esperienza realizzata dall’insegnante Michela Rossetti e dagli allievi della 2ª C della scuola media di Appignano
I bambini avevano già sperimentato le interazioni del BTB con diversi liquidi:
In questa esperienza, invece, i bambini dovevano vedere se e come il BTB interagisce con due gas: l’aria che espiravano e l’aria normale.
Ogni coppia di bambini aveva una cannuccia, un ampio vassoio, due bicchieri trasparenti con un del BTB azzurro, un palloncino, una siringa senza ago né pistone per adattarvi il palloncino e gorgogliare nel bicchiere. Due pompe per gonfiare palloncini sono state messe a disposizione della classe.
La maestra e il tutor hanno posto alcune domande:
Come fate per provare se c’è interazione del respiro con il BTB?
I bambini hanno risposto che intendevano usare la cannuccia.
E come farete per l’aria normale?
I bambini hanno risposto che avrebbero usato i palloncini.
Il tutor e la maestra hanno indicato le pompe adatte a gonfiare i palloncini come strumento da utilizzare per introdurre l'aria nei palloncini.
Ognuno dei bicchieri a disposizione era destinato a un tipo di aria. Tuttavia, nonostante l'avvertimento e il fatto che ogni coppia aveva una sola cannuccia, praticamente tutti i bambini hanno voluto provare a soffiare nelle cannucce e gorgogliare nei bicchieri, cosicché il BTB di tutti i bicchieri è diventato giallo.
Una volta gonfiati i palloncini con l’aria della pompa, i bambini hanno chiuso l’estremità della siringa e poi l'hanno rilasciata immergendola nel liquido. Poiché il livello del liquido era basso, alcuni bambini non arrivavano a immergere la siringa e soffiavano l’aria sulla superficie in pochi secondi, anziché farla gorgogliare lentamente dentro il liquido, per cui era necessario gonfiare di nuovo il palloncino e immergere il tubo una seconda volta.
Tutti hanno mostrato segni di delusione: si aspettavano un’interazione anche con l’aria della pompa. Questa la discussione seguita al risultato dell'esperimento:
Siete degli scienziati o no? Allora perché non registrate quanto accaduto? Non potete obbligare l’aria normale a interagire col BTB se non “vuole” farlo. Perché vi aspettate che lo faccia?
I bambini hanno risposto che, siccome il respiro aveva interagito, avrebbe dovuto farlo anche l’aria normale.
Ma l’aria del respiro è uguale a quella normale?
No! hanno risposto in coro.
Allora per questo non è detto che siano ugualmente capaci di interagire.
Per dimostrare la differenza tra i due tipi di aria è stato effettuato un esperimento in “parallelo”, in cui sia l’aria normale, sia quella del respiro sono state usate per riempire due palloncini e quindi gorgogliate in due quantità uguali di BTB di identico colore. Il risultato, visibile dal filmato, conferma l’incapacità dell’aria normale di interagire col BTB.
Guarda il video dell'esperimento
Perché l’aria respirata è diversa da quella normale?
Alcuni bambini hanno risposto che è perché l’aria respirata viene dai polmoni.
Ma prima di entrare nei polmoni era normale o no?
I bambini hanno risposto di sì.
Dunque quando si modifica l’aria normale?
I bambini hanno risposto che si modifica quando sta nei polmoni.
E come fa? Cosa accade tra i polmoni e l’aria?
Alcuni bambini hanno detto che c’è interazione tra polmoni e aria.
Esperienza realizzata il 20-01-2005 dai bambini della classe 4ª della scuola Le Grazie di Recanati
I bambini avevano già provato che, soffiandovi con le cannucce, il BTB cambiava colore, mentre gorgogliando l’aria con le siringhe non accadeva nulla. I bambini hanno detto che l’aria respirata è diversa perché è “usata”. Se tutti respirano, l’aria dell’aula si modifica, perciò ogni tanto si apre la finestra per fare entrare l’aria non “usata”.
