Il giro del mondo in otto megalopoli

Pubblicato il 17/02/2012Read time: 4 mins

Si possono conoscere partendo dal racconto del funzionamento del più grande e curioso sistema di distribuzione pasti del mondo, su bicicletta e rotaia (Mumbai, India). Oppure narrando le vertigini che prova chi sfida il cielo, in cima a grattacieli in costruzione che nascono da esili impalcature di bambù (Hong Kong). O ancora mostrando in ordine casuale una serie di migliaiadi immagini raccolte da citamblers, gioco di parole inglese da city e rambler, cioè escursionisti urbani. Così, per qualunque aspetto le si voglia raccontare, le megalopoli sono ormai una realtà consolidata del XXI secolo.

Se il Novecento è stato profondamente caratterizzato dalla diversità tra città e campagna, industria e agricoltura e dalle idee di modernità o, come dice lo stesso Edgar Morin, di complessità sociale associate allo sviluppo delle "grandi città", nel nuovo millennio questi confini si affievoliscono e aprono spazio e possibilità a un'altra grande caratteristica della contemporaneità: lo sviluppo delle megacities, città più estese di regioni e più popolose di interi stati, megalopoli da 20, 30 milioni di abitanti che inglobano in sé zone densamente popolate e campagne urbane che hanno un impatto ambientale enorme e pongono forti difficoltà di gestione della crescita e dello sviluppo. Difficoltà che richiedono una risposta globale e non più, come fino a poco tempo fa, solo legata al benessere di una parte del pianeta, l'Occidente.

Se nel 1975, secondo il National Geographic, c'erano solo tre megacities, New York, Città del Messico e Tokyo, nel 2010 sono diventate più di venti sparse in tutto il globo. Questa tipologia di conurbazione quindi, si sta candidando a diventare sempre di più attore protagonista dell'economia globale, con i mille problemi, le enormi contraddizioni, le immense possibilità che la caratterizzano e i contrastanti immaginari che stimola. Quando si parla di queste conurbazioni, che accolgono almeno 10 milioni di persone (in alcuni casi si arriva quasi a 30 milioni), ognuno di noi pensa a immagini contrastanti: c'è chi ricorda i grattacieli di vetro che si innalzano prominenti nei cieli di Londra, Shangai, Hong Kong o New York, al potere economico e finanziario, al lusso, agli affari e a una vita con comfort e possibilità inimmaginabili dalla maggior parte delle persone. Ma c'è anche chi non dimentica nella propria mente l'incubo delle sterminate periferie di baracche di Città del Messico, della violenza degli slum di Lagos o delle migliaia di bambini abbandonati in strada, la degradazione, l'inquinqmento, la povertà e il forte disagio di enormi masse di popolazione senza radici e dal futuro incerto. "Entro il 2050 tre quarti della popolazione mondiale sarà urbana – racconta David Pilling, Asia Editor del Financial Times – e questo porterà con sé lo sviluppo di molte e più grandi metropoli". Ma come evolveranno queste città? Verso quali modelli e verso quale tipo di vita noi e i nostri figli saremo portati a vivere?

Per le megalopoli non esistono canoni prestabiliti, ricette facili, risposte sicure. Si possono evidenziare tendenze, possibilità, caratteristiche che potranno o non potranno prendere forma, in base alle capacità e volontà di attuazione di politiche più o meno responsabili. Diventa quindi interessante andare a osservare sia megacities come Londra, che ha già raggiunto un'estensione limite e sta affrontando la sfida del riutilizzo delle aree dismesse; quelle che stanno nascendo e si stanno espandendo oggi come Guangzhou (Cina), la megalopoli formata da tante metropoli; San Paolo del Brasile, la megacity del biodiesel ed altri esempi. L'obiettivo è cercare di comprendere le forme e gli stili di vita possibili in cui la nostra e le prossime generazioni si troveranno a essere immerse e del loro impatto sul pianeta. Perché è in quella direzione che stiamo andando. Secondo ricerche svolte dalla McKinsey Global Institute (l'istituto di ricerca della McKinsey & Company, nota società di consulenza globale) sullo sviluppo delle megacities in Cina – analisi che potrebbe essere estesa a tutte le aree del mondo in cui si stanno sviluppando megalopoli – "un modello di urbanizzazione concentrato è maggiormente preferibile per mitigare le pressioni e aumentare la produttività complessiva del sistema urbano. Gli scenari di crescita urbana concentrata potrebbero aumentare il PIL pro capite fino al 20% in più di uno scenario di crescita urbana dispersa. In rapporto al PIL, anche la spesa pubblica sarà percentualmente più bassa, 16% del PIL nello scenario concentrato rispetto al 17% nello scenario di crescita urbana disperso". E sempre per la McKinsey, solo in Cina nel 2025 la popolazione urbana aumenterà di 350 milioni, cifra che supera l'intera popolazione che attualmente vive negli Stati Uniti.