Il tutor e un bambino della classe sono usciti con due palloncini di gomma vuoti e una pompa. Quando sono rientrati i due palloncini erano pieni allo stesso modo, uno con aria normale e uno con l’aria espirata. Il tutor ha chiesto quale fosse quello gonfiato con il fiato?
Un bambino ha detto che il palloncino con l’aria espirata doveva cadere verso il basso e l’altro andare in alto. Questa è un ottima idea! L’aria usata deve pesare di più.
Per fare la prova i palloncini sono stati chiusi bene con dei laccetti leggeri e poi lasciati andare insieme. Entrambi sono caduti verso il basso, ma uno dei due arrivava sempre prima dell’altro, nonostante nel frattempo si fosse un po’ rimpicciolito. Quello era il palloncino gonfiato col fiato.
Nota del tutor: i bambini dovrebbero provare a invertire i palloncini, a gonfiarli esattamente allo stesso modo, per vedere se tale differenza di peso è sufficientemente elevata da rendere riproducibile la prova in ulteriori esperimenti, o se si è trattato solo di un caso.
Altri bambini hanno detto che si poteva riconoscere il palloncino con l’aria “usata” anche provando a mandarla nel BTB.
All’uscita di ogni palloncino è stata inserita una siringa di plastica senza pistone e la punta di questa è stata prolungata con la cannuccia del succo di frutta. Siccome un bambino sosteneva che fosse la saliva a causare sia il maggior peso sia il cambiamento di colore del BTB quando si soffiava nella cannuccia, il tutor ha inserito dei batuffoli di cotone ben pressato dentro le cannucce, impedendo così qualsiasi passaggio di piccole goccioline di liquido. I laccetti sono stati tolti e i bambini hanno iniziato a far gorgogliare le “due arie” in due bicchieri contenenti la stessa quantità di BTB blu.
Il gorgoglio avveniva lentamente, perché il cotone rallentava il passaggio dell’aria. Dopo un po’ il BTB del palloncino col fiato, quello che cadeva più in fretta, è diventato giallo, confermando che lì c’era aria espirata e anche che la saliva non poteva essere la causa del cambiamento di colore. Proseguendo con l’interazione, una bambina ha notato che anche nel bicchiere dell’aria normale sembrava esserci un piccolo cambiamento: il colore diventava più blu.
Alla fine l’aria normale abbiamo è stata fatta gorgogliare nel bicchiere con il BTB giallo-verde e si è visto che il colore tendeva a ridiventare azzurro! I bambini hanno ipotizzato che l’aria “usata” potrebbe contenere un gas che la rende più pesante e che interagisce col BTB; questo gas sarebbe scacciato in fretta gorgogliando l’aria normale. Anche lasciando semplicemente all’aria il BTB giallo-verde, questo gas potrebbe uscire da solo e, in tal caso, il BTB ritornerebbe blu da solo. Perciò abbiamo lasciato il bicchiere col BTB giallo nell’angolo della stanza, per osservarlo il giorno dopo.
Il tutor ha chiesto ai bambini come potesse l’aria normale cambiare e divenire capace di far diventare giallo il BTB. I bambini hanno risposto che ciò avviene nei polmoni. Ha chiesto quindi cosa può accadere tra aria e polmoni e i bambini hanno risposto correttamente che c’è un’interazione. Quindi il tutor ha fatto una prova, chiedendo ai bambino se secondo loro l’aria interagisce nello stesso modo se si fa un lungo respiro sospeso o se la si fa entrare e un attimo dopo la si fa uscire. I bambini hanno risposto che più tempo sta, più l’aria interagisce e si modifica.