Le megacities, dunque, sono dei veri e propri esperimenti, dei laboratori di urbanizzazione a cielo aperto che le economie occidentali avevano cominciato nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo e che oggi stanno assumendo nuove forme soprattutto in Asia, ma non solo. Per questo proponiamo un viaggio a tappe, un "giro del mondo in otto megalopoli" che accompagnerà chi avrà la curiosità di scoprire insieme a Scienza In Rete le affascinanti forme che potrebbero dipingere il nostro futuro.

(prossima puntata: 13 febbraio)

Londra si reinventa tra acqua e olimpiadi

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Nord est di Londra, 12 km da Trafalgar Square, luglio 2010: una flottiglia di barche è appena passata attraverso la chiusa di City Mill. Abbandonata per più di 40 anni, quest’opera idraulica di controllo delle acque è stata restaurata al costo di mezzo milione di sterline. Successivamente nella stessa zona sono stati riparati 2,4 km di sponde lungo i canali navigabili. Sono state create, inoltre, alzaie larghe 4 metri per favorire il passaggio di pedoni, ciclisti, pescatori e l’attracco di diportisti. Altri 2,5 km di sponde sono stati rinaturalizzati, in favore dell’habitat acquatico. E sempre qui, nel triangolo tra Bow, Stratford e Fish Island, la British Waterways, l’ente pubblico che ha la competenza della gestione e manutenzione delle vie d’acqua londinesi, ha stanziato una somma ulteriore di 750 mila sterline per il dragaggio e il miglioramento delle infrastrutture del fiume Waterworks, con l’obiettivo di facilitare futuri ormeggi e avviare la prima fase di ristrutturazione della chiusa di Carpenter road. Quale progetto sta dietro a tanti lavori di riqualificazione, in un’area sconosciuta alla gran parte dei turisti, ritenuta, a torto, “di periferia”?

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Per scoprirlo bisogna sapere che tutti questi canali fanno parte della Bow Back Rivers, una fitta rete di corsi d’acqua utilizzati dalle vecchie fabbriche in epoca industriale e mano a mano abbandonati a partire dalla seconda Guerra Mondiale. Questo declino, lungo 50 anni, sembrava inarrestabile ed era stato causato sia dalla chiusura di moltissime fabbriche, durante l’era della deindustrializzazione, sia dallo spostamento del porto di Londra dalla vicina e immensa zona dei Docks a Tilbury, 35 chilometri a est della capitale.

Le chiatte, pensionate da tir e container, oggi si stanno prendendo una grande rivincita. E presto saranno seguite da altri tipi di imbarcazioni, piccole, come canoe, o più grandi, come taxi d’acqua. Grazie alle Olimpiadi. Perché proprio in questa zona è in fase di ultimazione il Parco Olimpico, che a fine luglio sarà in grado di ospitare migliaia di atleti, spettatori e turisti che utilizzeranno tali strutture per muoversi o ricevere merci e servizi.

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“Non ci sono previsioni definitive sulla quantità di visitatori che ci aspettiamo durante il periodo dei giochi 2012, anche se abbiamo ‘stime' sulla base delle precedenti edizioni - ha dichiarato al Telegraph Martine Ainsworth-Wells, della London & Partners, l'agenzia incaricata ufficialmente della promozione di Londra -. Un rapporto indipendente della Oxford Economics stima che il numero di turisti che alloggeranno a Londra per seguire le gare sarà di circa 450 mila. Inoltre giungeranno nella capitale 5,5 milioni di visitatori al giorno, durante lo svolgimento della manifestazione sportiva”.

Così la Greater London, megalopoli di 12 milioni di abitanti, progetta il futuro di un’area, la Lower Lea Valley, con una popolazione di soli 124.150 abitanti e vastissimi spazi dismessi da recuperare. Le Olimpiadi hanno permesso la riqualificazione di un ampio tratto con stadi e palazzetti circondati da canali e vie d’acqua: una sorta di Venezia sportiva, una Amsterdam dei cinque cerchi che vuole fare dell’evento olimpico l’occasione per ripensare una megalopoli in chiave eco-friendly. Ma c’è ancora molto da fare.

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Questo è solo un primo passo verso la scelta che la megalopoli sta compiendo volontariamente: non tanto quella dell’ulteriore espansione quanto quella della rifunzionalizzazione di parti di sé. E questa megacitiy ha già generato casi d’eccellenza a riguardo: basti pensare a Canary Wharf, il nuovo cuore finanziario, alle residenziali Isle of Dogs e Wapping o ancora all’area di North Greenwich, dedicata a spettacoli e musica grazie alla creazione della grande tensostruttura dell’Oxigen. Londra, la più antica città che è diventata megalopoli mostra di crescere, evolversi: non tanto nell’espansione quanto nella sua capacità di reinventarsi, di riprogettarsi, entrando di diritto nel novero di quelle città che il filosofo Gianluca Bocchi definisce come “evolutive”. Città in cui “le trasformazioni dei luoghi, degli edifici, degli oggetti esistenti - spiega il filosofo - non sono più percepiti come necessità ma come opportunità e in cui la costante risignificazione dei luoghi è uno strumento essenziale per un adattamento alle necessità del presente che sia vivificato dalle simbologie e dalle memorie ereditate”.

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stadio olimpico

Foto di Ferdinando Baron

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