E' stato quindi condotto un esperimento capace di verificare se l’aria che rimane più a lungo interagisce maggiormente nei polmoni. Una bambina (Carlotta) ha trattenuto il respiro per 30 secondi e poi ha espirato tutta l’aria, gonfiando il palloncino. Un’altra bambina (Sabrina), è stata chiamata a riempire un altro palloncino facendo piccoli soffi (facendo in modo, cioè, che ogni volta l’aria restasse solo un istante nei polmoni). Entrambi i palloncini sono stati gonfiati allo stesso volume e collegati, come prima, alle cannucce con il cotone. Mandando l’aria in due bicchieri di BTB blu uguali si notava che l’aria espirata da Carlotta dopo pochi secondi faceva diventare il BTB giallo, molto più giallo di quello che si otteneva soffiando con le cannucce. L’aria che aveva interagito poco con i polmoni, espirata da Sabrina, invece, riusciva a malapena a far diventare verde il liquido, anche quando il palloncino si era completamente sgonfiato.
Test del fiato trattenuto (a destra) e non trattenuto (a sinistra)
Alla fine dell'esperienza il tutor ha proposto questa situazione: "Immaginate un sub che ha finito l’aria delle bombole, ma ha un palloncino. L’ultimo respiro di aria buona potrebbe usarlo per riempire il palloncino, come ha fatto Carlotta, e poi riprendere l’aria da lì ogni volta che deve inspirare, rigonfiandolo ogni volta che espira, e andare avanti così finché non riesce a tornare in superficie. Ce la farebbe?” I bambini si sono messi a ridere e hanno detto che soffocherebbe, proprio come se si trattenesse di continuo la stessa aria nei polmoni, poiché respirandola questa si consumerebbe sempre di più.
Aceto e BTB
Con la punta di una cannuccia il tutor ha toccato l’aceto e poi il BTB del bicchiere, che diventa giallo oro, un colore molto più intenso del giallo ottenuto col fiato trattenuto (vedi sopra).
Acqua minerale e BTB
Ripetendo l'esperimento con l’acqua minerale, il BTB è diventato di un bell’azzurro brillante e intenso. Un bambino ha detto che il BTB è un camaleonte.
Un altro ha proposto di provare il bicarbonato con il BTB. Il risultato è stato un bellissimo colore blu china. Un altro bambino ha scoperto che nell’etichetta dell’acquaminerale usata per l'esperimento c’era scritto “bicarbonato” e che per questo essa faceva diventare blu scuro il BTB.
A questo punto il tutor ha fatto notare che quando per sciogliere il BTB in polvere era stata usata dell'acqua minerale che contiene bicarbonato, main quel caso la soluzione diventava azzurra e non blu scura. Per la spiegazione è bastato leggere l’etichetta della bottiglia isata per la preparazione del BTB, in cui la quantità di bicarbonato presente è meno della metà di quella dell'acqua usata per l'esperimento.
Per concludere l'esperienza il tutor e i bambini hanno ricostruito uno schema di tutti i colori e le interazioni del BTB.
Esperienza realizzata dai bambini della classe 3° della scuola Castelnuovo di Recanati, con il tutor Alfredo Tifi
Un'esperienza simile è descritta in questa pagina.
I bambini avevano a disposizione una bottiglia di acqua minerale e del BTB in polvere che è stato versato nell'acqua e fatto sciogliere.
Ai bambini è stato consegnato un bicchiere contenente BTB e una cannuccia e sono stati invitati a soffiare nel bicchiere e ad osservare ciò che avveniva.
Questi i commenti.
Poi Apollonia ha gonfiato un palloncino con il proprio fiato, mentre Gaetano ha usato una piccola pompa per gonfiarne un altro e ha proposto di mischiare anche l'aria del pallone gonfiato con l'aria esterna.
I bambini hanno fatto gorgogliare l'acqua nei due bicchieri contenenti BTB giallo.
Un bambino ha affermato che l'aria esterna è più inquinata perchè ci sono lo smog e il fumo.
Per provarlo, qualcuno ha avanzato l'idea di far entrare "l'aria piena di fumo" nel bicchiere per farla interagire con il BTB.
Per farlo, i bambini hanno arrotolato un foglio di carta, lo hanno acceso e quando ha cominciato a "fare fumo", un bambino lo ha posizionato al centro del bicchiere coprendolo con le mani.
Il BTB ha cambiato colore, diventando di un blu brillante.
Ora i bambini avevano tre bicchieri con il BTB di tre colori diversi.
Il BTB giallo è stato versato in un contenitore di plastica trasparente, che viene messo sull'armadietto insieme ai bicchieri contenenti il BTB verde e il BTB blu.
Le immagini dell'esperienza
Esperienza realizzata il 10-02-2005 dai bambini della classe 4° B della scuola elementare di via dell'Aia di Scanzano Jonico, con la maestra Maria Rosaria Filippelli e il tutor Antonietta Lombardi
Un'esperienza simile è descritta in questa pagina.
Qualche volta succede che qualcosa ci colpisce, ci incuriosisce, ci domandiamo come potrebbe funzionare e magari ce lo immaginiamo e quando non è possibile esplorare ciò che ci ha interessato possiamo pensare dei sistemi possibili di funzionamento. Se non funziona, il nostro modello va modificato.
Abbiamo osservato che la scatola aveva due buchi su due facce opposte, da uno usciva un filo bianco e dall’altro un filo nero ma la cosa strana era che tirando un filo l’altro veniva trascinato dentro e il primo non cambiava colore come ci si aspettava, continuava ad uscire tutto nero o tutto bianco.
Quali sono stati i nostri pensieri?
Potremmo dire che il rumore che si sentiva provenire dall’interno è stato un indizio utile per farci ricordare qualche nostra esperienza in cui quel rumore c’era o gli assomigliava. Per esempio ad Asmaa ha fatto pensare ai fusi che servono per filare la lana (che lei ha visto usare) a Silvia il rumore del rocchetto della macchina per cucire, ad altri , ingranaggi e rotelle. Vedere che il filo se lo tiravi da una parte trascinava con sé anche l’altro ci ha fatto capire che dovevano essere collegati e non potevano esserci due “aggeggi”. Federico aveva con sé (ha sempre tanti “aggeggi “ ) un rocchetto, abbiamo annodato due fili di colori diversi sul rocchetto e infilato una matita nel rocchetto. Tenendo ferma la matita , il rocchetto era libero di muoversi ed infatti il nostro modello funzionava. Tirando l’estremità rosa quella verde si arrotolava, srotolando quella verde si arrotolava quella rosa.
Guarda il video del modello prototipo del meccanismo della scatola bianca
Guarda il video della scatola bianca
La seconda scatola era rossa, il rumore che proveniva dal suo interno era minore dell’altra. Abbiamo visto che se tiravi tutti e due i fili la scatola , appoggiata sul tavolo, si muoveva solo dalla parte del filo rosso. Se tiravi il filo rosso il giallo entrava di più, invece se tiravi quello giallo il rosso entrava di meno.Infatti la cosa strana era che tirando il filo giallo di 30 cm. il filo rosso si accorciava di 17cm.. Abbiamo detto in classe come poteva accadere perché il professore ci aveva detto di immaginare il funzionamento così come hanno fatto gli scienziati con il Sole perché “…non ci si può andare”. Abbiamo capito che c’erano due rullini, ma come faceva? Abbiamo discusso molto e alla fine abbiamo capito che doveva esserci uno più grande e uno più piccolo , così abbiamo creato un modello. La maestra è andata a prendere un tubetto di colla, pensando di doverne cercare poi uno più piccolo ma Asmaa, intuendo quello che la maestra stava pensando, si è accorta che nel tubo del vinavil erano presenti già grandezze diverse. Abbiamo arrotolato, allora, i due fili, uno sul tappo e uno sul contenitore, ci abbiamo provato e dopo un po’ ci siamo riusciti; il mistero era ormai risolto.
Guarda il video della scatola rossa
In occasione della festa della mamma abbiamo realizzato queste scatole magiche per fare gli auguri e… sorprendere! Riusciranno le nostre mamme a capire cosa c’è dentro?
Esperienza realizzata il 28 aprile 2005, dai bambini della classe 4° B della scuola Le Grazie di Recanati con l'insegnante Pina Feliciotti e il tutor Alfredo Tifi
I problemi che i bambini hanno dovuto affrontare, lavorando a piccoli gruppi, consistevano nel dover separare un sistema di aghetti e lenticchie e un sistema di aghetti, lenticchie e sale, entrambi mescolati all’interno di un barattolino.
I sei gruppi avevano a disposizione un barattolino col fondo pieno di buchi, ma non sapevano a cosa servisse.
Alcuni bambini hanno iniziato a separare gli aghetti dalle lenticchie manualmente, ma in tutti i casi si sono poi resi conto che l’operazione poteva essere molto più rapida e divertente usando il barattolino con i buchi, dai quali potevano passare solo gli aghetti. Non in tutti i casi i bambini hanno pensato di chiudere il barattolino mentre lo agitavano, per cui alcune lenticchie uscivano e venivano singolarmente recuperate a mano. Alla fine tutti avevano il sottosistema lenticchie nel barattolo e il sottosistema aghetti nel piattino.
Discussione
Qual è la principale differenza tra i due sottosistemi?
Gli aghetti sono piccolini e fini
Perché si sono separati gli aghetti dalle lenticchie?
Perché sono piccoli e passavano dai buchi
Perché le lenticchie non passano attraverso i buchi?
Perché sono grandi
Quale proprietà può essere “grande” e “piccola”?
Nessuna risposta
Giallo verde e marrone cosa sono?
Colori
Allora la proprietà del giallo e marrone è il colore. E qual è la proprietà del grande e piccolo?
Dimensione
Agli stessi gruppi è stato consegnato un nuovo barattolino contenente, stavolta anche il sale fino in aggiunta a lenticchie e aghetti, con il compito di separare i due sottosistemi di prima. Essi disponevano anche di acqua. Alcuni bambini hanno detto che usando lo stesso metodo di prima sarebbe passato anche il sale. Quindi abbiamo detto loro che serviva un metodo per separare il sale dalla pastina. A cosa può servire l’acqua? Un bambino ha chiesto se la pastina si scioglie con l’acqua e gli altri bambini hanno risposto di no, mentre il sale sì. Quindi, prima di operare i bambini hanno stabilito le tappe: 1. separare le lenticchie dagli altri due sottosistemi; 2. aggiungere acqua per sciogliere il sale e poi scolare l’acqua salata, lasciando gli aghetti nel piatto.
I bambini hanno operato come stabilito e notato che il sale si scioglieva del tutto, ma che l’acqua salata e scolata nei bicchieri non era perfettamente limpida: c’era una polverina. Inoltre gli aghetti bagnati si attaccavano tutti uno all’altro.
Discussione
Che succedeva se mettevate l’acqua subito nel bicchieretto?
Si bagnavano anche le lenticchie; gli aghetti si compattavano e non uscivano più facilmente dai buchi
Se uno volesse recuperare il sale a cristalli, come dovrebbe fare?
Facciamo evaporare l’acqua
E il sale non evapora?
No
Perché?
Perché l’acqua evapora e il sale no.
Avete mai visto il sale lasciato fermo in un barattolo aperto evaporare?
No
E l’acqua?
Sì
Ecco, allora avete ragione voi perché avete portato delle prove, non basta dire sì o no! Prima avete separato le lenticchie grazie alle diverse dimensioni. Ora come si chiama la proprietà che vi ha fatto dividere il sale dagli aghetti?
Che si scioglie.
Più o meno, sì. La capacità di sciogliersi è una proprietà con l’accento sulla a e si chiama solubilità. Conoscete qualche altro materiale che ha la solubilità in acqua?
Lo zucchero.
Avete mai visto lo zucchero a velo?
Sì
Che differenza c’è con quello normale?
È più fino
Con le dita si riesce a prendere un piccolo pezzetto singolo di zucchero normale?
Sì
E di quello a velo è possibile prendere un solo pezzetto senza usare la lente?
No! I pezzetti sono piccolissimi!
Esperienza realizzata il 28 aprile 2005 dalla classe 3ª A della scuola Castelnuovo (Recanati)